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mercoledì 28 maggio 2025

28 maggio 1860: secondo giorno di bombe su Palermo. Dal diario di Antonio Beninati. Fa parte di: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860

Tanto i nostri che i Piemontesi sono stanchi: parecchi dormono dietro le porte dei negozi, ne ho visto dormire sulle panche del tonno; è una vera stretta al cuore, digiuni, stracchi del cammino, privi di sonno!
Quello che avvilisce è il fiero bombardamento. Parecchi piemontesi feriti hanno trovato asilo nelle famiglie agiate; il resto a S. Domenico o allo Spasimo. Tragedia, tragedia! E pure il popolo grida: "Viva Italia, Garibaldi e S. Rosalia!"
Le truppe borboniche invadenti la via Castro e le adiacenze, oltre il saccheggio e gl'incendi, uccisero nelle proprie case molti innocenti, fra i quali il maestro di francese Firaux ed il mio compagno d'ufficio Pagano; presero in ostaggio parecchie famiglie di pacifici cittadini, non risparmiando le donne e i bambini: tutti in massa furono condotti a Palazzo Reale o alla Prefettura o al Ministero. Quei disgraziati, stando in mezzo a quella sbirraglia, furono oggetto di oltreggi e di nefandezze che non si possono scrivere, ma che facilmente si comprendono. 
Dopo due ore fu dato ordine dal Generale Lanza di mettere in libertà nove persone di età diversa. Quegli infelici furono staccati dalle loro famiglie e congedati. Infamia! Fatti non più di ottanta passi furono colti alle spalle da una scarica di fucileria. 
Tuttavia sono insepolti nella piazza; i nomi non si conoscono. Ecco le bravure delle truppe del Borbone. 
La chiesa di S. Tommaso de' Greci ai Biscottai è stata incendiata, compreso il soprastante oratorio; nell'incendio perì il cappellano Millonze, nipote del beneficiale. La chiesa della Incoronazione ed il loggiato annesso furono distrutti dagli incendi. 
Le squadre ed i Piemontesi attaccano con grande violenza le truppe nelle vicinanze della Cattedrale, nella via Castro: le case della Piazzetta dei Tedeschi bruciano come vulcani; la gente scappa da quei rioni e cerca ricovero nel quartiere della Kalsa. 
Ho visitato l'Ospedale dentro la Chiesa di S. Domenico; i frati e distinti cittadini assistono i feriti, buona parte di essi vengono dal piano della Lumia, nel quale rione il bombardamento ha dato la morte a non poche persone.
Arrivano molte oblazioni al Generale, sia in denaro, che in effetti di uso; la famiglia Zingone manda molti oggetti di cotonerie e materassi; altri commercianti fanno lo stesso; tutto viene conservato nell'atrio della Università, però sempre sotto la sorveglianza del Comitato provvisorio. 
Il fabbricato di S. Caterina è caduto; il noto negozio di teleria del francese Berlioz è in fiamme; la profumeria Argento è al suolo; la stessa sorte ha toccato al negozio di modisteria della signora Ajello.
Il grande fabbricato brucia fino alla vista delle monache; una bomba cade al Municipio e rompe il cornicione dirimpetto alla Posta. 
Da per tutto si vedono feriti, che la pietà dei cittadini toglie dalle macerie del bombardamento. 
La munizione è scarsa, e se non fosse per D. Giuseppe Briuccia che aperse il magazzino e diede piombo a sufficienza al Comitato per fare palle, vi sarebbe un altro guaio. Rammacca manda polvere e si fanno cartucce nella via Stazzone: ma i fucili e i cannoni che doveva portare Garibaldi?? Siamo stati ingannati con parole; e noi minchioni che abbiamo prestato fede. 
Prevedo che questa notte sarà tristissima, a molta distanza si sentono le esplosioni di bombe e granate. I Piemontesi si battono come leoni a petto nudo. 


Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo poste o corriere in tutta Italia).
Disponibile su Amazon Prime e tutti gli store di vendita online.
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27 maggio 1860: primo giorno di bombe su Palermo. Tratto dal Diario di Antonio Beninati. Fa parte di: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860

Ore 10 e mezzo. Comincia il bombardamento; dicono che siano cadute molte bombe nel piano del palazzo Reale e recato danno alle truppe stesse, può darsi; una bomba cade nella chiesa di S. Giuseppe, rompe la volta del tempio, trafora il pavimento e scoppia nella sottostante chiesa della Madonna della Provvidenza, ed uccide una nipote del prof. Scandurra.
Si è aperto il fuoco a porta Carini contro le truppe che stanno a San Francesco di Paola; il fuoco è molto nutrito, e vi sono abbastanza feriti; il sacerdote Francesco Russo, in mezzo all'attacco, conduce i feriti sulle spalle e li ricovera a San Gregorio.
Mentre mi porto al Municipio, in compagnia di Berti, in Piazza Sant'Anna cade una bomba nelle case di Canzano, uccide due persone e parecchie ne ferisce; uccide un cavallo attaccato al palazzo del marchese Sorrentino.
Un forte combattimento si è impegnato fra le squadre capitanate da Salvatore Morello e i cacciatori di quartiere a S. Antonino. Un altro combattimento con le truppe di Palazzo Reale che cercano scendere pel Cassaro e per la via Castro.
Le bombe cadono nel Monastero di S. Caterina a poche canne del Municipio; il fabbricato minaccia rovina. Al cadere delle bombe il popolo grida: "Viva S. Rosalia, di caniglia sunnu!". Io dico in me chi sa quante persone passan all'altro mondo.
Ritorno a casa affamato; prendo un pezzo di pane e delle olive. Cadono due bombe una nel cortile Cannella, una nella piazzetta; la prima si porta all'altro mondo Neli Fuso e moglie, la di loro figlia Giuseppa orribilmente ferita, viene condotta all'Ospedale S. Anna; ma mentre i medici fanno per medicarla, nell'Ospedale cade una bomba e produce un fuggi fuggi, perchè sotto l'Ospedale sono i magazzini di canape del signor Radicella.
Si combatte a S. Antonino, a porta Carini, alla Cattedrale, nella via Castro; ma v'è dippiù il fiero bombardamento, che avvilisce le persone di grande coraggio. Se durante la notte continua il bombardamento, addio Palermo.
Porzione del fabbricato di S. Caterina è caduto sulla chiesa di S. Matteo; le campane delle chiese non hanno cessato di suonare tutta la giornata; la parrocchia di S. Giacomo è rovinata per le cannonate tirate dal forte di Castellammare. Il popolo pr questa sera prepara una grande illuminazione.
Cade una granata all'angolo della via Calderai e propriamente a pochi palmi da un quadro di S. Rosalia: la granata non scoppia, resta conficcata nel muro; si grida al miracolo, la gente prega e grida: Viva S. Rosalia!
Ora stesso è caduta una bomba dentro il palazzo di Ruggiero Settimo, fortunatamente nell'atrio; in modo che ha prodotto un danno lieve. Altre due nella via Calascibetta, vicino l'abitazione di D. Vittorio il tintore.
Viva l'Italia! si grida sempre.
Si prepara dai privati grande illuminazione; questa notte non si dormirà di certo...




Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o poste in tutta Italia)
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mercoledì 21 maggio 2025

Luigi Natoli: 21 maggio 1860. La morte di Rosolino Pilo fu un olocausto per impedire che il campo garibaldino fosse assalito. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.

