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sabato 9 marzo 2019

Luigi Natoli: Il contributo delle squadre siciliane all'impresa dei Mille. Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento

Sul concorso dei Siciliani a Calatafimi, lo storico Luzio si limita a ricordare i frati francescani, che combattevano valorosamente, che erano 6 o 12, pel Bandi, e due per l’Abba, più esatto.
Ma quanto alle squadre, gli scrittori garibaldini o tacciono o travisano o calunniano: chi scrisse che esse erano di imbarazzo; e che Garibaldi, a Calatafimi, le relegò sopra un colle dove stettero a vedere; e chi, misero cuore e più misero cervello, aggiunse che stavan lì per gittarsi dalla parte del vincitore: tutti tacquero o negarono che esse si fossero battute accanto ai Mille sul colle fatale: salvo quei frati francescani. E non mancò chi scrisse che solo quattordici “valentuomini” spacconi, si presentarono a Garibaldi, ma per rubare i fucili ai volontari e sparire!(122).
Or bene degli storici venuti dopo, e il Luzio con essi, nessuno si domandò come mai Garibaldi avesse potuto formare a Salemi una nona compagnia al comando del Grizziotti. La verità è invece che a Salemi raggiunsero Garibaldi le squadre di monte San Giuliano con Giuseppe Coppola; di Alcamo coi fratelli Sant’Anna; di Partanna, di Santa Ninfa; non tutte armate pei disarmi avvenuti pochi giorni innanzi; inoltre una quarantina di Marsalesi e più di trenta Salernitani che vi si aggiunsero; molti di costoro che non formavano distinte squadriglie, incorporati nei Mille, resero possibile la formazione della 9.a compagnia. Il 15 Garibaldi pose le squadre del Coppola alla sua sinistra: la squadra di Salemi sopra un colle a destra. Sui colli più lontani mandò quelli armati di lance, a gridare e spaventare il nemico.
A questo punto voglio citare una testimonianza, quella di Alessandro Dumas padre. Un romanziere? Sì, un romanziere che assai spesso è più esatto di molti storici: e del resto, poichè il Luzio cita la testimonianza di Ippolito Nievo, poeta e romanziere, voglio ben ricorrere anch’io a un romanziere. Dunque il Dumas che scrisse i primi capitoli dei suoi Garibaldiens, nel giugno del 1860, a Palermo, sulle notizie fornitegli da Garibaldi e da Stefano Türr, descrivendo la battaglia di Calatafimi, dice: “Les volontaires essuient le premier feu assis et sans bouger; seulement, a ce premier feu, une partie des picciotti disparait”. (Disparait forse non è esatto, e bisogna dire che si sparpagliarono, non avvezzi a combattere all’aperto e in ordine serrato; ma non monta, andiamo innanzi). “Cent cinquante, à peu prés, tiénnent ferme, retenus par Sant’Anna et Coppola, leur chefs, et deux franciscains quì, armés chacun d’un fusil, combattent dans leurs rangs”.
Dunque solo una parte, concediamolo pure, si dileguò al primo fuoco; ma almeno centocinquanta siciliani combatterono tra le file dei Mille, quel glorioso 15 Maggio. Perchè il Luzio non ha citato il Dumas? Che se egli sdegnò la testimonianza del Dumas, perchè non raccolse e non citò quella dello stesso Garibaldi, sulla quale gli storici passano allegramente sopra? Il domani del combattimento, scrivendo alla Direzione del fondo pel Milione dei fucili, l’Eroe diceva: “Avvenne un brillante fatto d’armi avant’ieri coi Regi capitanati dal generale Landi, presso Calatafimi. Il successo fu completo, e sbaragliati interamente i nemici. Devo confessare però che i Napoletani si batterono da leoni... Da quanto vi scrivo, dovete presumere quale fu il coraggio dei nostri vecchi Cacciatori delle Alpi e dei Siciliani che ci accompagnavano”. Ma rischiariamo un po’l’ombra che avvolge questi Siciliani.
Dopo la battaglia si ebbe doverosa premura di raccogliere devotamente i nomi di quelli dei Mille che caddero morti o feriti: ma non si fece altrettanto di quelli dei Siciliani che furono loro pari in valore e in sacrificio. Or bene, le pubblicazioni fatte nel 1910 ci mettono in grado di supplire, benchè tardi, alla ingiusta dimencanza. Sul colle di Calatafimi, dei Siciliani che si batterono, morirono Carlo Bertolino, Sebastiano Colicchia, Francesco Agosta; vi furono feriti Stefano Sant’Anna, Antonino Barraco, Ignazio Pandolfo, Nicolò Messina, Giuseppe Catalano, un Cangemi, Carmelo Rizzo, Vito La Porta(123). Altri morti e feriti ebbe la squadra del Coppola, dei quali non si conoscono i nomi. E non son tutti; chè quei nostri antichi, modesti e silenziosi, ritrattisi nell’ombra non vantarono l’opera propria nè curarono di tramandare l’altrui. Molti morirono dimenticati. E del loro valore non mancano prove segnalate: Giacomo Curatolo-Taddei fu promosso tenente il giorno dopo il combattimento: il Colicchia morì colpito in bocca, mentre si slanciava per strappare all’alfiere napoletano la bandiera; Simone Marino, o fra Francesco, fu il primo a lanciarsi per prendere il cannone nemico, e se ne diè vanto solo al Cariolato e al Meneghetti, che erano con lui. V’eran fra combattenti siciliani giovanetti di quindici anni, come Antonino Umile di Marsala: e perfino una donna, Maria Giacalone, la quale volle seguire il marito, Federico Messana, e con lui fece poi tutta la campagna e a S. Maria di Capua fu promossa caporala(124). E tutto ciò consta da documenti e testimonianze.
Ora rendere omaggio a quelli dei Mille che morirono o ebbero ferita, è dovere: ma tacere i nomi dei Siciliani caduti, negare anzi che si siano battuti, peggio ancora calunniarli, non è soltanto ingiustizia, è viltà.
Ma il torto è però nostro. Dal 4 aprile a tutto il 1860, noi in Sicilia demmo alla causa della libertà e dell’unità centinaia di morti; dei quali non raccogliemmo i nomi, nè si seppe mai chi fossero. I morti dei volontari potevano essere identificati agevolmente, con l’aiuto dei registri dell’Intendenza; ma quelli delle squadre, no. Neppure i capi-guerriglia conoscevano i nomi dei loro uomini; quei contadini lasciavano le loro terre, le loro case, le loro famiglie; andavano a ingrossare una squadra, combattevano, taciti, senza chiedere altro che il loro pane e le munizioni; morivano avvolti nello stesso silenzio; nessuno domandava chi erano, donde venivano; e i più, la gran maggioranza, restò ignota, anonima, senza postuma gloria, senza compianto, senza onori. Martiri oscuri diedero la vita alla Patria e non contesero la gloria a nessuno.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano. Una raccolta di scritti storici e storiografici rigorosamente nella originalità dei documenti: 
  • Storia di Sicilia dalla Preistoria al Fascismo (Ed. Ciuni anno 1935 - Per la parte di storia siciliana che va dal 1820 al 1860) La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione. (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910) Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille. (Estratto mensile "Rassegna storica del Risorgimento Anno XXV Fasc. II Febbraio 1938 - XVI) I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto da "La Sicilia nel Risorgimento italiano - anno 1931") Rivendicazioni. Attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927). 
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