Il Comitato rivoluzionario, che intanto continuava a tenere agitata la città di Palermo, e a corrispondere con quelli di Messina e di Catania, e si metteva in relazione con Rosolino Pilo. La domenica 6 maggio nella chiesa di S. Francesco dei Chiovari, mentre il sacerdote officiava, una voce gridò: Viva la libertà, viva l’Italia! e la folla proruppe in applausi; nella medesima ora, nella chiesa dell’Olivella, lo stesso grido ripeteva Rosario Ferrara, e tutto il popolo ad applaudire e a gridare: Viva l’Italia! E non bastando queste dimostrazioni, poiché la polizia obbligava i mercanti di via Toledo ad aprire le botteghe, il comitato fece correre l’ordine che nessuno il giorno 7 passasse per quella via; e il Toledo rimase deserto, né vi si videro altri che i soldati, i gendarmi e i birri scaglionati a ogni cinquanta passi, lividi di dispetto e di paura.
A preparare lo sbarco degli emigrati che si credeva dovessero giungere da Malta, era stato spedito nella provincia di Girgenti l’abate Agostino, o per vezzeggiativo Tino, Rotolo con altri; e perché il moto che doveva scoppiare in quella provincia, fosse appoggiato da altri, si mandava a Ciminna un tal Giuseppe Sansone, carinese, che però veniva arrestato. Correvano notizie vaghe e incerte di bande armate nel distretto di Termini, e, notizie più gravi, che il 6° reggimento di linea stanziato a Catania avesse fatto causa comune col popolo, e che gli emigrati fossero sbarcati a Puntabianca presso Girgenti. Nulla di vero; ma ogni notizia valeva a tener viva l’agitazione, e il giorno 8 un nuovo proclama del comitato, annunciando che i “fratelli che nei lunghi anni di esilio hanno sospirato il momento di venire alla loro terra natale”, erano in armi e fra noi, lodava il contegno della gioventù animosa, e incorava alla resistenza. Faceva nel tempo stesso correre l’ordine che per la sera del 9 nessuno passasse per via Toledo, e che tutti convenissero invece in silenzio nella via Maqueda.
Alle ventidue ore d’Italia, più di ventimila persone si addensarono in questa strada, passeggiando in silenzio da un capo all’altro; e le donne gremivano i balconi e le porte: “molti giovani” – dice un rapporto ufficiale del luogotenente – “nel passare innanzi alle pattuglie, strisciavano i piedi per ischernirle”; ma non una voce, non un bisbiglio: spettacolo maraviglioso e imponente che faceva fremere ed esaltava. La birraglia e le truppe miravano e tremavano e non osavano: ma ad un tratto, all’ave, una voce grida: Viva l’Italia! Viva Vittorio Emanuele! Viva Garibaldi! E tutti allora lasciano libero sfogo al grido compresso. Il fragore dell’uragano non poteva esser più terribile. Alcuni giovani audaci, riferisce il luogotenente, e sarà vero, tentarono disarmare una pattuglia; e allora birri e soldati fecero fuoco e si lanciarono alla bajonetta: tre cittadini rimasero uccisi, una dozzina feriti, moltissimi contusi e pesti; trentadue furono arrestati. I tre cadaveri raccolti nel casotto dei dazieri a Porta Maqueda, furono nella notte, in un carro, mandati a seppellire.
La feroce repressione non sgomentò; nuove dimostrazioni avvennero a S. Francesco e a Ballarò, nelle quali altri popolani erano feriti, molti arrestati; ma anche qualche birro pagava con la vita le compiute violenze.
Tra queste agitazioni giungeva in Palermo la notizia dell’avvenuto sbarco di Garibaldi a Marsala; la quale empiva gli animi di speranze e di giubilo. Il comitato ne dava subito comunicazione al popolo con un piccolo avviso stampato alla macchia: “Garibaldi è con noi, e il suo nome suona vittoria. I nostri sforzi sono stati soddisfatti, compiuti i voti e le speranze. Non sia lordato di sangue il giorno del trionfo, e se nel periglio fummo intrepidi, siamo or generosi e magnanimi...”. Generosi verso i nemici che erano anch’essi Italiani.
Al quale proclama altro ne faceva seguire il giorno dopo, nel quale diceva al popolo “non esser più tempo di pacifiche dimostrazioni” dover ciascuno prepararsi alla lotta finale; ai soldati volgeva parole amichevoli, perché disertata la causa del tiranno e respinta ogni solidarietà col gendarme Maniscalco, si affratellassero col popolo. Da quel giorno imprendeva a stampare un “bollettino officiale” della rivoluzione, in contrapposto ai bandi e ai bollettini del governo.
Il generale Salzano, spaventato dello sbarco, dava ordine alla colonna del generale Landi che era ad Alcamo pel disarmo, di muovere contro Garibaldi, e al maggiore Sforza, che con un battaglione operava verso Castelvetrano, di congiungersi e agire di concerto col Landi. E poiché vedeva aumentare l’audacia del comitato, protestando in un decreto contro “la più grande violazione del diritto delle genti” come chiamava la spedizione garibaldina, ripristinava lo stato d’assedio in Palermo; ordinava che si murassero le finestre delle case, donde era facile temere aggressioni alle caserme; richiamava le colonne mobili dislocate intorno a Palermo; e intanto il Maniscalco armava i birri e le spie. Ultimi e vani sforzi ai quali non poteva arridere la fortuna. Essa guidava Garibaldi.
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
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