Il 21 di maggio, mentre Garibaldi studiava la sua marcia strategica, le squadre di Pilo erano attaccate da tre forti colonne borboniche. I nostri non eran più di trecento cinquanta; i borbonici oltre un migliaio; ed eran padroni di alture. Corrao sosteneva il fuoco; ma il pericolo d'essere soverchiato era imminente; Pilo ac­corso con Calvino, salito, contro il consiglio di Corrao, in alto per vedere le posizioni, riconosciuto il pericolo pensò di rivolgersi a Garibaldi, per aver aiuti: Calvino e Corrao, stavano in basso; e voltavan le spalle al Pilo, che aveva con sè Andrea Soldano, di Lipari.
Veramente, per accorrere in aiuto delle squadre, non era forse necessario domandarlo. Gli avamposti garibaldini si spingevano presso la Boarra, e, oltre la loro estrema punta, a Lenzitti era la squadra di Pietro Piediscalzi, attaccata anch'essa dai regi. Il combatti­mento dunque si svolgeva poco lontano. Nondimeno il Piediscalzi a Lenzitti, Pilo e Corrao alla Niviera furon lasciati soli, senza soccorso, a sostenere il fuoco dei regi, che movevano da Monreale e da Palermo. Era una necessità dolorosa, non un abbandono, badiamo; e la rilevo qui, perchè questo fatto d'arme, nel quale, con altri, lasciarono la vita Pietro Piediscalzi e Rosalino Pilo appaia veramente quello che fu: un olocausto, una immolazione per impedire che il campo garibaldino fosse assalito, e rendere possibile a Garibaldi la sua stra­tegica diversione. Rosalino Pilo fu colpito alla testa, mentre scriveva, in piedi, fra due rocce, appoggiando la carta sulle spalle del Soldano. Alle grida del quale accorsero il Corrao, il Calvino e altri, sollevarono il Pilo boccheggiante, e lo portarono nella casa della Neviera, d'onde poi l'abate Castelli, avvertito, lo fece di sera trasportare nel monastero di S. Martino.
La morte dell'eroe fu avvolta di tristi voci: la ver­sione più ovvia, più naturale, che egli sia stato ucciso da palla borbonica, (non essendo i regi, che eran ben armati, più lontani di 700 metri; ed avendo egli il capo scoperto); questa versione, che consacrava il suo mar­tirio, si è voluta scartare, e si cominciò col l'accusare di averlo ucciso a tradimento Giovanni Corrao, che invece – e risulta da testimonianze, – stava in basso col Calvino e volgendogli le spalle: e l’invereconda e infame accusa contro chi era stato il compagno, il fra­tello di Rosalino, e che pel coraggio leonino, per la fran­chezza, per tutta la sua vita, non avrebbe mai com­messa una viltà, aveva forse il fine partigiano e astioso di offuscare l'eroica figura del fiero popolano repubbli­cano, alla cui lealtà Garibaldi rese omaggio e allora e poi.
Scartata, perchè bugiarda e ignominiosa, l’accusa contro il Corrao, si volle ucciso Rosalino Pilo ora da un Morrealese, or da uno di Capaci, e ora da uno di Carini: per quale insania, io non so; forse, per quelle stesse ragioni che dissero Carlo Mosto, une dei Mille caduto alla fazione di Parco, ucciso da uno di quei terrazzani; quando il Rivalta, che gli era vicino, lo vide morire per mano dei regi! Questa nostra rivoluzione era così incol­pevole, gli entusiasmi le davano tanta purezza, che occorreva forse gittare un'ombra oscura su quelle squa­dre e su quelle popolazioni, che pur davano il loro sangue, agevolavano e salvavano la marcia di Garibaldi.
Con la morte di Pilo finisce l’azione autonoma delle squadre durata dal 5 aprile al 21 maggio: da questo momento esse seguono la fortuna dei Mille, e di loro gli storici non terranno parola, o forse per dileggiarle: dimenticando che senza di esse e senza la rivoluzione i Mille non avrebbero potuto fare un passo, e sarebbero rimasti vittime della loro audacia.
Ma che non dissero gli storici? Uno, più grave perché uso a non affermar nulla senza documentazione, non accolse come verità le fanfaronate di uno dei Mille, che fra le altre cose affermava che Palermo pareva una città di morti, e che i Garibaldini, il 27 maggio erano costretti a snidare i Palermitani “per far fare loro la rivoluzione?”
Questi storici hanno anche un altro torto: quello di credere che la spedizione dei Mille sia tutta la rivoluzione siciliana; o che, forse, questa sia scoppiata per virtù di quella. Per cui essi, appena appena si degnano di dare uno sguardo all’episodio del 4 aprile, allo stato insurrezionale durato fino al 27 maggio, alla spedizione di Rosalino Pilo e di Giovanni Corrao; e pare non sospettino neppure che senza questa e quello, né Garibaldi né i Mille sarebbero salpati da Quarto.
Ora a tanti anni di distanza, quando i fatti storici si possono guardare con maggior serenità, e altri documenti son venuti in luce, è bene ristabilire la verità storica, senza esagerazioni, cadute ormai nel dominio dei luoghi comuni, e senza reticenze inutili. E appunto per questo non bisogna fondarsi unicamente sulle testimonianze raccolte da una parte sola: per quanto meritevoli di credito esse vanno riscontrate con altre testimonianze, e saggiate sulla pietra di paragone dei documenti. I Mille che seguirono Garibaldi sono veramente mille eroi, e l’impresa alla quale si accinsero, fu meravigliosa e miracolosa; ma per esser tali non è necessario tacere, travisare e qualche volta calunniare il potentissimo aiuto che direttamente e indirettamente ebbero in Sicilia dai Siciliani; non è necessario tacere l’efficacia risolutiva dello ambiente; giacchè è bene affermarlo ancora una volta e chiaramente, se la spedizione dei Mille non avesse trovato, neppure il solo concorso morale di tutto un popolo in rivoluzione (dico rivoluzione, non ribellione) Garibaldi e i Mille avrebbero incontrato la sorte dei fratelli Bandiera e di Carlo Pisacane. Anzi, per rimanere in tema garibaldino, la campagna di Sicilia del 1860, non avrebbe avuto esito diverso della campagna dell’Agro Romano del 1867, che pure si compiè in condizioni numeriche e d’armamento superiori. Vincitori, anche, a Calatafimi, i Mille avreb­bero avuta a Palermo una Mentana assai più disastrosa.
Ora gli esperti di cose militari, che studiano le cose senza lirismo, hanno oramai riconosciuto che la marcia trionfale da Marsala a Palermo e le vittorie strepitose dei legionari, oltre che al valore di essi e all'azione dell’ambiente, si debbono anche agli errori innumerevoli e madornali del comando generale delle truppe borbo­niche; e questi errori madornali furono l’effetto della paura. Paura di combattere in un paese nemico in rivo­luzione; paura di vedersi assaliti da ogni parte dalla popolazione; paura di vedersi tagliate le comunicazioni e la ritirata; paura di mancare – come mancarono – ­di viveri, di ospedali, di medicine, di tutto.
Il che risulta dai documenti, che hanno maggior valore delle lettere di un esaltato…

Nella foto: tomba di Rosolino Pilo, nella chiesa di San Domenico, a Palermo. 



Rivendicazioni. La Rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano – Raccolta di scritti storici e storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere originali. Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 

Il volume è disponibile: 
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o posta in tutta Italia)
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte La Feltrinelli), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79). 

