Poche
donne erano note come “donna Santuzza”. Ella doveva la sua notorietà a tre
cose: la sua bellezza, la sua eleganza semplice ma originale, la sua bottega di
guanti.
Non
v'erano in Palermo guanti migliori di quelli di “donna Santa”, nè v'era chi
sapesse increspare o stendere con maggior gusto la spoglia di quei graziosi
ombrellini che usavano allora, simili a ninnoli. La sua fabbrica aveva venti
tagliatori di guanti; le cucitrici erano un centinaio. Aveva la bottega in Via
Cintorinai, in sul principio, a destra di chi vi entra dalla via detta
oggi di Vittorio Emanuele; e questa bottega era sempre affollata. Tutta la
nobiltà di Palermo, ed anche quella dell'isola si serviva di guanti,
ombrellini, e ventagli, da “donna Santa”.
Ella
era alta e slanciata. I capelli bruni, copiosi, spartiti sulla fronte, raccolti
intorno alle tempie e sugli orecchi, le incorniciavano il volto ovale e bianco.
Il
naso piccolo, appena appena arcuato, gli occhi grandi, neri, sereni, la bocca
un po' sottile, piccola, fiorita d'un tenue sorriso.
Nel
portamento un'aria giunonica, consapevole, quale apparisce ancora da una
fotografia di quando era nella piena maturità della vita e della bellezza imperiosa
e magnifica.
Donna Santa, il rudere di
questa bellezza, la dispensatrice delle coccarde
all'alba del 12 gennaio, questa unica e sola superstite del manipolo che iniziò
la rivoluzione famosa, questa figura eroica e poetica, della giornata
memoranda, che con le belle mani statuarie diffondeva il simbolo della libertà,
e affrontava le fucilate; era ancor viva quando nel 1910, io la scopersi nella
casetta dove viveva ritirata e silenziosa. Aveva allora novantasei anni ed era
svelta; sebbene un po' curva: e malgrado le rughe e solcassero la fronte, gli
occhi avevano ancora l'antico lampo; la mente era lucida, e i ricordi vivaci.
Nella solitudine in cui viveva dimenticata, sopravissuta alla sua storia,
serbava gli entusiasmi giovanili nell'animo rimasto ancora rivoluzionario del
'48.
Io andai
a trovarla nella sua casetta, al numero 33 della via Volturno. Era seduta in
un’ampia poltrona; e appena mi vide entrare, si alzò e mi porse le mani
affabilmente. Io volevo udire dalla sua bocca l’episodio del 12 gennaio: ma
prima di parlare, ella andò a prendere da un cassetto un libro, lo aprì e me lo
porse.
-
Legga, legga! – mi disse.
Il
libro era la raccolta di scritture, proclami, memorie della rivoluzione,
stampati nel 1848; e la pagina mostratami conteneva un cenno encomiativo di
Santa Miloro, additata alla pubblica ammirazione, e riconosciuta benemerita
della patria.
-
Vede chi son io? – aggiunse poco dopo, con un certo tono di orgoglio nel quale
c’era anche un po’ di vanità. – Io sono stata una di coloro che liberarono la
patria dalla tirannia!...
Ella
non nominava diversamente il governo borbonico, e non diceva mai “Ferdinando,
il re Borbone” o simile; ma il “tiranno”: la terminologia del ’48 non si era
cancellata dalla sua memoria.
- In
casa mia – seguitò – si cospirava; ci venivano Paolo Paternostro, Rosalino
Pilo, tanti altri. Si fabbricavano cartucce; io apparecchiavo coccarde
tricolori. Dapprima gli amici di mio marito diffidavano di me; “Donna Santa –
dicevano – è giovane ed è donna, potrebbe tradirci”. Ma mio marito
sapeva di potersi fidare, e li rassicurò.
All'alba
del 12 gennaio mio marito uscì co’ suoi fratelli e con suo padre, mio suocero;
erano tre fratelli: Pasquale, Antonino e Giorgio. Uscirono armati, perchè
doveva scoppiare la rivoluzione. Io avevo un paniere pieno di coccarde, e con
tre nastri, uno bianco, uno rosso e uno verde, avevo improvvisato una lunga
sciarpa. In quei giorni mi ero fatto un vestito di lana, a quadri con una
sopraveste, come era di moda; quel vestito mi stava una pittura.... lo vestivo
con molta semplicità; gli abiti me li facevo da me; pure debbo dire che facevano
voltare la testa, e molte signore, anche dell'aristocrazia, mi domandavano sul
serio, se li facevo venire da Parigi....
Interrompendosi
con questa parentesi, il suo volto si illuminava della dolce vanità del
passato, e la femmina che aveva suscitato fremiti di desiderio con l’impeto
della bellezza, riviveva nella vecchia sepolta nella ampia poltrona e col capo
avvolto in un fazzoletto scuro.
- Dunque
– riprese – come le dicevo, udii le prime
fucilate. Pensando che mio marito e i miei cognati erano fuori e nel pericolo,
e non vedendo muovere nessuno del vicinato, non potei resistere. Indossai il
mio bel vestito, mi cinsi con la sciarpa tricolore, presi il paniere delle
coccarde, ed uscii. Abitavo allora in piazza Garraffello. Sulle porte, ai
balconi la gente si affacciava timida, sospettosa, irresoluta: non si sapeva
come volgessero le cose.... Si sparse la notizia che qualcuno era stato ucciso.
Io allora cominciai a rampognarli: “Su! Che fate? All’armi!... i vostri fratelli combattono; correte ad aiutarli!...Viva
l'Italia! viva la libertà!...”. E davo
coccarde, e andavo innanzi....
Mentre
ella parlava, io me la raffiguravo alta e bella e fiera, nell'incanto della
donna di trent'anni, col suo bel vestito a quadri, con la sciarpa tricolore;
tra la folla stupita, commossa dallo spettacolo di audacia e di beltà; me la
raffiguravo agitatrice, non torbida come una virago, come una amazzone antica,
e neppure come una demoiselle Théroigne armata di picca, e coi bruni riccioli
sfuggenti di sotto all'elmo: ella rimaneva donna, con tutti i fascini della
muliebrità, anche in quei momenti pericolosi e tra lo scoppiar della guerra...
Piccole storie nella grande fa parte di Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.
Nella foto: Piazza della Fieravecchia oggi piazza della Rivoluzione, dove ebbe inizio la rivoluzione del 12 gennaio 1848.
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
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