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mercoledì 27 maggio 2020

Luigi Natoli: La discesa cominciò al tramonto... Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.


La discesa cominciò al tra­monto. L'Eber nelle sue corrispondenze la descrisse minutamente, e salvo in qualche particolare, con una certa esattezza. Ma con maggior precisione è descritta da Pasquale Mastricchi. L'Eber infatti credette che le guide siciliane avessero sbagliata la strada: e invece si tratta di una diversione voluta da Garibaldi. Il Mastric­chi, con otto uomini scelti, marciava alla testa delle squadre, (che formavano, come si sa, la testa dell'eser­cito) per sollecitarle. Arrivato a Rappallo, Garibaldi lo raggiunse, lo fermò, gli fece accendere un fiammifero e guardò l’orologio. Segnava l’una. Domandò al Ma­stricchi, al “vecchio di Gibilrossa”, qual era la strada più corta dal punto dove si trovavano. Il Mastricchi la indicò. Ma dopo mezzo miglio Garibaldi per abbreviare ancora, fece piegare per un sentiero che conduceva alla Favara. Lì dinanzi al fondo Guccia, avvenne un diver­bio fra alcuni picciotti che s'eran fermati per bere, e Bixio, sedato e dalla prudenza del La Masa e dall'inter­vento del Sirtori. Ma se il Mastricchi, come siciliano può sembrare sospetto, lasciamolo lì; tanto più che ci avviciniamo a un'altra seconda fuga, consacrata dal Guerzoni che non c'era; e teniamoci all’Eber, che se ne stava a osservare, da buon reporter.
Egli dunque dopo aver narrato che le squadre alle prime case, per un equivoco, invece di correre in silen­zio “cominciarono a gridare Evviva!” svegliando i sol­dati di guardia al ponte dell'Ammiraglio e mettendo sulla difesa le compagnie accessorie a S. Antonino e appostate dietro la barricata di Porta di Termini, dice:
“L'avanguardia (dei nostri) invece di sorpren­dere il posto militare del ponte fu ricevuta da un ben nutrito fuoco non solo di fronte, ma ai fianchi, dalle vicine case: la qual cosa gettò una certa confusione fra i Picciotti, che non avevano mai fatta la guerra”.
Una certa confusione; non dice altro l’Eber che stava a fianco di Garibaldi e di Turr, e osservava: non fughe, non sparizioni, o altra simil cosa, inventata per sciocca esaltazione del valore altrui: e della confusione egli, che non ne risparmia nessuna alle squadre, dà anche la spiegazione. Dimenticò dire, però, e forse nol seppe allora, che ciò non ostante i picciotti sostennero il primo fuoco dei regi e che i primi caduti furono pre­cisamente alcuni capi squadriglia, Rocco La Russa, Pietro Lo Squiglio e Pietro Inserillo.
“Mentre i trenta o quaranta uomini dell' avan­guardia” (quelli di Tukory) –  continua l’Eber – “sostenevano il fuoco, giunse in fretta il primo batta­glione dei Cacciatori, e poichè neanche questo potè espu­gnare celermente la posizione, vi fu spedito anche il secondo. I Napoletani all'impeto dei nostri retrocedono: i Picciotti “ (senta, senta anche questa il Luzio) “i Picciotti si rinfrancano alla voce dei capi e in ispecie del Generale e affrontano il fuoco che partiva dalla Porta di Termini”. E qui poteva aggiungere quali altri delle squadre furon feriti, e ricordare per lo meno Raf­faele Di Benedetto: ma non monta.
“.... Oramai era necessario che tutte le forze di Ga­ribaldi entrassero nella città, a fine di evitare d'esser aggrediti alle spalle dai regi che stavano al piano dei Porrazzi. Per ovviare a tale pericolo fu dato ordine che alcune delle bande si appostassero dietro i muri dei giardini.... Queste diversioni e forse anche la ripugnanza a combattere in aperta campagna, furono bastevoli a far fronte al pericolo....; finchè la maggior parte degli uomini delle squadre furono dentro. Nel tempo stesso fu innalzata una barricata per guardarsi le spalle; il che piacque tanto ai Picciotti che ne vollero fare un'altra di rimpetto.... Onde animare i Picciotti, un carabiniere genovese prese quattro o cinque seggiole, vi piantò sopra una bandiera tricolore e vi sedette tranquilla­mente per qualche tempo. L'esempio fece meraviglioso effetto e i Picciotti furono visti fermarsi nello stradale, intrepidamente, scaricando i fucili”.