Luigi Natoli: 21 maggio 1860. Moriva Rosolino Pilo, vero precursore di Garibaldi al quale aperse la via. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Le squadre di Rosolino Pilo intanto erano contemporaneamente, da due punti, attaccate dai regi sulla Neviera di Monte Cristo; e incoraggiate dall’ardire del Corrao, si sostenevano; sebbene i regi, stando in alto, avessero miglior vantaggio. Rosolino Pilo, che col Calvino stava a S. Martino, alle fucilate accorse, e, sebbene sconsigliato dal Corrao, volle salire sul punto più elevato, seguito da Andrea Soldano; e di là, osservata la posizione, stando in una insenatura fra due massi, accingevasi a scrivere a Garibaldi per domandare rinforzi. Contrariamente a quanto se ne scrive, il Soldano, testimonio oculare, che gli faceva da ordinanza, afferma che il Pilo scriveva in piedi, appoggiando il foglio su la spalla del Soldano stesso. Il capo, sorpassando oltre l’altezza delle rocce, gli rimaneva scoperto ai colpi: così una palla nemica lo colse un po’dietro la tempia, e cadde. Alle grida del Soldano accorsero il Corrao, Calvino, altri; lo sollevarono, lo trasportarono dentro la Neviera: il Pilo dava in convulsioni.
Non essendo speranza di salvarlo, il Corrao, piangendo, gli tolse il portafogli che conteneva documenti, e tornò al suo posto di combattimento. Pilo vestiva giacca e calzoni chiari, berretto a barca, fazzoletto al collo, stivali alti: sotto la giacca portava una sciarpa tricolore di seta all’uncinetto, forse dono della donna amata, cui il giorno prima aveva scritto per l’ultima volta. In tasca non aveva che l’orologio e due fazzoletti. Questi e la borsa furon poi dal Soldano consegnati a Giuseppe Pilo.
Così nel mattino del 21 di maggio, quando era già sicuro di salutare la sua terra nativa libera e vittoriosa, e vedere avverato il sogno della sua ardente giovinezza, l’unità della gran patria; così moriva Rosolino Pilo, cuor puro e grande, di fede integra e immutabile: vero precursore di Garibaldi, al quale aperse la via con la pertinacia, con l’audace iniziativa, con la fede nella riuscita, con l’esempio.
Il Corrao, avvertì il Generale dell’accaduto, operò la ritirata sopra Montelepre; indi si stabilì all’Inserra, nella casa del Monaco, spingendo la catena delle sue squadre su Monte Cuccio da un lato, e su Sferracavallo dall’altra; e lì, accendendo la notte grandi fuochi, di giorno molestando i regi, aspettò gli ordini del Dittatore.
Il quale, quel medesimo giorno 21, ricevute notizie da Palermo, dopo una ricognizione agli avamposti, quando già sembrava tutto disposto per un attacco, diede ordine di ripiegar nuovamente verso Renda, col proposito di richiamarvi le truppe borboniche; indi nella notte, sotto una pioggia minuta e incessante, per angusti pendii, trasportando i cannoni a braccia, guidato da giovani albanesi della squadra del Piediscalzi pratici dei luoghi, discese per Misilgandone, fino al luogo detto Spartiviola, oltrepassò il Ponte dei Greci sopra il torrente di Fiume Lato, oltre il quale cominciò la salita delle opposte colline su cui siede il villaggio del Parco. Per un podere detto Vigna delle Alpi, poi per quello del barone Maggio, giunsero i volontari alla Torretta, donde per uno stretto sentiero discesero al Parco. Non era il percorso più di nove miglia, e tuttavia dovettero impiegarvi tutta una notte, per le grandi e crudeli difficoltà del terreno. Al Parco ebbero ristoro dalla popolazione e dai frati; accesero grandi fuochi per asciugarsi: e intanto per premunirsi da ogni assalto, Garibaldi distendeva alcune squadriglie e i carabinieri genovesi, di fianco, a dominare la strada: fortificando coi cannoni una collina detta Cozzo di Crasto, sopra il villaggio.
Da quell’altura si vedeva la maravigliosa Conca d’Oro e la città vegliante e il mare gremito di navi...
(Nella foto: La tomba di Rosolino Pilo nella chiesa di S. Domenico in Palermo)

Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno


Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo. Consegna a mezzo corriere o poste in tutta Italia. 
Su Amazon e tutti gli store di vendita online.
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Bancarella (Via Cavour)

Luigi Natoli: La missione di Rosolino Pilo e Giovanni Corrao nel Risorgimento siciliano. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Il Pilo e il Corrao veduto qualcuno del comitato messinese, sbarcate e nascoste le poche armi in luogo sicuro, raccolte notizie da Catania e dai dintorni, mossero alla volta di Palermo. Ma prima ragguagliarono d’ogni cosa i fratelli Orlando, che erano stati fra’più ferventi e operosi nell’aiutare e favorire l’impresa: ed erano autorevoli per integrità di carattere, bontà di costume, fede sincera e disinteressato patriottismo: e pregandoli di adoperarsi, perché non venissero meno gli aiuti dei fratelli della penisola, il Pilo, affermando “venuto il tempo d’essere audaci” aggiungeva: “Io sarò felice di poter dare tutto il mio sangue all’Italia nostra”. Scrisse anche a Garibaldi e a Bertani, e le lettere affidò al pilota Motto, pregandolo di salpar subito per recapitarle.
Pilo e Corrao partirono il 12 aprile in pellegrinaggio di propaganda, non temendo le compagnie d’armi e le colonne mobili e i birri, che la polizia avvertita del loro sbarco, avrebbe sguinzagliato sulle loro tracce. La polizia già da qualche tempo innanzi era stata avvisata dai suoi agenti; e sul finire del ‘59 il luogotenente generale aveva scritto al sotto-intendente di Termini, di un prossimo sbarco del “noto agente mazziniano Rosolino Pilo associato a uno dei fratelli Orlando”. Non di meno nulla seppe per allora dell’avvenuto sbarco, e i due audaci poteron procedere indisturbati nel loro cammino. A Barcellona un vecchio liberale, pauroso degli apparati del governo, li consigliò di non proseguire, comunicando che la rivoluzione di Palermo era fallita: rispose fieramente il Corrao di non esser venuti in Sicilia per ritornare indietro, e che avrebbero preferito consegnar la testa al carnefice, piuttosto che esular novamente: eran venuti per la rivoluzione e l’avrebbero fatta, tanto più che forse in quell’ora Garibaldi si apprestava a venire. Pilo abbracciò il compagno.

Ripreso il cammino, per dove passavano, convocavano i giovani, li esortavano a prendere le armi, insegnavano a costruire bombe; accendevan dovunque fiamme di libertà; e d’ogni cosa ragguagliavano con lettere ardentissime i fratelli Orlando, Garibaldi, Bertani, Fabrizi. Più s’avvicinavano a Palermo, e più visibili erano i segni della rivoluzione. Spediti messi sicuri al comitato di Palermo, e ricevuti soccorsi di denaro e promesse, Pilo convocò i principali e più vicini capi di squadriglie; e tosto convennero il La Porta, il Firmaturi, il barone di S. Anna, e poco dopo anche Pietro Lo Squiglio, già valoroso combattente in Palermo, e legionario siciliano in Lombardia nel 1848, scampato il 18 aprile al combattimento di Carini, serbato a più gloriosa morte dinanzi le mura di Palermo. Presi gli accordi e separatisi da quei capi, il Pilo, il Corrao e il Lo Squiglio qualche giorno dopo lasciarono Piana dei Greci, in tempo per sfuggire a una sorpresa. E difatti i cartelli sediziosi sparsi dal Comitato segreto di Palermo, nei quali si annunciava l’arrivo “dei prodi emigrati”; il ripreso coraggio dei “tristi”, come avvisava il luogotenente generale, che “si presentavano a una nuova riscossa”; le notizie delle spie, forse, avevano indotto il governo a ordinare l’occupazione di Piana dei Greci nella notte sopra il 25 aprile.
I tre valorosi, dopo una breve sosta al monastero di S. Martino, si ritirarono sull’altipiano dell’Inserra, che a cavallo di due vallate, dominava le strade e i sentieri, e offriva modo di scoprire ogni movimento delle truppe, e tenersi in facili comunicazioni coi comuni che maggior contributo avevano dato alla rivoluzione. Di là spedirono messi ai capi delle squadre, al comitato; rincorando i dubitosi, infondendo fiducia, promettendo il prossimo sbarco di due spedizioni una da Malta, l’altra da Genova con Garibaldi; le quali il Pilo, che vi credeva fermamente, sollecitava con lettere impetuose e forse esagerate.

