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venerdì 31 maggio 2024

Luigi Natoli: 31 maggio 1860. L'armistizio. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Alle sette del 30 del mattino un parlamentario, l’ufficiale Nicoletti, con bandiera bianca, uscendo dal Palazzo reale si presentò al Palazzo di città, latore d’una lettera per Garibaldi. Non essendosi l’ammiraglio inglese rimosso dalle condizioni da lui imposte, che cioè intervenisse a ogni trattativa di tregua il Dittatore, il generale Lanza, costretto dallo stato penoso in cui si trovava, si rivolse al “filibustiere”, che ora chiamava “Sua Eccellenza il generale Garibaldi”, per domandargli se volesse avere una conferenza con due generali napoletani a bordo della nave ammiraglia inglese; nel qual caso bisognava far cessare le ostilità.
Garibaldi rispose non aver difficoltà a conferire, e che mandava ordini per sospendere il fuoco; altrettanto dovesse ordinare il comando generale borbonico: l’armistizio comincerebbe a mezzodì, l’abboccamento avrebbe luogo al tocco: avrebbe fatto accompagnare i generali regi da ufficiali garibaldini, perché non fossero molestati. E fermato ciò, mandò per ogni parte ordini, perché si desistesse da ogni ostilità.
Ma qualche ora dopo questi primi accordi, fu segnalato al palazzo reale che una colonna d’armati si avanzava dalla parte del ponte delle Teste, e si suppose che fossero le truppe di Von Mechel, da quattro giorni cercate invano dai corrieri spediti dal generale Lanza.
Narrammo già come Garibaldi avesse ordinato a Orsini di marciare coi cannoni, simulando una ritirata, per attirar dietro a sé quelle truppe, e lasciare libero a lui il movimento aggirante sopra Palermo. Orsini eseguì abilmente il disegno del Generale. Lasciata Piana dei Greci, concertata una lunga catena di contadini che, con segni convenuti, gli facessero pervenire notizie delle mosse dei Borbonici, per strade ripide e difficili, giunse alla Ficuzza, donde, riposata la piccola colonna fino all’alba, riprese il cammino per Corleone. Qui, approfittando della forte posizione, pensando che un atteggiamento di combattimento avrebbe eccitato le popolazioni a dargli mano forte, piazzò le artiglierie in luoghi eminenti, per cannoneggiare e fermare le colonne nemiche, che lo inseguivano. 
Sopravvenute queste, infatti, Orsini le arrestò con la mitraglia; poi cominciò la ritirata, ordinatamente, cannoneggiando sempre i nemici, che cercavano tagliargli il cammino. La fazione durò più di tre ore, e valse ad assicurare la marcia all’Orsini, che nella sera giunse a Bisacquino. Forte era il paese per bontà di luoghi; ma negossi recisamente di prender le parti della rivoluzione, per mancanza d’armi; pure abbondò di rinfreschi e di incoraggiamenti, e annunciò all’Orsini che Garibaldi era già entrato in Palermo.
Ripresa la marcia verso Chiusa, che fu prodiga di accoglienze; indi verso Giuliana, che, chiuse le porte, si rifiutò di accogliere quei prodi, Orsini, avendo i regi alle calcagne, dovette disfarsi dei cannoni e sotterrare le munizioni, e prender la via di Sambuca, dove ebbe larga ospitalità.
Ma il Von Meckel a Giuliana fu raggiunto finalmente dai corrieri del generale Lanza, che lo richiamavano alla capitale; e stupendosi che Garibaldi fosse in Palermo, quando egli in buona fede, e ingannato dai villani, credeva di inseguirlo e averlo quasi nelle mani: furibondo di essere stato così raggirato: avvilito agli occhi del maggiore Bosco, il quale, intuendo il tranello, aveva consigliato, a Piana, di ripiegare su Palermo; si affrettò a ritornare indietro, sbuffando con bavarica rabbia, e spronando i suoi battaglioni, non meno di lui desiderosi di prendere la rivincita.
Nella eccitazione dell’animo non curò di avvertire il generale in capo della sua marcia; e dopo aver rifatto per buona parte la percorsa strada, piegò per Marineo e Misilmeri; e pel villaggio di Villabate mosse sopra Palermo, giungendo poco prima delle undici, al ponte dell’Ammiraglio, donde quattro giorni prima era entrato Garibaldi.
Nella popolazione si era diffusa da prima la voce che Bosco venisse a rendersi a Garibaldi; e molti trassero alla porta di Termini, per incontrarlo e applaudirlo; cosicché le barricate erette dagli insorti da quella parte, non temendosi alcun attacco, non erano custodite da forze sufficienti. D’altra parte Garibaldi non aveva avuto alcun avviso della marcia di Von Meckel, giacché o per mancanza del corriere o per altra ragione, una lettera spedita da Misilmeri dal capo squadra Crispino Vicari al La Masa, che diceva essere il Von Meckel presso Villabate con attitudine di guerra, non giunse in tempo utile.
