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lunedì 29 luglio 2019

Giovanni Raffaele: Rivolta e persecuzione del barone Francesco Bentivegna. Tratto da: Le torture in Sicilia al tempo dei Borboni

Eludendo ogni vigilanza della polizia, in novembre il Bentivegna percorse per l’ultima volta tutti i Comuni di Sicilia che doveano rispondere allo appello, e coi capi dei Comitati stabiliva d’inalberare la bandiera tricolore, contemporaneamente il 12 gennaro 1857 come anniversario della rivoluzione del 1848; menochè circostanze imprevedute non obbligassero di ritardare, o accelerare il movimento. Egli il 16 novembre fu in Palermo, domicilio inibitogli dalla polizia, la quale ne ebbe sospetto e lo cercò; ma non giunse ad arrestarlo, e fu giocoforza contentarsi di accrescere la sorveglianza, e di sospendere l’Ispettore di Corleone sig. Petini cui sin allora era stata affidata.
A vista dell’imminente pericolo di essere scoperto ed arrestato, il Bentivegna giudicò non potere più oltre differire il cominciamento dell’opera sua, per cui sabato 22 novembre alle ore 8 della sera, aiutato dal cavaliere Dimarco, da’ fratelli Figlia, e Romano zio e nipote, ricchi proprietari, inalberò la bandiera tricolore ed alla testa di 300 persone armate entrò in Mezzojuso. L’indomani domenica 23 tutte le Comuni ove Bentivegna potè far giungere la notizia della inaugurata rivoluzione risposero allo appello, e così il vessillo tricolore si vide sventolare a Villafrate, a Bocina, a Ventimiglia, a Mezzojuso, e poi a Cefalù, a Roccella e Collesano.
Ma da un canto, la prontezza con cui, mercè i mezzi de’ quali il governo disponea, potè far giungere le sue truppe su i luoghi dell’insurrezione; dall’altro lato, le piogge dirotte e prolungate che ingrossando i fiumi li rendeano impraticabili e impedivano che le notizie si comunicassero ai paesi più lontani e che la rivoluzione rapidamente si diffondesse, furon causa che la rivolta si arrestasse sul suo nascere. Nei paesi lontani e pronti ad insorgere, la notizia che la rivoluzione era stata compressa, arrivò prima che si sapesse di essere stata inaugurata.
La banda Bentivegna così si sciolse spontaneamente, e lo stesso avvenne delle altre di Cefalù, e di Roccella. Le truppe entravano in Mezzojuso il dì 24 novembre, e qualche giorno appresso a Cefalù, e con essi birri, ispettori e commissari di polizia.
Ripristinato il governo locale, quel giudice fece rapporto dell’accaduto al Procuratore generale della gran Corte criminale di Palermo, e questi facendo uso de’ suoi poteri, ed anche stimolato a farlo da ministeriale del governo del 28 novembre, autorizzava uno de’ suoi membri, il giudice Barcia, a portarsi sul luogo, e ovunque il bisogno lo richiedesse per istruire il processo. Così la Corte criminale si trovava in possesso del reato, non solo perchè avea fatto uso de’ suoi poteri, ma ancora perchè il governo l’avea ordinato: ed ordinandolo mostrava essere convinto che il reato fosse di competenza della suddetta Corte.
Alcuni individui delle disciolte bande si presentarono spontaneamente, o per dir meglio per le sevizie della polizia che esercitava sui padri e sulle madri, sui figli, sulle figlie e sulle sorelle dei profughi. Sono di questo numero Guarnieri, Dimarco, Guggino. Di molti altri non si ha notizia, specialmente di Civello da Roccella, di Spinuzza, e di due fratelli Botta da Cefalù. Le sevizie usate dalla polizia alle sorelle di questi tre ultimi sono rimaste senza risultato.


Giovanni Raffaele: Le torture in Sicilia al tempo dei Borboni. Un periodo di cronaca contemporanea.
Pagine 110 - Prezzo di copertina € 11,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Ibs
Disponibile presso Librerie Feltrinelli

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