Convocato un consiglio, deliberato di riorganizzare le disperse squadre per riprendere l’offensiva o almeno le molestie per stancar le truppe, Rosolino Pilo che aveva già sottoscritta una cambiale di sei mila lire, per aver danari, attese a eseguire quanto si era deliberato. Si stabilì il quartiere generale a Carini, non domata dagli incendi e dalle stragi delle truppe, generosa e pronta sempre; ed ivi si ordinò il corpo di operazione: Rosolino Pilo capo supremo, Corrao comandante di tutte le squadre, Pietro Tondù alla sopraintendenza, Giuseppe Bruno-Giordano all’ispezione dei corrieri e delle guide, Giovan Battista Marinuzzi ufficiale pagatore, i preti carinesi Calderone e Misseri, che si erano battuti in quei giorni, cappellani. Ogni paesetto dei dintorni mandò il suo contributo d’uomini e denari; Torretta quarantaquattro uomini e cento onze (1275 lire); Montelepre cinquanta uomini e cent’onze; quattrocento uomini i Colli di Palermo e Capaci; centocinquanta con la musica la Favarotta, cinquanta Tommaso Natale e Sferracavallo. Si aspettavano le ricostituite squadre di Partinico, Alcamo, Piana, Corleone, Misilmeri, Marineo. Corrao a mano a mano divideva queste forze in squadre di dieci uomini con un caporale; ogni dieci squadre formavano una centuria con un capo e un sotto capo.
Tra il maggio odoroso, e tra’colli e i giardini verdeggianti, il sole mirava quelle schiere esercitarsi alle prossime lotte. E intanto solcavano già il mar di Sicilia i due navigli che portavano Garibaldi e i Mille, la fortuna, la gloria della rivoluzione, l’unità della patria, il compimento di un sogno al quale, immolandosi, avevano aperta la via centinaia di martiri...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
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La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, a mezzo corriere o posta in tutta Italia)
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In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), La Nuova Bancarella (Via Cavour, di fronte La Feltrinelli). 
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giovedì 15 maggio 2025

Luigi Natoli: 15 maggio 1860. La battaglia di Calatafimi. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione


Il 15 maggio, Garibaldi, lasciata Salemi sull’albeggiare, attraversata Vita, mandò esploratori per informazioni, e seppe che i regi fatta lor base di Calatafimi, movevano per fermargli la marcia. Era infatti la colonna del generale Landi, alla quale si era congiunto il battaglione del maggiore Sforza: tremila uomini in tutto, con cannoni e uno squadrone di cavalleria. Non tutte queste forze entrarono in azione. Temendo d’esser tagliato fuori, mancando di munizioni sufficienti, non potendo far manovrare la cavalleria per le condizioni del terreno, il Landi spinse l’ottavo battaglione cacciatori e i cannoni, con l’intenzione di aggirare Garibaldi, e col resto se ne stette a Calatafimi. Per altro i suoi, armati di eccellenti carabine, occupavano forti posizioni, dalle quali difficilmente avrebbero potuto essere sloggiati.
Garibaldi aveva a Salemi riordinato il suo piccolo esercito su due battaglioni; il primo con le compagnie Palizzolo, Stocco, Forni e Dezza, comandato dal Bixio; il secondo con le compagnie Ciaccio, Cairoli, Grizziotti, Bassini, Anfossi sotto gli ordini di Carini. I carabinieri genovesi con Antonio Mosto, l’artiglieria con Orsini, il genio con Minutilla, i marinai cannonieri con Castiglia, formavano dei corpi distinti. La strada che da Vita mena a Calatafimi, segue le ondulazioni di un terreno formato di alte colline, separate da avvallamenti. A riconoscere le posizioni del nemico, il Generale spedì innanzi il La Masa, da una parte, il Calvino dall’altra; e poco mancò l’uno e l’altro non rimanessero vittime di accidenti; il La Masa, gittatosi dal cavallo, impennatoglisi sull’orlo di un burrone, e battuto fieramente il capo, ne rimaneva stordito, e ciò gli procurò calunnie astiose: il Calvino imbattè in gente armata che voleva trascinarlo con sé. Saputo Garibaldi che i Napoletani si erano fortificati sopra una collina, detta delle Piante dei Romano (non Pianto come si è scritto) ordinò il suo corpo in battaglia. I volontari alla destra della strada carreggiabile, mirando alla sinistra dei regi, per minacciar loro la strada di Palermo; alla sinistra le squadre del Coppola e del Sant’Anna; le squadriglie senz’arme o armate soltanto di lance, avviò a coronare i colli circostanti, per spaventare il nemico; l’artiglieria rimase sulla strada, nel centro. Raggiunta la sommità delle colline di Vita scoperse il nemico; che stando sopra le colline di fronte dinanzi Calatafimi, spinse tosto una catena di cacciatori a occupare la prima collina, aprendo il fuoco. Garibaldi aveva dato ordini di non rispondere sapendo i suoi armati di vecchi fucili pressoché inservibili, e non potendo contare che sugli assalti alla baionetta. Soltanto i carabinieri genovesi, formidabili tiratori, avevano buone carabine; onde Garibaldi li mandò all’avanguardia.
Ben presto cominciarono le fucilate; alle quali i borbonici aggiunsero i colpi dei loro cannoni ben piazzati. Ma l’ottava compagnia insofferente, senza aspettar ordine, si lanciò contro l’avanguardia borbonica, respingendola oltre la prima collina fin presso al grosso delle truppe, e allora fu necessario suonar la carica, e spingere tutte le compagnie all’assalto. Pugna terribile e micidiale. Le colline sopra le quali stavano i borbonici eran formate di grandi scaglioni, che usano i contadini per impedire alla terra di cedere alla furia delle pioggie. Bisognava conquistar questi scaglioni, un dopo l’altro, sotto la grandine de le palle e della mitraglia. Fu un fuoco d’inferno che seminò la morte. Garibaldi, con la spada nel fodero sopra l’omero, a piedi, avanzavasi lento, silenzioso fra la strage dei suoi. Bixio corse a fargli riparo, e pregarlo di ritirarsi. “Qui si fa l’Italia” – rispose, – “o si muore!”.




Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
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15 maggio 1860: il concorso delle squadre siciliane a Calatafimi e le falsità degli storici. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