All’avvicinarsi della colonna borbonica, forte di quattromila uomini di truppe scelte, con cannoni e cavalleria, e i compagni d’arme del Chinnici, il La Masa accorse con  alcune squadriglie; le quali si spinsero sullo stradone dei Corpi Decollati, e occuparon le case fiancheggianti, dove furono assalite dalla mitraglia e dalla viva fucileria dei Bavaresi; ma non potendo, per la scarsezza del numero, sostener l’urto, ripiegarono, gittandosi nei giardini. Il La Masa, tentò la difesa delle prime barricate; ma non avendo da opporre cannoni ai cannoni, dovette indietreggiare. Intanto la gente inerme che era andata per accogliere fraternamente i regi, sorpresa dall’attacco, si diede alla fuga, gridando: all’armi!; il che fu cagione di panico, giacché i Bavaresi di Von Meckel avevano fama di essere valorosi e crudeli.
Accorsero allora quanti volontari si trovavano al quartiere generale, dietro a Giacinto Carini, slanciandosi per sostenere le squadre e arrestare il nemico entrato già nel famoso crocicchio. Carini, innanzi a tutti, con la sciabola in pugno, montò sulla barricata di Monte-santo, animando i suoi; l’esempio rincorò e ristorò la pugna: ma una palla lo colpì al braccio sinistro, di ferita insanabile, ed egli cade. L’avanguardia dei Bavaresi si spinse nella Fieravecchia; una parte penetrò nel vicolo di S. Cecilia dove Martino Beltrani-Scalia e Saverio Cirivillera l’arrestarono con le loro fucilate: altre occuparono la via Divisi e la piazzetta Aragona.
Quest’attacco, violando la tregua richiesta, non ancora però comunicata al Von Meckel, adirò Garibaldi, che rampognò l’ufficiale borbonico Nicoletti; il quale accorso col generale stesso, arrestò la furia del caparbio colonnello bavarese, che non voleva o non sapeva capacitarsi della tregua fermata. Cessò il fuoco, rimanendo però ciascuno nelle proprie posizioni: i Bavaresi padroni della piazza della Fieravecchia, con avamposti fino a piazza Aragona; i nostri, padroni delle strade e delle barricate adiacenti e delle case circostanti.
Poco dopo, il generale Letizia e il general di marina Chretien, in carrozza, in compagnia di Cenni aiutante di Garibaldi, uscendo da porta Nuova, per la strada di circonvallazione si recarono alla Marina, e s’imbarcarono alla Sanità, nella lancia dell’Hannibal, dove pure imbarcavansi Garibaldi e Crispi.
L’ammiraglio Mundy aveva, come testimoni, invitato a bordo il comandante Lefebre della squadra francese, il comandante Palmez dell’americana e il marchese d’Aste comandante del Governolo; ma, il generale Letizia, salito sulla nave, dichiarò che egli intendeva conferire con l’ammiraglio Mundy, e non con Garibaldi, non riconoscendogli alcuna qualità ufficiale; al che l’ammiraglio inglese rispondeva che ove il Letizia non volesse trattare col generale Garibaldi, egli intendeva rotto ogni negoziato: onde il generale borbonico fu costretto a sottoporre al “filibustiere” le condizioni dell’armistizio; e furon queste, che durasse fino al mezzodì del 31; che ognuna delle parti conservasse le sue posizioni; che si desse facoltà di trasportare i feriti a bordo e di provvedere viveri; infine che “la municipalità rassegnasse un’umile petizione a S. M. il Re, esprimendogli i veri bisogni della Città”. 
Garibaldi udì con pazienza i primi articoli, ma a quest’ultimo sclamò energicamente: – “No! il tempo delle umili petizioni al Re o a chicchessia è passato: la municipalità sono io, e rifiuto tutto !...”
La sdegnosa risposta, maravigliò il Letizia, suscitò una breve disputa, ma Garibaldi non cedendo, si alzò per partire; onde il Letizia pur rinunziando all’ultimo articolo, dichiarò doversi per questo rimettere al generale Lanza. Indi ritornarono a terra.
La notizia della conferenza si era diffusa in un baleno per la città; e una folla immensa, tutto un popolo, “picciotti” delle squadre, volontari, donne, vecchi, signori e plebei si accalcava, si pigiava nella piazza del palazzo di città, su per la fontana, tra le macerie, nella via Maqueda fino e oltre i Quattro Canti. Un bollettino era stato redatto, stampato e divulgato, che aveva commosso e infiammato gli animi. Riferiva che le trattative, contenendo fra i patti una condizione “umiliante per la brava popolazione di Palermo” dal Generale rigettata, erano rotte e il domani si sarebbero riprese le ostilità. Ma la folla voleva vedere il Generale; ed egli si affacciò dal balcone posto nell’angolo del palazzo, dalla parte di via Maqueda; accanto a lui era il maggiore Bosco, andato come parlamentario a portar l’assentimento del Lanza. Un alto e profondo silenzio si fece subito su quella immensa folla, ansiosa e fremente, sopra la quale squillò la bella voce del Generale, come tromba di guerra.