Come mai il Luzio non lesse questo racconto dell'Eber? O forse perchè mandava all'aria un altro pezzo della verità pura e semplice del Nievo, si consigliò di sopprimerlo? Ma poichè nè egli lesse tutto Eber, nè questi, e con lui gli altri storici, approfondirono le loro ricerche, racconterò io alcuni altri particolari, che attin­go alla narrazione del Mastricchi (130) e a documenti.
La prima compagnia che passò il ponte fu quella di Carini, della quale facevano parte Alessandro Ciaccio, Giuseppe Campo e Giuseppe Bracco-Amari, mandata avanti con fra Pantaleo, perchè essendovi molti siciliani, potevan meglio riordinare e guidare i Picciotti. I quali vergognandosi di quell'istante d'incertezza, seguirono e si confusero coi volontari, ed entrarono con loro in città. E questo dice anche l'Abba.
Uno dei primi ad entrare fu Leopoldo Mondino, come risulta da documenti del 1860, firmati dal Cenni.
Dopo Nullo, che a cavallo, d'un balzo, attraversò il crocicchio di Porta di Termini, passò Luigi Bavin Pu­gliesi, che piantò la bandiera sulla barricata di Porta di Termini, dopo di lui, Pasquale Mastricchi.
Chi fu mandato pei giardini per proteggere alla sinistra i volontari, fu l'abate Rotolo, con la squadra dei Lercaresi, il quale costrinse la cavalleria appostata nella strada del Secco, a fuggire: a destra fu mandato Vin­cenzo Fuxa, alla testa di altre squadre, che attraversati gli orti, si gittò nella Villa Giulia, donde superando lo stradone di S. Antonino, ora Via Lincoln, spazzato dalla mitraglia, entrò in città dalla porta Reale, quasi nel tempo stesso che Garibaldi entrava da Porta di Termini.
Queste non sono lettere inviate ad alcuna Bice, sono storia, testimoniata dall'Eber; suffragata dai documenti, dinanzi alla quale le allegre bravate del Nievo, e quella “verità pura e semplice”, e quelle squa­dre “addestrate più a fuggire, che a combattere” non fanno far certo una bella figura a chi le ha inventate. Povere squadre, le quali per sessantacinque giorni osteg­giarono i borbonici; combatterono tre dì per le strade di Palermo; lasciarono centinaia di morti sparsi e sui monti e tra le barricate, ignoti, umili, silenziosi, per non aver altra ricompensa che la calunnia e il dispregio da coloro stessi che, via! pur si avvantaggiarono dei loro sangue!
Oh no, questo non è generoso, non è bello, e sopratutto non è giusto; e il Luzio ripubblicando e dando valore di storia alla sciagurata lettera del Nievo, ha, creda pure, diminuito la gentilezza di cui coloravamo la figura del poeta soldato. Con un po' di prudenza e con maggior serenità egli ci avrebbe risparmiata la pena di vedere in uno dei gloriosi compagni di Garibaldi, in uno di coloro al cui petto Palermo con fraterna ricono­scenza apponeva il simbolo tricuspide della Sicilia, qual­cosa tra il Lelio goldoniano e il Miles plautino.
Nella foto: Raffaele De Benedetto (ritratto esposto al Museo di Storia Patria - Palermo)



Luigi Natoli:  Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano – Raccolta di scritti storici e storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere originali. Il volume comprende:

Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931) 
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online. 
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Palermo)

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