Sul concorso dei Siciliani a Calatafimi, lo storico Luzio si limita a ricordare i frati francescani, che combattevano valorosamente, che erano 6 o 12, pel Bandi, e due per l’Abba, più esatto.Ma quanto alle squadre, gli scrittori garibaldini o tacciono o travisano o calunniano: chi scrisse che esse erano di imbarazzo; e che Garibaldi, a Calatafimi, le relegò sopra un colle dove stettero a vedere; e chi, misero cuore e più misero cervello, aggiunse che stavan lì per gittarsi dalla parte del vincitore: tutti tacquero o negarono che esse si fossero battute accanto ai Mille sul colle fatale: salvo quei frati francescani. E non mancò chi scrisse che solo quattordici “valentuomini” spacconi, si presentarono a Garibaldi, ma per rubare i fucili ai volontari e sparire!(122).
Or bene degli storici venuti dopo, e il Luzio con essi, nessuno si domandò come mai Garibaldi avesse potuto formare a Salemi una nona compagnia al comando del Grizziotti. La verità è invece che a Salemi raggiunsero Garibaldi le squadre di monte San Giuliano con Giuseppe Coppola; di Alcamo coi fratelli Sant’Anna; di Partanna, di Santa Ninfa; non tutte armate pei disarmi avvenuti pochi giorni innanzi; inoltre una quarantina di Marsalesi e più di trenta Salernitani che vi si aggiunsero; molti di costoro che non formavano distinte squadriglie, incorporati nei Mille, resero possibile la formazione della 9.a compagnia. Il 15 Garibaldi pose le squadre del Coppola alla sua sinistra: la squadra di Salemi sopra un colle a destra. Sui colli più lontani mandò quelli armati di lance, a gridare e spaventare il nemico.
A questo punto voglio citare una testimonianza, quella di Alessandro Dumas padre. Un romanziere? Sì, un romanziere che assai spesso è più esatto di molti storici: e del resto, poichè il Luzio cita la testimonianza di Ippolito Nievo, poeta e romanziere, voglio ben ricorrere anch’io a un romanziere. Dunque il Dumas che scrisse i primi capitoli dei suoi Garibaldiens, nel giugno del 1860, a Palermo, sulle notizie fornitegli da Garibaldi e da Stefano Türr, descrivendo la battaglia di Calatafimi, dice: “Les volontaires essuient le premier feu assis et sans bouger; seulement, a ce premier feu, une partie des picciotti disparait”. (Disparait forse non è esatto, e bisogna dire che si sparpagliarono, non avvezzi a combattere all’aperto e in ordine serrato; ma non monta, andiamo innanzi). “Cent cinquante, à peu prés, tiénnent ferme, retenus par Sant’Anna et Coppola, leur chefs, et deux franciscains quì, armés chacun d’un fusil, combattent dans leurs rangs”.
Dunque solo una parte, concediamolo pure, si dileguò al primo fuoco; ma almeno centocinquanta siciliani combatterono tra le file dei Mille, quel glorioso 15 Maggio. Perchè il Luzio non ha citato il Dumas? Che se egli sdegnò la testimonianza del Dumas, perchè non raccolse e non citò quella dello stesso Garibaldi, sulla quale gli storici passano allegramente sopra? Il domani del combattimento, scrivendo alla Direzione del fondo pel Milione dei fucili, l’Eroe diceva: “Avvenne un brillante fatto d’armi avant’ieri coi Regi capitanati dal generale Landi, presso Calatafimi. Il successo fu completo, e sbaragliati interamente i nemici. Devo confessare però che i Napoletani si batterono da leoni... Da quanto vi scrivo, dovete presumere quale fu il coraggio dei nostri vecchi Cacciatori delle Alpi e dei Siciliani che ci accompagnavano”. Ma rischiariamo un po’l’ombra che avvolge questi Siciliani.
Dopo la battaglia si ebbe doverosa premura di raccogliere devotamente i nomi di quelli dei Mille che caddero morti o feriti: ma non si fece altrettanto di quelli dei Siciliani che furono loro pari in valore e in sacrificio. Or bene, le pubblicazioni fatte nel 1910 ci mettono in grado di supplire, benchè tardi, alla ingiusta dimencanza. Sul colle di Calatafimi, dei Siciliani che si batterono, morirono Carlo Bertolino, Sebastiano Colicchia, Francesco Agosta; vi furono feriti Stefano Sant’Anna, Antonino Barraco, Ignazio Pandolfo, Nicolò Messina, Giuseppe Catalano, un Cangemi, Carmelo Rizzo, Vito La Porta(123). Altri morti e feriti ebbe la squadra del Coppola, dei quali non si conoscono i nomi. E non son tutti; chè quei nostri antichi, modesti e silenziosi, ritrattisi nell’ombra non vantarono l’opera propria nè curarono di tramandare l’altrui. Molti morirono dimenticati. E del loro valore non mancano prove segnalate: Giacomo Curatolo-Taddei fu promosso tenente il giorno dopo il combattimento: il Colicchia morì colpito in bocca, mentre si slanciava per strappare all’alfiere napoletano la bandiera; Simone Marino, o fra Francesco, fu il primo a lanciarsi per prendere il cannone nemico, e se ne diè vanto solo al Cariolato e al Meneghetti, che erano con lui. V’eran fra combattenti siciliani giovanetti di quindici anni, come Antonino Umile di Marsala: e perfino una donna, Maria Giacalone, la quale volle seguire il marito, Federico Messana, e con lui fece poi tutta la campagna e a S. Maria di Capua fu promossa caporala(124). E tutto ciò consta da documenti e testimonianze.
Ora rendere omaggio a quelli dei Mille che morirono o ebbero ferita, è dovere: ma tacere i nomi dei Siciliani caduti, negare anzi che si siano battuti, peggio ancora calunniarli, non è soltanto ingiustizia, è viltà.
Ma il torto è però nostro. Dal 4 aprile a tutto il 1860, noi in Sicilia demmo alla causa della libertà e dell’unità centinaia di morti; dei quali non raccogliemmo i nomi, nè si seppe mai chi fossero. I morti dei volontari potevano essere identificati agevolmente, con l’aiuto dei registri dell’Intendenza; ma quelli delle squadre, no. Neppure i capi-guerriglia conoscevano i nomi dei loro uomini; quei contadini lasciavano le loro terre, le loro case, le loro famiglie; andavano a ingrossare una squadra, combattevano, taciti, senza chiedere altro che il loro pane e le munizioni; morivano avvolti nello stesso silenzio; nessuno domandava chi erano, donde venivano; e i più, la gran maggioranza, restò ignota, anonima, senza postuma gloria, senza compianto, senza onori. Martiri oscuri diedero la vita alla Patria e non contesero la gloria a nessuno.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
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Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
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Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
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lunedì 12 maggio 2025

Luigi Natoli: ...E gli esuli siciliani, l'11 maggio 1860 ritti sulle prore salutavano la madre terra, per la cui redenzione venivano a dare la vita. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Elusa la crociera napoletana nel Tirreno, e mutata rotta, l’11 maggio il Piemonte e il Lombardo, filavano verso la Sicilia; e gli esuli Siciliani videro con le lagrime sugli occhi l’antico Erice avvolto fra le nebbie del mattino, faro gigantesco, che sembrava aspettare il ritorno dei figli lontani. Videro le Egadi tra il rosso vapore dell’aurora, e ritti sulle prore salutavano la madre terra, per la cui redenzione venivano a dare la vita. Garibaldi domandò a Salvatore Calvino, che era di Trapani, se conveniva tentare ivi lo sbarco; ne fu dissuaso, e anche dal Türr, che, come si era stabilito in un consiglio con Crispi, Orsini, Castiglia, propendeva per Marsala. Oltrepassata Favignana, incontrata una paranza comandata da Antonio Strazzera, fattala avvicinare, Garibaldi gli domandò se vi fossero legni da guerra napoletani in quei paraggi, e truppe in Marsala: seppe che i legni avevan preso il largo verso Sciacca, e che le truppe eran partite il giorno innanzi: ed allora ordinò che il Piemonte e il Lombardo a tutto vapore facessero rotta sopra Marsala, dove giunsero verso il tocco. Il Piemonte entrò nel porto, ove stavano all’ancora due navi inglesi l’Argus e l’Intrepid; il Lombardo arenò. Cominciò subito lo sbarco sulle scialuppe delle due navi e la paranza dello Strazzera, offertasi spontaneamente; altre barche furono obbligate a prestarsi.
Il corpo dei volontari non era ancor tutto sbarcato, quando apparvero due navi borboniche, lo Stromboli e il Capri, che venivano velocemente; e in breve si collocarono in posizione di combattimento dinanzi al porto. Ma la presenza delle due navi straniere, e la vista delle tuniche rosse sul molo, che sembrarono uniformi di truppe inglesi, resero dubitosi i comandanti delle navi borboniche; i quali per timor di complicazioni diplomatiche, mandarono un ufficiale a bordo delle navi britanniche, a chiedere informazioni prima di aprire il fuoco. L’indugio diede tempo al resto dei volontari di sbarcare, disporsi in colonna e marciare verso la città; e quando le navi borboniche tirarono, non fecero altro danno che uccidere un povero cane: sfogarono allora contro le due navi abbandonate; il Lombardo distrussero: il Piemonte rimorchiarono a Palermo, inutile trofeo della loro imperizia.
Questa nave, che avrebbe dovuto essere conservata, come testimonio di un prodigio, come cosa sacra, fu dall’Italia risorta mandata poi a Bari a far ufficio di rimorchiatore del cavafango!