– “Popolo di Palermo, il nemico mi ha fatto proposte ignominiose per te; ed io sapendoti pronto a farti seppellire sotto le rovine della tua città, le ho rifiutate!”.
Un urlo formidabile, tremendo, scoppiò da centomila bocche: – “Guerra! guerra!... grazie, Generale!...” Tutte le mani si tesero a lui: e parve in quel momento che Garibaldi e il popolo non avessero che un’anima sola.
V’erano in quella moltitudine uomini e donne quasi seminudi, scampati all’incendio e alle bombe, che avevan loro distrutta la casa, uccisi i parenti; v’eran vecchi e fanciulli digiuni da tre giorni, senza casa, senza domani; e pure nessuno ebbe un attimo di debolezza; nessuno pensò che della città non sarebbe rimasta una pietra, che la guerra sarebbe stata d’esterminio, nessuno tremò: le rovine e i patimenti e le morti avevano tramutato tutta una popolazione in un esercito di eroi.
– “Guerra! guerra!”
Il maggiore Bosco impallidì e si ritrasse.
Con alacrità indicibile, con un fervore entusiastico tutti si diedero all’opera per rinforzare le barricate esistenti, altre costruirne nei dintorni della Fieravecchia; tutte le case si tramutarono in fortezze: alle ringhiere si posero materassi, nelle stanze si accumularono pietre, sull’orlo dei tetti si ammonticchiarono tegoli, sui fornelli accesi si prepararono caldaie d’acqua, per rovesciare ogni cosa sopra i Bavaresi. Garibaldi spedì un corriere a Fuxa, che si trovava in Bagheria, ordinandogli che, pel domani 31, a mezzodì, riprendendosi le ostilità, assalisse alle spalle la colonna Von Meckel. Il La Masa provvedeva alle deficienze delle squadre; si fabbricava della polvere, si fondevano palle: ma le munizioni non erano adeguate. Garibaldi, sperando nel concorso della nave sarda, mandò il suo aiutante Cenni a chiederne al marchese d’Aste: ma il Cenni fu respinto bruscamente, col pretesto che fosse una spia borbonica.
Nel campo borbonico intanto si apprestavano alla ripresa delle armi col proposito di rinnovare il consueto disegno: si disponeva che una colonna con cannoni, comandata dal generale Wittemback, movesse dal Papireto: un’altra col generale Sury scendesse per Ballarò; la terza, nel centro, guidata dal Landi per Toledo, intanto che Von Meckel si sarebbe avanzato dalla Fieravecchia. Vane disposizioni: la mattina del 31 il colonnello Buonopane manifestò al generale Lanza, che avendo nella notte osservato la fitta rete di barricate, sapientemente distribuite e fortificate e i preparativi che avevan tramutato ogni casa in fortezza, quelle mosse sarebbero riuscite impossibili e fatali alle truppe: e poco dopo un caporale bavarese, recava un dispaccio di Von Meckel, il quale dichiarava di non potersi muovere, per essere da ogni parte chiuso dalle barricate, e aver le truppe esposte a inevitabile macello. D’altra parte in ventiquattr’ore non si era potuto provvedere ai feriti, che ascendevano ora a cinquecentosessanta. Era necessario prolungare l’armistizio; e il Lanza spedì il generale Letizia e il colonnello Buonopane a Garibaldi, per trattarne; ciò che veniva fatto quello stesso giorno, prima che spirasse il mezzodì. Garibaldi ne pubblicava con un proclama, gli articoli convenuti e firmati dal generale Lanza e da Crispi, perché “i termini degli impegni” fossero mantenuti “colla religione di una lealtà degna di noi”.
Si conveniva che l’armistizio durasse ancora tre giorni, che le ostilità si riprendessero dopo denunzia, che il regio Banco fosse consegnato al Crispi come segretario di Stato, e il presidio borbonico avesse facoltà di ritirarsi nel Castello con armi e bagagli; che si continuasse liberamente e con sicurtà l’imbarco dei feriti e delle famiglie e l’acquisto dei viveri, e si contraccambiassero i volontari presi prigionieri al Parco, Rivalta e Mosto (che non si sapeva fosse ucciso) con due ufficiali napoletani.
Questo armistizio fu il preludio dell’altro del giugno, a tempo indefinito, e segnava la fine del dominio borbonico in Sicilia. La rivoluzione si poteva dire finita; incominciava ora l’opera di riordinamento, e la liberazione degli ultimi baluardi dell’assolutismo: e Garibaldi vi si apparecchiava, e scrivendone quel giorno stesso a Bertani, nell’annunziargli quanto si era fatto, sollecitavalo a inviare subito aiuti d’uomini, d’armi, di denari. 



Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Macqueda 185)

Dal diario di Antonio Beninati: 31 maggio 1860. Vincenzo Orsini ha portato tre cannoni che fortificano una barricata importante. Tratto da: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860

Sono le 6. Abbiamo preso abbondante caffè e qualche biscotto di pane; io dico agli amici che non c’è da far cerimonie, perché restano ancora altre sei ore: e bisogna cominciare a disporre il servizio della buttata delle tegole e dei ciottoli. In questo mentre vedo venire il Piemontese Enrico Berti, il quale mi fa capire che il generale Lanza per dare sepoltura ai morti, e trasportare i feriti a bordo, vuol prolungare l’armistizio.
Vado al Municipio e vengo a sapere che il Generale ha dato disposizioni perché il clero, anzi i Parroci, escano alla predicazione per incoraggiare le masse alla resistenza: quanto poi a prolungare l’armistizio si vedrà più tardi. Oggi è arrivato del pane, qualche pastaio lavora, ma le paste sono immangiabili.
Ore 15. Mia madre che non lascia mai un momento di accedere lampade ai santi, ha pensato di fornire alle squadre della barricata un po’ di riso e fagiuoli, pane, formaggio e vino.
Sono le ore 17. La notizia dell’armistizio è vera; esso sarà prolungato per tre giorni. Questa notizia non è stata bene accolta, il popolo vuol venire alle mani a qualunque costo; la gioventù vuol dare prova di coraggio, maneggiando tegole e ciottoli, non potendo maneggiare un fucile perché non ce ne sono.
La città in certo qual modo è più animata, quantunque ora si cominci a sapere il numero dei morti che non sono pochi; parecchie famiglie sono prive di tetto e di roba. Il Generale promette di venire in soccorso di questa gente colpita negli averi; pei morti e pei feriti vi saranno le pensioni: vedremo.
È arrivato Orsini che ha portato tre cannoni, e sono stati collocati a Porta Macqueda, perché in caso di attacco facciano fronte alle truppe che possono venire o da Palazzo Reale o dai Quattro Venti. Vincenzo Orsini è stato festeggiato dal popolo, il quale respira e s’incoraggia nel vedere questi strumenti di guerra. Sono piccoli cannoni di bronzo che fortificano una barricata importante.
La caccia ai “sorci” non cessa; e la plebaglia tenta di entrare nelle case, con la scusa di trovare qualche “sorcio”, io credo che il Comitato di Guerra metterà un argine ai disordini di questi male intenzionati.
Il fuoco continua fra i ruderi di Santa Caterina; le macerie di tanto fabbricato han coperto la statua dell’Immacolata di San Matteo, è proprio una montagna, impedisce il passaggio.


Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
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Dal diario di Antonio Beninati: 30 maggio 1860. Il popolo, che si accalcava nella piazza dei Quattro Cantoni, emette grida da far terrore: Guerra! Guerra! Tratto da: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860

Mi sono recato di buon’ora al Municipio, ed ho appreso la notizia che i regi o meglio il Generale Lanza vuole trattare con Garibaldi; difatti è un andare e venire di Sirtori, Basso, Crispi, La Masa, Nullo ed altri; però il silenzio è molto significante. Il positivo è questo che tanto il forte che le navi non tirano sulla città; l’avv. D. Giovanni Muratori mi dice che il Generale Lanza sin da questa notte ha fatto sentire che ha grandissimo numero di morti e feriti; vi sono persone che nutrono speranza di una transazione; però se Garibaldi si accomoderà con qualche concessione che verrà fatta, su proposta di una costituzione del re di Napoli, sono certo che tanto Garibaldi quanto i Piemontesi verranno scannati dal popolo. Io non credo che si cederanno le armi; le notizie sono molto confuse.
Nel tardi si annunzia da Garibaldi che diggià è stato concluso un armistizio per 24 ore. Egli dic che l’inimico ha offerto patti umilianti per la Città di Palermo, e conclude se si vuole la pace o la guerra. Questo viene detto dal Generale dal primo balcone del Municipio, il popolo che si accalcava nella piazza dei Quattro Cantoni e sotto il Municipio, emette grida da far terrore: Guerra! Guerra!... Il popolo era delirante, pazzo, fuor di sé; scorgo nella folla parecchi che per causa del bombardamento erano rimasti senza tetto e senza roba, e pure erano i più inferociti a gridare la guerra; a tale vista il Generale sembrava sorpreso, stupito, per non dire confuso, stante che dubitava se il popolo era proclivo ad accettare i patti offerti dal generale Lanza.
Sono le ore 17, mi trovo alla Fieravecchia; giunge notizia che il generale Bosco viene da Villabate con la colonna dei Bavaresi per arrendersi a Garibaldi. Questa notizia viene accolta con grande entusiasmo, sia per la vittoria morale, sia perché oggi cittadino potrà avere un’arma. Si fanno suonare le campane di Montesanto, quelle di S. Carlo, dell’Ospedaletto, della Magione; gran popolo si versa a Porta di Termini e si ferma al Serraglio, l’altra rimane ferma alla Porta di Termini. Il caldo è soffocante, il sole brucia, ma l’interesse di potere ottenere un’arma ci fa rimanere nello stradale.


Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
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La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
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mercoledì 29 maggio 2024

Dal diario di Antonio Beninati: 28 maggio 1860. Il bombardamento questa mane è molto violento... Tratto da: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860

Il bombardamento questa notte è stato meno nutrito, però questa mane è molto violento; pare che le truppe prendano lena. Le squadre ed i Piemontesi attaccano con grande violenza le truppe nelle vicinanze della Cattedrale, nella via Castro: le case della Piazzetta dei Tedeschi bruciano come vulcani; la gente scappa da quei rioni e cerca ricovero nel quartiere della Kalsa; molti prendono la via della campagna: ho visto delle donne seminude, bambini in sola camicia, gli uomini con piccoli fagotti che corrono alla disperata in cerca di asilo. Per Dio che tragedia!
(Ore 11) Ho visitato l’Ospedale dentro la Chiesa di S. Domenico; i frati e distinti cittadini assistono i feriti, buona parte di essi vengono dal piano Della Lumia, nel quale rione il bombardamento ha dato la morte a non poche persone; l’Ospedale procede benissimo sì per l’assistenza che pel vitto.
Vado al Municipio ed informo il monsignor Ugdulena di quanto mi è accaduto sotto gli occhi.
Arrivano molte oblazioni al Generale, sia in denaro, che in effetti di uso; la famiglia Zingone manda molti oggetti di cotonerie e materassi; altri commercianti fanno lo stesso; tutto viene conservato nell’atrio della Università, sempre sotto la sorveglianza del Comitato Provvisorio.
Vedo il conte Lucchesi Palli abbracciare commosso i facchini di piazza e chiamarli fratelli.
Il fabbricato di Santa Caterina è caduto; il noto negozio di teleria del francese Berlioz è in fiamme; la profumeria Argento è al suolo: la stessa sorte ha toccato al negozio di modisteria della signora Ajello; essa fu ferita alla gamba sinistra che si dovette amputare. Il grande fabbricato brucia fino alla vista delle monache; una bomba cade al Municipio e rompe il cornicione dirimpetto alla Posta.
In compagnia di Francesco nullo e Vincenzo Agri vado a visitare il ferito ungherese Luigi Tuchery in casa del principe di S. Lorenzo; egli è ferito alla coscia.
Il dottor Castellana ci ha detto nel cortile: “O pronta amputazione o l’ammalato corre pericolo”…


Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
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Dal diario di Antonio Beninati: 27 maggio 1860. Comincia il bombardamento...Tratto da: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860

Alla Fieravecchia da taluni si dice che il Generale vorrebbe dirigersi al Palazzo Reale; a me pare un’opera molto arrischiata. Garibaldi (ore 7) si muove dalla Fieravecchia circondato di armati; Menotti alla sinistra tiene la briglia del cavallo, Menotti ha la mano fasciata. Il Generale veste con un piccolo cappello su gli occhi, camicia rossa, fazzoletto di seta colore arancione oscuro, laccio di argento e sicari nella tasca della camicia alla parte sinistra, calzone colore grigio. Monta un cavallo da broccolaro; percorre la via Divisi, via Macqueda, arco di S. Giuseppe, e si dirige per il Carminello.
(Ore 8 ½) Apprendo notizia che il ferito ricoverato in casa del Principe di S. Lorenzo è una persona dello Stato maggiore; i feriti sono numerosi, non contando i morti i quali non sono di numero scarso.
Dai Piemontesi si grida “Fate barricate!”; ognuno mette fuori sedie, tavole da pranzo e carri; un giovane piemontese Luigi Zanetti mi chiede da mangiare; io lo conduco in mia casa e vi trovo altri piemontesi che mangiano, essi sono Enrico Berti, Vincenzo Agri.
Ore (10 ½) Comincia il bombardamento; dicono che siano cadute molte bombe nel piano del palazzo Reale e recato danno alle truppe stesse, può darsi; una bomba cade nella chiesa di S. Giuseppe, rompe la volta del tempio, trafora l pavimento e scoppia nella sottostante chiesa della Madonna della Provvidenza, ed uccide una nipote del prof. Scandurra.
Si è aperto il fuoco a porta Carini contro le truppe che stanno a S. Francesco di Paola; il fuoco è molto nutrito, e vi sono abbastanza feriti; il sacerdote Francesco Russo, in mezzo all’attacco, conduce i feriti sulle spalle e li ricovera a San Gregorio.
Mi dànno notizia che il Generale ha lasciato il palazzo Villafranca, ed ha preso posto al Municipio.
Mentre mi porto al Municipio, in compagnia di Berti, in piazza Sant’Anna cade una bomba nelle case di Canzano, uccide due persone e parecchie ne ferisce; uccide un cavallo attaccato al palazzo del marchese Sorrentino. Al municipio vedo l’avvocato Giovanni Muratori, facente parte del Comitato provvisorio e suo fratello Angelo. Mi presento al monsignore Gregorio Ugdulena: la confusione è al colmo. Don Luigi Corona mi abbraccia quasi piangente per la gioia. Un forte combattimento si è impegnato fra le squadre capitanate da Salvatore Morello e i cacciatori di quartiere a S. Antonino. Un altro combattimento con le truppe di Palazzo Reale che cercano scendere pel Cassaro e per la via Castro.
Le bombe cadono nel Monastero di S. Caterina a poche canne del Municipio; il fabbricato minaccia rovina. Al cadere delle bombe il popolo grida: Viva S. Rosalia, di canigghia sunnu!... Io dico in me chi sa quante persone passan all’altro mondo… Cadono due bombe una nel cortile Cannella, una nella piazzetta; la prima si porta all’altro mondo Neli Fuso e moglie, la di loro figlia Giuseppa orribilmente ferita, viene condotta all’Ospedale di S. Anna; ma mentre i medici fanno per medicarla, nell’Ospedale cade una bomba e produce un fuggi fuggi, perché sotto l’Ospedale sono i magazzini di canape del signor Radicella.


Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15%, consegna a mezzo corriere in tutta Italia).
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In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro) La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M. Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Maqueda 185)

lunedì 27 maggio 2024

Luigi Natoli: Le "panzane" degli storici sulla "presa di Palermo" (27 maggio 1860). Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

Veniamo alla “presa” di Palermo. Le fonti a cui ricorse il Luzio le ho citate: ma per questa che egli chiama “presa”, quelli che cita di preferenza sono l'Eber, corrispondente del Times, testimonio di veduta, il Guer­zoni, il diario dell'ammiraglio inglese Mundj, e le lettere a Bice di Ippolito Nievo. Queste sono per lui il vangelo.
Chi si aspettasse una bella e sicura ricostruzione della magnifica impresa compiutasi albeggiando il 27 maggio 1860, resterebbe deluso.... o stupito: il Luzio non dice nulla di nuovo; s'indugia però a rilevare.... che le squadre siciliane “erano più addestrate a fug­gire che a combattere”; e riporta un lungo brano di una lettera del Nievo, nella quale si dicono le cose più straordinarie: che “i Picciotti fuggivano d'ogni banda” che “Palermo pareva una città di morti”; che non ci era “altra rivoluzione che, sul tardi, qualche scam­panio”; che Garibaldi “entrò in Palermo con 40 uomini, conquistò piazza Bologna con 30” ed era “solo” “tutto al più con suo figlio, quando pose piede in palazzo Pre­torio”! Questo è niente. “Noi – scrive il Nievo da eccellente poeta e romanziere – correvamo per vicoli, per piazze, due qua, uno là, come le pecore, in cerca dei Napoletani per farli sloggiare, e dei Palermitani per far fare loro la rivoluzione o almeno qualche barri­cata.... “. E tralasciamo il resto, che riguarda l'esodo dei napoletani il 7 giugno. Il signor Luzio aggiunge in fine: “Queste note frettolose del Nievo, sono la pura e semplice verità”. Verità? Ma per affermare che questa è la verità bisogna sopprimere quelle corrispondenze dell'Eber, che il Luzio cita, e che dicono tutto il rove­scio. O il Luzio non lesse le corrispondenze dell'Eber, o egli, con poca onestà di storico, le altera.
Il Nievo ha, senza dubbio, scritto belle pagine; e parecchi anni or sono qualcuno scoprì che le Confessioni d'un ottuagenario, sono un capolavoro da stare accanto ai Promessi Sposi; e sarà pure. Il Nievo, se non avesse fatto quella fine dolorosa, sparendo nei gor­ghi del mare, misteriosamente, avrebbe certo dato alla letteratura altri saggi del suo bell’ingegno; ma il debito di riverenza per la sua memoria, non può nè deve impe­dirci di dire, con tutto il dovuto rispetto, che le lettere a Bice sono delle fantasie, per non dir altro. A nes­suno, fosse anche l'uomo più grande della terra, è lecito nascondere la verità.... per far risaltare vieppiù la virtù propria, fino al ridicolo.
La spedizione garibaldina, il genio di Garibaldi e l’eroismo dei suoi compagni non diminuiscono, nè sof­frono alcuna ingiuria dall'eroismo altrui; ne sono anzi lumeggiati e spiegati; e io scommetto che, se Ippolito Nievo fosse vissuto di più, rileggendo serenamente quelle lettere, sarebbe stato il primo ad esclamare:
“Come diamine ho fatto a lasciarmi scappare que­ste panzane?”.
E a guisa di commento, avrebbe aggiunto:
“Ah! faceva gran caldo, laggiù il 27 maggio 1860, ed il vino di Sicilia era traditore”.
Seguiamo il Luzio; il quale, sempre col lodevole intento di mostrare in quali condizioni singolari Garibaldi mosse sopra Palermo, e quanto più meravigliosa fosse la sua marcia, dice che Garibaldi non sapeva nulla di Palermo e che sulle posizioni delle truppe ebbe appena poche e generiche notizie dall'Eber, andato a trovarlo a Gibil­rossa.
Io dubito che il Luzio abbia letto tutte le corri­spondenze dell'Eber al Times, raccolte poi in un opu­scolo diventato raro, e ripubblicate nel volume Docu­menti e memorie della rivoluzione del 1860 (128). L'Eber dice, che un po' prima di lui, Garibaldi fu visitato da ufficiali della marina inglese e americana; e questo di­cono anche altri; i quali aggiungono, anzi, che da qual­che ufficiale il Dittatore si ebbe in regalo armi. Non dunque l’Eber soltanto potè fornire indicazioni; e me­glio e più poteva il Generale attingerne di quegli uffi­ciali, che erano gente di guerra.
Tutto ciò, dico, supponendo, come pare che sup­ponga il Luzio e suppongono gli altri narratori dell'epo­pea garibaldina, che in Palermo non si sapesse nulla della marcia di Garibaldi, e che tra il campo di Gibil­rossa, e il comitato rivoluzionario non vi fossero rela­zioni e corrispondenze.
L'Eber stesso dice che a Palermo “alcuni amici gli indicarono la via da tenere” per andare a Misilmeri e di là a Gibilrossa; e che “egli partì nella carrozza di uno di loro”. Questi amici, che avevan car­rozza propria in Palermo, non saranno stati certa­mente gli ufficiali delle navi inglesi. Qualcuno della colonia straniera? Può darsi; ma era appunto la colo­nia straniera, specialmente inglese e francese, quella che agevolava il carteggio dei rivoluzionari.
Ma ciò che l’Eber non poteva sapere, e che non è meno vero per questo, è che la mattina del 26 qual­che membro del Comitato andò al campo di Garibaldi per concretare i segni coi quali la città doveva essere avvertita dalla prossima discesa dei legionari; e che uno dei pretesi ufficiali inglesi era il giovane Michele Pojero travestito; il quale, come narrerò in altro luogo, portò a Garibaldi una pianta di Palermo, che s'era cinta a una gamba; cosicchè il generale sapeva quali e quante fossero le forze borboniche dalla parte di Porta di Termini, e come disposte; e sapeva che la resistenza sarebbe stata facilmente superabile. Il 26 maggio, il comitato a Palermo, sapeva già della prossima entrata di Garibaldi; il popolo, pur non avendone la certezza, sospettava qualche cosa; chi non sapeva nulla era il governo, che non trovò più un cane di spia. L'ultima spia fu un corriere postale, che passando il 25 da Misilmeri, e trovativi i capi delle squadre, il La Masa, il Fuxa, e tutte le forze rivoluzionarie, ne riferì a Mani­scalco. Ma il governo non osò assalire gli insorti, per­chè era prevalso il concetto di non dislocare le truppe da Palermo; tanto più che vi erano già fuori i famosi battaglioni di von Meckel e le colonne distaccate a Mor­reale e Boccadifalco...



Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia) 
Disponibile su Amazon e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Macqueda 185)

Luigi Natoli: Sono circa le sei e mezzo del mattino quando Garibaldi con lo Stato maggiore si ferma alla Fieravecchia... Tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo.

La creazione del campo di Gibilrossa, decisiva per lo svolgimento dell’impresa garibaldina, fu il capolavoro del La Masa. Lanciando proclami magniloquenti, come era sua natura, organizzava squadre, faceva proclamare la dittatura di Garibaldi, eleggeva governatori. Raccoglieva così a Gibilrossa più di tremila uomini. La Masa battezzò queste masse 2° Corpo dell’Esercito Meridionale, Cacciatori dell’Etna, e nel linguaggio comune furono chiamati «picciotti», perchè giovani quasi tutti.
Alle 3 del mattino La Masa scese a Misilmeri; Garibaldi volle essere informato, e poco dopo salì sul colle, dove le squadre del La Masa lo accolsero con tale entusiasmo, che egli ne ebbe lietezza. Dopo, tenuto un consiglio, se fosse il caso di aspettare rinforzi dal Continente o piombare subito a Palermo, e interrogati i capisquadra se avevano fiducia nei propri uomini, ed avutane assicurazione, Garibaldi si fece innanzi sul ciglio del colle, mirò nell’ampia valle la città, e disse: «Domani dunque a Palermo».
Stabilito ciò, Garibaldi spedì un avviso al Corrao, accampato all’Inserra, perché facesse ogni sforzo per entrare a Palermo dal lato opposto. Prima di sera salirono sul colle alcuni ufficiali di marina americani, fra cui un giovane travestito, Michele Amato-Pojero, che portava nascosta una pianta di Palermo con la indicazione delle posizioni borboniche. E quel giorno stesso lo Stato Maggiore borbonico, tratto in inganno dalla finta ritirata dell’Orsini, pubblicava un bollettino, nel quale annunziava che «la banda di Garibaldi incalzata» si ritirava verso Corleone; gli insorti, delusi, si andavano disperdendo. Questo bollettino, avendo parvenza di vero, e nulla il popolo sapendo di Garibaldi, né il Comitato avendo più il tempo di diramare il suo bollettino, diffuse nei più incertezza e timori.
Verso le sette della sera del 26, levato il campo, le squadre e gli insorti cominciarono la discesa pei dirupi, che durò circa cinque ore. A mezzanotte, ordinatisi, cominciarono a marciare innanzi le squadre col La Masa, poi i volontari. Ordine rigoroso non fumare, non accendere zolfanelli, tacere, non far rumore. Bisognava assalire di sorpresa gli avamposti e impedire che dessero l’allarme. Due incidenti turbarono la marcia: un cavallo fuggì e fu creduto un assalto di cavalleria; la colonna ondeggiò, ma fu un istante; si riconobbe il fatto e se ne rise. Più grave l’altro incidente: i giovani di una squadra, non avvezzi a disciplina, ardendo di sete, giunti alle fresche sorgenti della Favara, si fermarono a bere, impedendo e ritardando la marcia. Accorse Bixio, irruento secondo la sua natura, e cominciò a percotere gli assetati, che stavano per rispondere con pari violenza: ma sopravvenuto La Masa, li frenò, e si risentì col Bixio; corsero fiere parole; ma l’intervento di Sirtori placò le ire. Riordinate le schiere, e postisi alla testa, come guide, trenta garibaldini comandati da Ludovico Tuköry, si riprese il cammino.
Il Comando generale borbonico, sicuro della ritirata di Garibaldi, inseguito dal Von Meckel, non aveva provveduto alla difesa di questo punto. Le sue forze erano concentrate a ponente, dove erano fin allora avvenuti gli scontri. Aveva soltanto dislocate due compagnie con due cannoni a S. Antonino, che dominavano il crocicchio formato dalla via dei Corpi Decollati, (ora corso dei Mille), e lo stradone di S. Antonino (ora via Lincoln); al crocicchio innanzi Porta di Termini aveva posto una barricata con una compagnia; gli avamposti avevano fortificato sul Ponte dell’Ammiraglio e su quello vicino detto delle Teste, scaglionando mezzo squadrone di cavalleria, in una strada detta del Secco, diagonale fra Sant’Antonino e lo stradale dei Corpi Decollati; Garibaldi sapeva tutto ciò.
