Palermo, non ostante l’insuccesso, sebbene stretta fra i rigori dello
stato d’assedio, gli arresti, le violenze di una polizia resa più feroce dalla
paura, né taceva, né mostravasi sottomessa. Ai bandi, ai decreti, ai proclami
dell’autorità, il comitato rispondeva con altri proclami, con invettive, con
poesie satiriche; li scrivevano Francesco Gaipa, Serafino Lomonaco-Ciaccio,
Pietro Messineo, Francesco Perrone-Paladini: le tipografie erano chiuse, ma non
importava: si stampavano lo stesso. L’officina era in casa del Messineo in via
Iudica: gli stampatori erano il Messineo, Ignazio Federico e il tipografo
Giuseppe Meli.
Il 7 aprile, Maniscalco fece arrestare il duca di
Monteleone, il cavaliere Notarbartolo di S. Giovanni, il barone Riso, il
principe di Giardinelli e il duca di Cesarò, che trovò radunati in casa
Monteleone. Il principe di Niscemi che era presente, non volendo abbandonare i
suoi amici, si dichiarò reo della loro colpa, e offerse da sé i polsi alle
manette: e la polizia non lo respinse: era una vittima di più, e non guastava.
I sei giovani signori, circondati di birri, incatenati, furono a piedi condotti
lungo il Cassaro, come malfattori; e il
popolo commosso salutò, scoprendosi con riverente silenzio, il loro passaggio.
Più tardi a bordo di un legno americano arrestò il
padre Lanza. Due giorni dopo, faceva punire col fuoco, col saccheggio, le
uccisioni degli inermi, il villaggio di S. Lorenzo.
In città e alle sue porte avvenivano zuffe e uccisioni,
alternate con dimostrazioni. La sera del 7 furono tirati dei colpi contro la
caserma della Sesta Casa, e fu uccisa una sentinella al Cancelliere; l’8 fu
appiccato il fuoco contemporaneamente ai Commissariati di via Pizzuto, che
bruciò tutto, e a quello di via Vetriera, che bruciò in parte; il 10, fucilate
nel sobborgo dell'Olivuzza; birri bastonati in città; il 12 tutte le botteghe
della via Toledo si chiusero per invito dei giovani Salvatore Bozzetti, Gaetano
Borghese ed Eliodoro Lombardo, poeta e patriota, ingiustamente dimenticato: i
quali fecero correre la voce di una dimostrazione pel pomeriggio del 13. La
cosa fu concertata dal padre Gustarelli, basiliano, dai tre giovani citati e da
altri audaci, fra i quali si ricordano Rosario Ferrara, Giuseppe Lombardi,
Antonio e Giovanni Orlando, Antonino Stancanelli e altri. La folla era grande:
il grido di Viva l'Italia, viva la libertà! rimbombò: dai balconi uomini
e donne rispondevano; la polizia non seppe reagire. Ma il domani, per
diffondere il terrore, Maniscalco, contro gli ordini del re Francesco, che, con
due dispacci aveva ordinato si soprassedesse all'esecuzione delle sentenze di
morte pei fatti del 4 aprile, affrettava la fucilazione di tredici
prigionieri, condannati dal Consiglio di guerra
nella “supposizione” che fossero tra’ capi della rivolta. Nel pomeriggio del 14, tra lo squallore e il
silenzio della città, al funebre rullare dei tamburi, i tredici martiri,
circondati di birri e di soldati e confortati dalla voce di sacerdoti, tratti
dal Castello, furono condotti ai piedi del baluardo di Porta San Giorgio; e lì
fu compiuto l’assassinio.
I tredici corpi crivellati dal piombo, furono ancor caldi
buttati, come carogne, in tre carri, e portati via in fretta, come se il
rimorso o l’orrore del delitto incalzasse a cancellarne le tracce! Furono
Sebastiano Camarrone, Domenico Cucinotta, Pietro Vassallo, Michele Fanaro,
Andrea Coffaro, preso l’8 in Bagheria, Giovanni Riso, Giuseppe Teresi, preso
alla Guadagna, Francesco Ventimiglia, Michelangelo Barone, Nicolò di Lorenzo,
Gaetano Calandra, Cono Cangeri e Liborio Vallone, preso il 12 a Monreale. Tutti
popolani.
Ma la sera dopo fu tentato un altro assalto alla VI Casa
e vi perdettero la vita due birri e un trombettiere. Successero alcuni giorni
di tregua apparente. Il 20 circolò per la città questa epigrafe: A Francesco Riso – martire infelice della
libertà della patria – non sospiri di letargo – non pianti di viltà – ma fieri
giuramenti di sangue – fremito di vendetta atroce.
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Nella foto: La lapide che riporta l'epigrafe a Francesco Riso in via IV aprile.
Nella foto: La lapide che riporta l'epigrafe a Francesco Riso in via IV aprile.
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