Intanto, poiché non pareva al governo di Sicilia che avesse più a temere dalle bande; e perché i consueti traffici togliessero alla città l’aspetto triste e desolato, il comandante generale Salzano, con decreto del 3 maggio scioglieva “lo stato d’assedio messo nella città di Palermo e suo distretto”, mentre il luogotenente Castelcicala, con un proclama, contemporaneamente, faceva velate minacce agli agitatori e promesse di perdono ai pentiti, assicurando le intenzioni del Re per dare “alla Sicilia la maggiore prosperità e un riposato vivere civile”; e aggiungeva al proclama un altro decreto che comminava fiere prescrizioni agli asportatori e detentori di armi, senza licenza dell’autorità.
Lo stesso giorno scriveva al Ministero di Napoli, assicurando che la città ritornava alla calma, che si veniva ripigliando il lavoro, che le bande armate erano sciolte, tranquille le provincie, e che perciò non era necessario spedire altre colonne mobili. “Il potere va ripigliando tutto il suo prestigio sulle masse, le quali, per un momento illuse, credettero scosso il principio di autorità, e coll’aiuto di Dio, se la mano straniera non verrà materialmente ad incoraggiare ed a sospingere i malcontenti alla ribellione, la Sicilia, fra non guari, ritornerà alle pristine sue riposate e prospere condizioni”.
Ma intanto che il luogotenente ostentava così fondata sicurezza, circolavano per la città due proclami dal comitato segreto lanciati il 2 maggio: uno ai Siciliani, riepilogando le vicende dell’aprile, richiamando alla memoria le violenze poliziesche, protestava “il fermo proposito... di scuotere l’abborrito governo borbonico, di riunirci con le altre più fortunate provincie alla gran famiglia italiana e seguire i destini della Casa Savoia, alla quale, prima di ogni altra, la Sicilia si offerse con atto del Parlamento nel 1848, proclamato e ripetuto nelle 5 insurrezioni scoppiate dal ‘49 al ‘60”. L’altro proclama, concepito su per giù, nei medesimi termini, era diretto “ai fratelli d’Italia”. E quasi per commento ai due proclami e al decreto del luogotenente, una dimostrazione scoppiava il 2 maggio in piazza Ballarò, un’altra il 3; e le botteghe si ostinavano a rimaner chiuse, non ostante le imposizioni della polizia che volevale aperte...



Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
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Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
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martedì 6 maggio 2025

Luigi Natoli: Nella notte del 5, adunatisi a Quarto, i volontari si imbarcarono: eran mille e ottantacinque, compresa una donna, Rosalia Montmasson... Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Fissata la spedizione, la febbre accese tutte le vene. Garibaldi corse a Genova, e fatto chiamare il Fauchè, gerente della Società Rubattino, col quale già fin dal 9 aprile si era inteso, concertò per la cessione dei due piroscafi, il Lombardo e il Piemonte, incaricando Bixio di ogni cosa. Villa Spanola a Quarto diventò il quartiere generale della spedizione. Il Bertani, Crispi, Bixio, si moltiplicavano. Dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Liguria; da ogni regione d’Italia accorrevano volontari: i più non superavano il venticinquesimo anno; v’erano dei giovani quindicenni, uno di undici anni; cinque soltanto oltrepassavano i sessanta: la più parte benestanti o impiegati o professionisti; in minor numero, di popolo. Non avevan vestiti uniformi; pochi indossavano camicie rosse; Sirtori e Crispi vestivan di nero con cappello a cilindro, Bixio portava la divisa dell’esercito piemontese; gli altri giacche, giubbe, camiciotti, colori e forme disparate, armi pochissime: e queste, date dal La Farina per le sollecitazioni di Crispi e degli altri esuli, erano un mille fucili e munizioni, che caricati in barche dovevano aspettare i due piroscafi al largo.
La sera del 5 maggio, con simulata violenza, Bixio prese possesso dei due piroscafi, e li condusse a Quarto. Garibaldi, per mettere al sicuro la responsabilità del Fauchè, scrisse una lettera ai direttori della società Rubattino, promettendo rifarli dei danni; ma la Società poco dopo punì il gerente, destituendolo; né più volle riammetterlo in servizio, reo di aver favorito la più grande e meravigliosa impresa dei nostri tempi.
Prima di partire Garibaldi scrisse al Bertani, commettendogli di raccogliere aiuti d’uomini e di danari, scrisse anche al Caranti, protestando sé non aver consigliato il moto di Sicilia, ma non poter restare inerte e impassibile alla lotta per la libertà che vi si combatteva. Al Re Vittorio Emanuele indirizzò altra lettera, nella quale pur ripetendo quelle proteste, aggiungeva: “So che io m’impegno in una impresa pericolosa, ma ripongo la mia confidenza in Dio, come nel coraggio e nell’abnegazione dei miei compagni. Il nostro grido di guerra sarà sempre: “Viva l’Unità d’Italia! Viva Vittorio Emanuele nel suo primo e suo più prode soldato”. Se non riusciamo, io spero che l’Italia e l’Europa liberale non dimenticheranno che questa impresa è stata decisa per motivi puri di ogni egoismo e veramente patriottici. Se riusciamo, andrò superbo di ornare la corona di Vittorio Emanuele di questo nuovo e forse più brillante gioiello”.
Indirizzò ancora un proclama ai soldati italiani, raccomandando la disciplina, ed esortandoli a non abbandonare le file dell’esercito, e a stringersi “a quel Vittorio Emanuele, la di cui bravura può essere rallentata un momento da pusillanimi consiglieri, ma che non tarderà molto a condurci tutti a definitiva vittoria”.
Nella notte del 5, i volontari, adunatisi a Quarto, si imbarcarono; eran mille e ottantacinque, compresa una donna, Rosalia Montmasson, moglie e compagna devota e infaticabile di Francesco Crispi: si divisero fra i due vapori: Bixio prese il comando del Lombardo, Garibaldi quello del Piemonte, e in sott’ordine Salvatore Castiglia, palermitano esperto di cose marine, esule pei fatti del ‘48. Prima ancora che albeggiasse, i due vapori salparono l’ancora, e s’avventurarono nell’ignoto infinito; e il cielo accompagnavali col dolce scintillio delle stelle, che parevan tremar di gioia e di orgoglio; e dalla terra i supremi addii dei parenti e degli amici rimasti, non osavan rompere l’alto ed eloquente silenzio: voto, augurio, speranza, compianto e stupore in un tempo.
Le navi bordeggiarono alquanto, aspettando le barche con le armi; non vennero, né si seppe mai se per tradimento o per dispersione; onde ripresero il navigare. A bordo del Piemonte, Garibaldi ordinò la legione; le mantenne il nome glorioso ed augurale di Cacciatori delle Alpi; e in un ordine del giorno, premesso che la missione dal corpo era basata sull’abnegazione più completa, senza allettative di gradi e di ricompense, dava come grido di guerra quello stesso che rimbombò sulle sponde del Ticino: “Italia e Vittorio Emanuele”. Divise il corpo in sette compagnie comandate da Bixio, Orsini, Stocco, La Masa, Anfossi, Carini, Cairoli; Sirtori nominò capo dello Stato maggiore, di cui fecero parte Crispi come commissario civile, Manin, Calvino, Majocchi, Grizziotti, Borchetta, Bruzzesi; Türr primo aiutante di campo; altri aiutanti Cenni, Montanari, Bandi, Stagnetti: Basso, segretario; Acerbi, Bovi, Maestri, Rodi all’intendenza; Ripari, Boldrini, Giulini medici.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
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venerdì 18 aprile 2025

