Per
cancellare l’atto del 13 aprile 1848, con cui il Parlamento siciliano aveva
proclamata la decadenza dei Borboni dal trono di Sicilia, fu quasi imposto ai
firmatari dell’atto di ritrattarsi e disdire la propria firma; e la paura potè
persuadere i
più a cancellare la pagina onoranda che avevano scritto nella loro vita civile;
pochi resistettero e non si disdissero e n'ebbero persecuzioni.
Ma
né le oppressure né le persecuzioni spensero la fede nell’avvenire nell’anima
dei giovani, i quali intesero che bisognava ricominciar da capo, e ripresero il
lavoro delle cospirazioni. Si costituirono in Palermo nuovi comitati segreti,
dei quali fecero parte Antonino Lomonaco Ciaccio, il barone Francesco
Bentivegna e Nicolò Garzilli, questi due consacrati alla gloria del martirio.
Nicolò Garzilli, aquilano d’origine, palermitano d’adozione, studente
dell’università, di soli diciannove anni aveva fatto concepire alte speranze di
sé, per un suo scritto filosofico. Scoppiata la rivoluzione aveva lasciato la
penna pel fucile, combattuto da prode, preso parte alla spedizione Ribotti
nelle Calabrie: fatto prigioniero con gli altri, era stato chiuso nelle
fortezze borboniche. La prigione non spense la sua fede: uscitone, prese
attivamente a cospirare con altri animosi. Illudendosi che le violenze
poliziesche avessero negli animi acceso tanto sdegno, che bastasse rinnovare le
audacie del 12 gennaio, per far divampare l’incendio della rivoluzione, sebbene
sconsigliato dal Lomonaco, divisò co’ suoi compagni d’insorgere pel 27 gennaio
1850. Ma traditi da un Santamarina, che era dei loro, scesi il giorno designato
nella piazza della Fieravecchia, al grido di Viva la Costituzione, trovarono le
vie occupate dalle milizie regie, e si sbandarono. Il Garzilli poco dopo, preso
con altri cinque, e condotto al Castello, vi fu giudicato da un Consiglio di
guerra, al quale il Satriano scriveva in precedenza, che sentenziasse per tutti
e sei quei giovani la morte, da eseguirsi la stessa giornata. La sera stessa
del 28, condannati senza alcuna prova legale, condotti nella piazza
Fieravecchia, vi furono moschettati. Un marmo tramanda alla memoria dei posteri
i loro nomi: furono Nicolò Garzilli, Giuseppe Caldara, Giuseppe Garofalo,
Vincenzo Mondino, Paolo De Luca e Rosario Aiello.
Al
supplizio seguì un processo contro sessantacinque presunti rei di cospirazione,
dei quali oltre la metà latitanti, e fra essi il Bentivegna. Contro gli
arrestati la polizia incrudelì; il tribunale prosciolse ben trentasei
dall'imputazione, gli altri condannò a pene ben gravi.
Francesco
Bentivegna, scampato per allora, raccolse le fila della cospirazione,
corrispondendo con gli esuli, che in terra straniera non dimenticavano l'isola nativa
e la sua liberazione...
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