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lunedì 29 luglio 2019

Giovanni Raffaele: Come furono trattati i compagni di Bentivegna? Tratto da: Le torture in Sicilia al tempo dei Borboni

Mi dimandate come furono trattati i compagni di Bentivegna che si presentarono spontaneamente, e quelli che furono arrestati dalla forza armata: infine vorreste sapere qualche notizia dei profughi; ed io che non ho nè speranze, nè timori, colla mia solita imparzialità rispondo alle vostre dimande.
Dopo il giudizio di Bentivegna, cambiato, come in altra mia vi scrissi, il presidente del Consiglio di guerra, si procedè subito al giudizio di Salvadore Guarnieri, uno dei capi dell’insurrezione di Cefalù, e fu condannato a morte. Ma siccome l’avvocato che lo difese, chiudeva il suo discorso dicendo:
«Io vi ripeto che l’ordinanza in forza della quale volete giudicare, non è più in vigore: e quando anche lo fosse, la gran Corte criminale ammise la vostra competenza per l’articolo 13 della stessa ordinanza: voi dunque, se condannerete l’accusato, non potete dispensarvi di farne rapporto al Re, come nell’istesso articolo si prescrive. Non voleste farlo per Bentivegna, e si commise così un omicidio; vorreste ora commetterne un secondo!»
Queste ardite parole, che in altri tempi avrebbero provocato la persecuzione dell’oratore, in questi tempi in cui la Francia e l’Inghilterra minacciano d’intervenire ovunque, nell’interesse dell’Umanità e della Civilizzazione, queste parole, io dico, produssero l’effetto desiderato. Il Consiglio di guerra condannando a morte il Guarnieri, lo raccomandava alla clemenza del re.
Della banda di Mezzoiuso manca un certo La Porta, che trovandosi allora a domicilio forzoso in Ciriminna, la polizia suppose che prese parte all’insurrezione, e diede ordine per arrestarlo: ma egli riuscì a salvarsi, ed ora si crede che si sia imbarcato e partito per l’estero.
Della banda di Cefalù mancavano Civello, i due fratelli Botta, Spinuzza, i due fratelli Maggio, un fratello di Guarneri. Il governo che li supponea sempre nel distretto di Cefalù, e attribuiva a pigrizia, e forse anche a connivenza di Gambero capitano d’armi di quel distretto, il non essere stati ancora arrestati, lo sospese, e vi spedì da Palermo l’ispettore di polizia Baiona, figlio di quel Baiona che fu iniquo strumento di tutte le laidezze di quell’Artale marchese ricordato da Botta, e il capitan d’armi Chinnici con trenta compagni.
Le iniquità che han commesso questi due uomini sorpassano ogni credenza umana. I più crudeli mezzi di tortura sono stati da essi adoperati sopra parenti e amici dei profughi per strappare dalla loro bocca la rivelazione del ricovero degli stessi. Il carcere di Cefalù ribocca di arrestati e di torturati…


Giovanni Raffaele: Le torture in Sicilia al tempo dei Borboni. Un periodo di cronaca contemporanea.
Pagine 110 - Prezzo di copertina € 11,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Ibs
Disponibile presso Librerie Feltrinelli

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