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lunedì 20 dicembre 2021

Giovanni Raffaele e il barone Francesco Bentivegna: liberale di principi, inalberò la bandiera tricolore... Tratto da: Le torture in Sicilia al tempo dei Borboni

 

Gentilissimo amico, 

Mi dimandaste notizie relative al barone Francesco Bentivegna, e le difficoltà che ho incontrato, volendo fornirvele esatte, sono state la causa del ritardo con cui vi rispondo. 
Se vi rivolgete ai liberali, che sono sempre pronti a condannare tutti gli atti del governo, rischiate di cadere nell’esagerazione; se vi rivolgete agli impiegati vi diranno che tutto è giustizia, tutti gli atti sono paterni, tutto è felicità. 
Evitando questi due estremi, da me ben conosciuti, sono riuscito a tracciarvi una storia così esatta, che non ho difficoltà di obbligarmi al pagamento di mille franchi di multa, a favore di colui che vi dimostrasse falso o esagerato, un sol fatto della mia narrazione. 
Francesco Bentivegna nacque l’anno 1819 in Corleone da onesti e ricchi genitori. Sulle prime, nel collegio de’ padri Gesuiti in Palermo, si ebbe una educazione qual si conveniva alla sua condizione sociale: poi le matematiche, gli studi di agricoltura e di poesia, furono le sue occupazioni predilette. 
Liberale di principii, onesto e caritatevole, fu sempre amato e rispettato dai suoi concittadini. Esercitando su di essi grande influenza, ebbe egli una gran parte negli avvenimenti politici del 1848: e quando si apriva il 25 marzo il Parlamento Siciliano in Palermo, egli fu spedito deputato per rappresentare la sua patria. 
Verso la metà del 1849, ristaurato il governo di Ferdinando II, il Bentivegna ritornava in patria ai suoi studii ed alla pratica agraria in apparenza, ma in realtà non pensava e non agiva, che per riacquistare la libertà. 
Cospirò giorno e notte; travestito percorse più volte la maggior parte dei paesi di Sicilia, ed il fece con tanto senno e circospezione che la polizia o non mai ne ebbe sentore, o se qualche volta credette averlo sorpreso, ed arbitrariamente lo avesse arrestato, mai potè riunire tali elementi di prova da farlo condannare; talchè, dopo averlo fatto languire per qualche anno in carcere durissimo, finalmente era costretta a rimetterlo in libertà, e lo mandava a domicilio forzoso in Corleone. 
Ma queste persecuzioni e sevizie non solo non rallentarono in Bentivegna l’amore della libertà, che anzi maggior fuoco accendevano nell’animo suo, rendendolo all’istesso tempo più ardente e più cauto...
Eludendo ogni vigilanza della polizia, in novembre il Bentivegna percorse per l’ultima volta tutti i Comuni di Sicilia che doveano rispondere allo appello, e coi capi dei Comitati stabiliva d’inalberare la bandiera tricolore, contemporaneamente il 12 gennaro 1857 come anniversario della rivoluzione del 1848; menochè circostanze imprevedute non obbligassero di ritardare, o accelerare il movimento. Egli il 16 novembre fu in Palermo, domicilio inibitogli dalla polizia, la quale ne ebbe sospetto e lo cercò; ma non giunse ad arrestarlo, e fu giocoforza contentarsi di accrescere la sorveglianza, e di sospendere l’Ispettore di Corleone sig. Petini cui sin allora era stata affidata. 
A vista dell’imminente pericolo di essere scoperto ed arrestato, il Bentivegna giudicò non potere più oltre differire il cominciamento dell’opera sua, per cui sabato 22 novembre alle ore 8 della sera, aiutato dal cavaliere Dimarco, da’ fratelli Figlia, e Romano zio e nipote, ricchi proprietari, inalberò la bandiera tricolore ed alla testa di 300 persone armate entrò in Mezzojuso. L’indomani domenica 23 tutte le Comuni ove Bentivegna potè far giungere la notizia della inaugurata rivoluzione risposero allo appello, e così il vessillo tricolore si vide sventolare a Villafrate, a Bocina, a Ventimiglia, a Mezzojuso, e poi a Cefalù, a Roccella e Collesano. 
Ma da un canto, la prontezza con cui, mercè i mezzi de’ quali il governo disponea, potè far giungere le sue truppe su i luoghi dell’insurrezione; dall’altro lato, le piogge dirotte e prolungate che ingrossando i fiumi li rendeano impraticabili e impedivano che le notizie si comunicassero ai paesi più lontani e che la rivoluzione rapidamente si diffondesse, furon causa che la rivolta si arrestasse sul suo nascere....



Giovanni Raffaele: Le torture in Sicilia al tempo dei Borboni ovvero Un periodo di cronaca contemporanea. 
L'opera è la fedele riproduzione delle corrispondenze originali, Estratto dall'Unità Politica (1862)
Pagine 110 - Prezzo di copertina € 11,00
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