Il 21
di maggio, mentre Garibaldi studiava la sua marcia strategica, le squadre di
Pilo erano attaccate da tre forti colonne borboniche. I nostri non eran più di
trecento cinquanta; i borbonici oltre un migliaio; ed eran padroni di alture.
Corrao sosteneva il fuoco; ma il pericolo d'essere soverchiato era imminente;
Pilo accorso con Calvino, salito, contro il consiglio di Corrao, in alto per
vedere le posizioni, riconosciuto il pericolo pensò di rivolgersi a Garibaldi,
per aver aiuti: Calvino e Corrao, stavano in basso; e voltavan le spalle al
Pilo, che aveva con sè Andrea Soldano, di Lipari.
Veramente,
per accorrere in aiuto delle squadre, non era forse necessario domandarlo. Gli
avamposti garibaldini si spingevano presso la Boarra, e, oltre la loro estrema
punta, a Lenzitti era la squadra di Pietro Piediscalzi, attaccata anch'essa dai
regi. Il combattimento dunque si svolgeva poco lontano. Nondimeno il
Piediscalzi a Lenzitti, Pilo e Corrao alla Niviera furon lasciati soli, senza
soccorso, a sostenere il fuoco dei regi, che movevano da Monreale e da Palermo.
Era una necessità dolorosa, non un abbandono, badiamo; e la
rilevo qui, perchè questo fatto d'arme, nel quale, con altri, lasciarono la
vita Pietro Piediscalzi e Rosalino Pilo appaia veramente quello che fu: un
olocausto, una immolazione per impedire che il campo garibaldino fosse
assalito, e rendere possibile a Garibaldi la sua strategica diversione.
Rosalino Pilo fu colpito alla testa, mentre scriveva, in piedi, fra due rocce,
appoggiando la carta sulle spalle del Soldano. Alle grida del quale accorsero
il Corrao, il Calvino e altri, sollevarono il Pilo boccheggiante, e lo
portarono nella casa della Neviera, d'onde poi l'abate Castelli, avvertito, lo
fece di sera trasportare nel monastero di S. Martino.
La
morte dell'eroe fu avvolta di tristi voci: la versione più ovvia, più
naturale, che egli sia stato ucciso da palla borbonica, (non essendo i regi,
che eran ben armati, più lontani di 700 metri; ed avendo egli il capo
scoperto); questa versione, che consacrava il suo martirio, si è voluta
scartare, e si cominciò col l'accusare di averlo ucciso a tradimento Giovanni
Corrao, che invece – e risulta da testimonianze, – stava in basso col Calvino e
volgendogli le spalle: e l’invereconda e infame accusa contro chi era stato il
compagno, il fratello di Rosalino, e che pel coraggio leonino, per la franchezza,
per tutta la sua vita, non avrebbe mai commessa una viltà, aveva forse il fine
partigiano e astioso di offuscare l'eroica figura del fiero popolano repubblicano,
alla cui lealtà Garibaldi rese omaggio e allora e poi.
Scartata,
perchè bugiarda e ignominiosa, l’accusa contro il Corrao, si volle ucciso
Rosalino Pilo ora da un Morrealese, or da uno di Capaci, e ora da uno di
Carini: per quale insania, io non so; forse, per quelle stesse ragioni che
dissero Carlo Mosto, une dei Mille caduto alla fazione di Parco, ucciso da uno
di quei terrazzani; quando il Rivalta, che gli era vicino, lo vide morire per
mano dei regi! Questa nostra rivoluzione era così incolpevole, gli entusiasmi
le davano tanta purezza, che occorreva forse gittare un'ombra oscura su quelle
squadre e su quelle popolazioni, che pur davano il loro sangue, agevolavano e
salvavano la marcia di Garibaldi.
Con la
morte di Pilo finisce l’azione autonoma delle squadre durata dal 5 aprile al 21
maggio: da questo momento esse seguono la fortuna dei Mille, e di loro gli
storici non terranno parola, o forse per dileggiarle: dimenticando che senza di
esse e senza la rivoluzione i Mille non avrebbero potuto fare un passo, e
sarebbero rimasti vittime della loro audacia.
Ma che
non dissero gli storici? Uno, più grave perché uso a non affermar nulla senza
documentazione, non accolse come verità le fanfaronate di uno dei Mille, che
fra le altre cose affermava che Palermo pareva una città di morti, e che i
Garibaldini, il 27 maggio erano costretti a snidare i Palermitani “per far fare
loro la rivoluzione?”
Questi storici hanno anche un altro torto: quello di
credere che la spedizione dei Mille sia tutta la rivoluzione siciliana; o che,
forse, questa sia scoppiata per virtù di quella. Per cui essi, appena appena si
degnano di dare uno sguardo all’episodio del 4 aprile, allo stato
insurrezionale durato fino al 27 maggio, alla spedizione di Rosalino Pilo e di
Giovanni Corrao; e pare non sospettino neppure che senza questa e quello, né
Garibaldi né i Mille sarebbero salpati da Quarto.
Ora a tanti anni di distanza, quando i fatti storici si
possono guardare con maggior serenità, e altri documenti son venuti in luce, è
bene ristabilire la verità storica, senza esagerazioni, cadute ormai nel
dominio dei luoghi comuni, e senza reticenze inutili. E appunto per questo non
bisogna fondarsi unicamente sulle testimonianze raccolte da una parte sola: per
quanto meritevoli di credito esse vanno riscontrate con altre testimonianze, e
saggiate sulla pietra di paragone dei documenti. I Mille che seguirono
Garibaldi sono veramente mille eroi, e l’impresa alla quale si accinsero, fu
meravigliosa e miracolosa; ma per esser tali non è necessario tacere, travisare
e qualche volta calunniare il potentissimo aiuto che direttamente e
indirettamente ebbero in Sicilia dai Siciliani; non è necessario tacere
l’efficacia risolutiva dello ambiente; giacchè è bene affermarlo ancora una
volta e chiaramente, se la spedizione dei Mille non avesse trovato, neppure il
solo concorso morale di tutto un popolo in rivoluzione (dico rivoluzione, non
ribellione) Garibaldi e i Mille avrebbero incontrato la sorte dei fratelli
Bandiera e di Carlo Pisacane. Anzi, per rimanere in tema garibaldino, la
campagna di Sicilia del 1860, non avrebbe avuto esito diverso della campagna
dell’Agro Romano del 1867, che pure si compiè in condizioni numeriche e
d’armamento superiori. Vincitori, anche, a Calatafimi, i Mille avrebbero
avuta a Palermo una Mentana assai più disastrosa.
Ora gli esperti di cose militari, che studiano le cose
senza lirismo, hanno oramai riconosciuto che la marcia trionfale da Marsala a
Palermo e le vittorie strepitose dei legionari, oltre che al valore di essi e
all'azione dell’ambiente, si debbono anche agli errori innumerevoli e madornali
del comando generale delle truppe borboniche; e questi errori madornali furono
l’effetto della paura. Paura di combattere in un paese nemico in rivoluzione;
paura di vedersi assaliti da ogni parte dalla popolazione; paura di vedersi
tagliate le comunicazioni e la ritirata; paura di mancare – come mancarono – di
viveri, di ospedali, di medicine, di tutto.
Il che
risulta dai documenti, che hanno maggior valore delle lettere di un esaltato.
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana del 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano.
Pagine 525 - Prezzo di copertina € 24,00 - www.ibuonicuginieditori.it
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