Luigi Natoli: la missione di Rosolino Pilo e Giovanni Corrao. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

Il Pilo e il Corrao veduto qualcuno del comitato messinese, sbarcate e nascoste le poche armi in luogo sicuro, raccolte notizie da Catania e dai dintorni, mossero alla volta di Palermo. Ma prima ragguagliarono d’ogni cosa i fratelli Orlando, che erano stati fra’più ferventi e operosi nell’aiutare e favorire l’impresa: ed erano autorevoli per integrità di carattere, bontà di costume, fede sincera e disinteressato patriottismo: e pregandoli di adoperarsi, perché non venissero meno gli aiuti dei fratelli della penisola, il Pilo, affermando “venuto il tempo d’essere audaci” aggiungeva: “Io sarò felice di poter dare tutto il mio sangue all’Italia nostra”. Scrisse anche a Garibaldi e a Bertani, e le lettere affidò al pilota Motto, pregandolo di salpar subito per recapitarle.
Pilo e Corrao partirono il 12 aprile in pellegrinaggio di propaganda, non temendo le compagnie d’armi e le colonne mobili e i birri, che la polizia avvertita del loro sbarco, avrebbe sguinzagliato sulle loro tracce. La polizia già da qualche tempo innanzi era stata avvisata dai suoi agenti; e sul finire del ‘59 il luogotenente generale aveva scritto al sotto-intendente di Termini, di un prossimo sbarco del “noto agente mazziniano Rosolino Pilo associato a uno dei fratelli Orlando”. Non di meno nulla seppe per allora dell’avvenuto sbarco, e i due audaci poteron procedere indisturbati nel loro cammino. A Barcellona un vecchio liberale, pauroso degli apparati del governo, li consigliò di non proseguire, comunicando che la rivoluzione di Palermo era fallita: rispose fieramente il Corrao di non esser venuti in Sicilia per ritornare indietro, e che avrebbero preferito consegnar la testa al carnefice, piuttosto che esular novamente: eran venuti per la rivoluzione e l’avrebbero fatta, tanto più che forse in quell’ora Garibaldi si apprestava a venire. Pilo abbracciò il compagno.
Ripreso il cammino, per dove passavano, convocavano i giovani, li esortavano a prendere le armi, insegnavano a costruire bombe; accendevan dovunque fiamme di libertà; e d’ogni cosa ragguagliavano con lettere ardentissime i fratelli Orlando, Garibaldi, Bertani, Fabrizi. Più s’avvicinavano a Palermo, e più visibili erano i segni della rivoluzione. Spediti messi sicuri al comitato di Palermo, e ricevuti soccorsi di denaro e promesse, Pilo convocò i principali e più vicini capi di squadriglie; e tosto convennero il La Porta, il Firmaturi, il barone di S. Anna, e poco dopo anche Pietro Lo Squiglio, già valoroso combattente in Palermo, e legionario siciliano in Lombardia nel 1848, scampato il 18 aprile al combattimento di Carini, serbato a più gloriosa morte dinanzi le mura di Palermo. Presi gli accordi e separatisi da quei capi, il Pilo, il Corrao e il Lo Squiglio qualche giorno dopo lasciarono Piana dei Greci, in tempo per sfuggire a una sorpresa. E difatti i cartelli sediziosi sparsi dal Comitato segreto di Palermo, nei quali si annunciava l’arrivo “dei prodi emigrati”; il ripreso coraggio dei “tristi”, come avvisava il luogotenente generale, che “si presentavano a una nuova riscossa”; le notizie delle spie, forse, avevano indotto il governo a ordinare l’occupazione di Piana dei Greci nella notte sopra il 25 aprile.

I tre valorosi, dopo una breve sosta al monastero di S. Martino, si ritirarono sull’altipiano dell’Inserra, che a cavallo di due vallate, dominava le strade e i sentieri, e offriva modo di scoprire ogni movimento delle truppe, e tenersi in facili comunicazioni coi comuni che maggior contributo avevano dato alla rivoluzione. Di là spedirono messi ai capi delle squadre, al comitato; rincorando i dubitosi, infondendo fiducia, promettendo il prossimo sbarco di due spedizioni una da Malta, l’altra da Genova con Garibaldi; le quali il Pilo, che vi credeva fermamente, sollecitava con lettere impetuose e forse esagerate.
Convocato un consiglio, deliberato di riorganizzare le disperse squadre per riprendere l’offensiva o almeno le molestie per stancar le truppe, Rosolino Pilo che aveva già sottoscritta una cambiale di sei mila lire, per aver danari, attese a eseguire quanto si era deliberato. Si stabilì il quartiere generale a Carini, non domata dagli incendi e dalle stragi delle truppe, generosa e pronta sempre; ed ivi si ordinò il corpo di operazione: Rosolino Pilo capo supremo, Corrao comandante di tutte le squadre, Pietro Tondù alla sopraintendenza, Giuseppe Bruno-Giordano all’ispezione dei corrieri e delle guide, Giovan Battista Marinuzzi ufficiale pagatore, i preti carinesi Calderone e Misseri, che si erano battuti in quei giorni, cappellani. Ogni paesetto dei dintorni mandò il suo contributo d’uomini e denari; Torretta quarantaquattro uomini e cento onze (1275 lire); Montelepre cinquanta uomini e cent’onze; quattrocento uomini i Colli di Palermo e Capaci; centocinquanta con la musica la Favarotta, cinquanta Tommaso Natale e Sferracavallo. Si aspettavano le ricostituite squadre di Partinico, Alcamo, Piana, Corleone, Misilmeri, Marineo. Corrao a mano a mano divideva queste forze in squadre di dieci uomini con un caporale; ogni dieci squadre formavano una centuria con un capo e un sotto capo.
Tra il maggio odoroso, e tra’colli e i giardini verdeggianti, il sole mirava quelle schiere esercitarsi alle prossime lotte. E intanto solcavano già il mar di Sicilia i due navigli che portavano Garibaldi e i Mille, la fortuna, la gloria della rivoluzione, l’unità della patria, il compimento di un sogno al quale, immolandosi, avevano aperta la via centinaia di martiri...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno

Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere in tutta Italia) 
Su tutti gli store di vendita online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), Mondadori Point di G. Montesanto (Via M. Stabile 233) La Nuova Bancarella (Via Cavour).

