Ma il 14 la città era funestata da una tragedia,
compiuta anche contro la volontà del re Francesco. Il quale, informato subito
del moto di Palermo, accogliendo il suggerimento del ministro Cassisi, che non
convenisse tingere di sangue i gradini del trono alla sua prima ascensione, e
che la grazia avrebbe prodotto un eccellente effetto in Sicilia, ordinava
fosse telegrafato al Salzano, che ove il consiglio di guerra dovesse pronunziare
sentenze capitali contro gli arrestati del 4 aprile, si fossero sospese, e se
ne facesse rapporto per le risoluzioni. E il telegramma, perché avesse tutta
la pubblicità, anzi che in cifra, fu subito spedito nell’ordinario linguaggio,
così da essere conosciuto in tutta la linea sino a Palermo.
Ma il governo di Sicilia tenne occulto l’ordine
del re; e spingendo alacremente gli atti processuali, dava chiaramente a
vedere quali fossero le sue mire selvagge; onde il re nuovamente faceva
scrivere delucidando che la sospensiva della sentenza si riferisse a coloro,
che avevano preso parte agli avvenimenti del 4 aprile. Invano. Il Maniscalco,
più realista del re, credendo per le agitazioni cresciute più salutare un
esempio di crudeltà, faceva dal consiglio di guerra, il 13 aprile, pronunciare
sentenza di morte contro tredici fra i prigionieri, “nella supposizione – dice la sentenza –
che sieno essi i promotori e complici”
del delitto di insurrezione. E la sentenza, fra lo scoramento e il lutto della
città, fu eseguita il 14, verso il mezzodì a porta S. Giorgio. Dei tredici
fucilati dieci erano degli arrestati del 4, tre furono i presi nei conflitti,
come narrammo.
La città ne raccolse i nomi, e decretò loro onore di monumento per tramandar la memoria del
sacrificio; ora ne ha raccolto gli avanzi e
tumulati con civili onoranze. Furono Sebastiano Camarrone, Domenico
Cuciflotta, Pietro Vassallo, Michele Fanaro, Andrea Coffaro preso in Bagheria, Giovanni
Riso, Giuseppe Teresi preso alla Guadagna, Francesco Ventimiglia, Michelangelo
Barone, Nicolò di Lorenzo, Gaetano Calandra, Cono Cangeri e Liborio Vallone
preso a Monreale.
Tanta
strage, se strinse i cuori di cordoglio, non disanimò i cittadini.
Già il giorno innanzi, promossa da un monaco basiliano, Giuseppe Gustarelli, e
da giovani animosi, studenti i più, fra i quali Ignazio
Eliodoro Lombardo, felice verseggiatore ,
i fratelli Francesco e Gaetano Borghese, Filippo e
Salvatore Bozzetti, Pietro Porcelli ed altri, era avvenuta una dimostrazione al
grido di Viva la libertà, dispersa
dalla polizia con ferimenti. Ne seguirono arresti e ordini che vietavano gli
aggruppamenti e perfino il portar barba: quest’ordine ridicolo dava alla
polizia pretesto a barbare violenze. La città rispondeva ora con un silenzio e
una solitudine di necropoli, ora con improvvise e impetuose dimostrazioni.
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Nella foto: Monumento alle 13 vittime ubicato nella omonima piazza a Palermo.
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