Luigi Natoli: 18 aprile 1860, la strage di Carini. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Il comando militare, concertata un’azione simultanea delle varie colonne mobili, diede ordini di assalire gli insorti, che, indietreggiando dinanzi al soverchiare dei regi, si concentravano a Carini. La colonna Cataldo movendo da Partinico, quella del Bosco per Torretta e Montelepre, quella del Torrebruna, rinforzata da altre milizie per la via di Capaci dovevano prendere in un cerchio le squadre. Il 18 infatti gli insorti sono assaliti; si combatte accanitamente per parecchie ore tra forze ineguali: Carini vien presa dai regi del Cataldo, che si abbandonano al saccheggio e alla carneficina. Ma il movimento aggirante, per imperizia del Torrebruna, e per non essere arrivata in tempo un’altra colonna col tenente colonnello Perrone, non riesce: gl’insorti giungono ad aprirsi un varco e a ritirarsi sulle montagne, sebbene fulminati dai borbonici. Gl’incendi, le stragi di Carini indegnarono anche il re, che censurò vivamente la indisciplinatezza e la barbarie delle truppe; segnarono un altro debito verso la vendetta popolare. Dopo la presa di Carini, i comuni dei dintorni di Palermo ritornarono all’obbedienza; e la più parte degli uomini delle squadre, disanimati da una guerra senza speranza di vittoria, non vedendo giungere gli aiuti che erano stati promessi, non sorretti dalla fede nell’idea dell’unità che essi non capivano, adescati dall’indulto, gittavan le armi e ritornavano sottomessi nelle loro case. La causa della rivoluzione pareva perduta; quando il 20, Rosolino Pilo e Giovanni Corrao giungevano a Piana dei Greci, e con le rinate speranze riaccendevano il fuoco, non ancor domo. Pietro Piediscalzi, infaticabile, ardente, si unì tosto con loro e ricostituì la squadra, che poi tenne, fino alla morte, ai suoi ordini, pagandola del suo.
Spediti messi sicuri al comitato di Palermo, e ricevuti soccorsi di denaro e promesse, Pilo convocò i principali e più vicini capi di squadriglie; e tosto convennero il La Porta, il Firmaturi, il barone di S. Anna, e poco dopo anche Pietro Lo Squiglio, già valoroso combattente in Palermo, e legionario siciliano in Lombardia nel 1848, scampato il 18 aprile al combattimento di Carini, serbato a più gloriosa morte dinanzi le mura di Palermo.
Presi gli accordi e separatisi da quei capi, il Pilo, il Corrao e il Lo Squiglio qualche giorno dopo lasciarono Piana dei Greci, in tempo per sfuggire a una sorpresa. E difatti i cartelli sediziosi sparsi dal Comitato segreto di Palermo, nei quali si annunciava l’arrivo “dei prodi emigrati”; il ripreso coraggio dei “tristi”, come avvisava il luogotenente generale, che “si presentavano a una nuova riscossa”; le notizie delle spie, forse, avevano indotto il governo a ordinare l’occupazione di Piana dei Greci nella notte sopra il 25 aprile.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo - consegna a mezzo corriere o poste in tutta Italia)
Su tutti gli store di vendita online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Bancarella (Via Cavour)

lunedì 14 aprile 2025

Giuseppe Ernesto Nuccio: La fucilazione delle 13 vittime il 14 aprile 1860. Tratto da: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano.

I due ragazzi si fissarono negli occhi smarritamente: “Perché dentro il Castello avevan bisogno di tredici uomini? Giusto tanti quanti erano gli arrestati popolani?”.Ma dalle loro bocche non uscì la domanda tormentosa. Si scostarono alquanto e attesero. Dinanzi la porta e sugli spalti scorsero le sentinelle col fucile in ispalla a passeggiar concitate.
A un tratto, venne dall’atrio del Castello un tramestìo e un ronzìo alti, quasi l’avvicinarsi d’una processione salmodiante.
Sulla porta comparve un drappello di soldati a cavallo, seguito da un altro di soldati a piedi, che chiudeva tre file di uomini: a destra, una di preti con una gran croce rossa sul petto; nel mezzo, la fila dei condannati, coperti dal sacco, bendati gli occhi, legate le braccia alla schiena; a sinistra la fila dei tredici uomini chiamati un momento avanti dallo sbirro De Simone tra i quali c’erano lo zoppo e il villanello. Ai fianchi e alle spalle, i soldati a piedi e a cavallo con le baionette inastate.
- Li fucilano! – gemè Pispisedda con un soffio di voce.
Ferraù fece sentire un digrignare sordo.
I soldati avanzavano tutti con le schiene curve, le fronti chine. I condannati, invece, andavano eretti tutti e tredici e con quel loro atteggiamento che urlava ancora la sfida!
Pispisedda e Ferraù si mossero, fiancheggiando il corteo con l’animo straziato, quasi essi stessi fossero portati alla fucilazione.
Il corteo entrò nella via Piedigrotta. Gente s’affacciava spiando dai balconi, dalle finestre e tosto arretrava smarrita. E una dopo l’altra, tutte le imposte, tutte le porte si rinserravano. S’udiva alto ancora il salmodiare tristissimo dei crociferi, e il trepestìo uguale, soffocato s’accompagnava al mormorìo. Poca gente aveva animo di seguire il corteo.
- Don Giovanni Riso – disse qualcuno, con voce strozzata accanto a Pispisedda.
- Il poeta Camarrone – aggiunse un altro.
Così, uno dopo l’altro, a traverso il fitto velo nero, i condannati venivan riconosciuti dalla gente; e i nomi eran mormorati sommessamente come se la voce uscisse dalla gola smorzata dall’ambascia.
- Dove li portano, dove li portano? – gemeva Pispisedda andando cecamente, senza coscienza. Svoltarono a sinistra. Lo spiazzo di Porta San Giorgio era già zeppo di soldati i quali, come il corteo comparve, sospinsero la poca gente addietro, facendo il vuoto dal muro fino alla carraia.
- Qui li fucileranno? – fece Pispisedda, atterrito.
Il drappello dei soldati a cavallo, che precedeva il corteo, si allineò ad arco, dalla proda dell’altro marciapiede al muro delle case, gettando addietro qualche cittadino il quale si lasciava sospingere e quasi schiacciare come se avesse perduto ogni coscienza. Non s’udiva alcuna voce, alcun richiamo, alcuna protesta: parea un gruppo sperso di muti o di mentecatti, con occhi e bocche spalancati e braccia e gambe dinoccolate; ombre addossate le une alle altre, quasi a sostenersi.
Accadeva improvvisamente un fatto talmente straordinario che le menti sconvolte, disfrenate in un arrovellìo di pensieri tumultuanti erano cadute in un assopimento grave.
La realtà del momento era così incomprensibile da perdere i suoi veri aspetti.
- Che fanno? Li fucileranno, qui? – si chiedeva spasmodicamente Pispisedda stringendo il braccio destro di Ferraù. Ma quello, ciondolando, andava avanti e addietro, che pareva un ebbro; un ebbro tutto chiuso in un cupo pensiero.
Passavano ora i condannati fiancheggiati dai tredici cittadini spinti da De Simone e fiancheggiati dai tredici crociferi. Ma i condannati avevan diritta e rigida l’andatura; e levavano alti i piedi quasi tentassero di salir degli scalini: la benda stretta e spessa sui loro occhi doveva far cupo il buio, cupo come la morte imminente. Certo avvertivano quel mormorìo indistinto; forse sentivano su loro gli sguardi rigidi di occhi sbarrati, e camminavano sldi verso la morte.
- Che fanno. Li fucileranno, qui? – si chiedea spasmodicamente Pispisedda. Similmente forse ciascun cittadino si ripetea la medesima domanda, con lo stesso spasimo folle nell’animo.
E quando i condannati quasi toccarono il muro furono disposti in linea orizzontale: una fila nera, cupa come di fantasmi.
S’udì un ordine e la fila nera s’abbassò d’un tratto dimezzata. Pispisedda si rizzava sulle punte dei piedi e sbarrava gli occhi – quasi avesse voluto vincere un sonno pesante – e guardava ostinatamente. I condannati ora stavano in ginocchio. A uno a uno gli accompagnatori e i preti si staccarono, stentatamente e vennero avanti con quella grande croce rossa, sulla tunica nera, che pareva una larga macchia di sangue.
E la fila nera dei condannati parve ingigantirsi, allungarsi infinitamente, come se lo spazio si fosse raddoppiato, come se le case stesse si fossero arretrate improvvisamente.
E si fece un silenzio alto, cupo, come se i cuori stessi si fossero fermati.
E, quasi sbucassero improvvisamente dal suolo, tre file di tredici soldati, uno dietro l’altro, si piantarono nello spazio, di fronte alla fila nera dei condannati.
E il silenzio si fece più alto ancora e su tutti passò rapida, una zaffata di vento ghiaccio che gelò i cuori...


Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1859-60.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad & figlio nel 1919, impreziosito dai disegni dell'epoca di Alberto della Valle.
Pagine 523 - Prezzo di copertina € 22,00 - Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo raccomandata postale o corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon e tutti i gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102).