Necessaria dunque la sorpresa per entrare nel cuore della città. Ma i picciotti delle prime squadre, tutti della provincia, giunti alle prime case credettero essere arrivati a Palermo, e levate alte grida tirarono qualche fucilata, a cui i regi destatisi risposero con una scarica, chiamando alle armi. Avvenne un attimo di disordine. Qui i picciotti si sparpagliarono, alcuni salirono nelle case, il che produsse un rigurgito della seconda squadra; ma Tuköry si slanciò coi trenta volontari sul ponte, Bixio spinse la 7^ compagnia Carini a sorreggerlo; e questo esempio, le rampogne dei capi, la voce potente di fra Pantaleo che, levato alto il Cristo, corse fra le fucilate, trascinarono come un torrente i picciotti. Lo stradale è guadagnato: ma al crocicchio bisogna fermarsi, pel fuoco incrociato da S. Antonino, ove i regi fuggiaschi si sono concentrati, e da mare dove si è impostata una fregata napoletana. Il momento è tragico: soltanto l’audacia può guadagnare la giornata.
Il Nullo allora, colto l’istante, sprona il cavallo e salta la barricata: Francesco Carbone, con un balzo vi corre, e vi pianta una bandiera, sedendovi accanto: e dietro a lui Luigi Bavin Pugliese e poi, mescolati insieme, a gruppi volontari della 7^ con Carini, e picciotti tra una cannonata e l’altra.
Sono circa le sei e mezzo del mattino, quando Garibaldi con Türr, con lo Stato maggiore si ferma alla Fieravecchia. E allora la campana di Montesanto comincia a suonare a martello.
Quel primo combattimento ebbe le sue vittime. Primi a cadere furono Pietro Lo Squiglio, Rocco la Russa, Pietro Inserillo delle squadre; furono feriti Raffaele De Benedetto, Tuköry, Benedetto Cairoli, Giorgio Manin, Stefano Canzio, Daniele Piccinini; Bixio è colpito da una palla di rimbalzo.


Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo. 
Il volume è la fedele trascrizione dell'opera originale pubblicata dalla casa editrice Ciuni nel 1935. 
Pagine 511. Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Forense (Via Maqueda 185), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60). 

Luigi Natoli: 27 maggio 1860. Quando Garibaldi entrò, la piazza della Fieravecchia era piena di gente... Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

Ed ora entriamo con Garibaldi e coi Mille nella “città dei morti”. Ho detto “entriamo?”. Sbaglio; per seguire il signor Luzio, secondo il titolo del suo scritto, che ho adottato per questo, dovevo dire “prendiamo”; giacchè si entra in una città che apre le porte, ma trat­tandosi di conquiste, una città si prende.
E va benone. Però.... Ecco, se si dovesse stare alla verità storica, poichè tra il ponte dell'Ammiraglio e Porta di Termini non c'erano che poco più di 250 soldati borbonici, e il combattimento, per questo, non fu in sostanza che una scaramuccia d'avamposti, e la resi­stenza alla barricata di Porta di Termini non durò che il tempo di qualche scarica, quella “presa” diventa un po' esagerata. Ma tiriamo innanzi: queste son pic­colezze.
“Palermo – scrive, dunque, il Nievo – pareva una città di morti; non altra rivoluzione che sul tardi qualche scampanio”. Intendente bene; sul tardi; sarà stato verso le otto, verso le dieci, a mezzodì; infatti per un pezzo, secondo il Nievo, i volontari andavano “uno qua, due là in cerca di Napoletani per farli sloggiare, e dei Palermitani per far loro fare la rivoluzione, o almeno qualche barricata”.
Altri scrittori garibaldini dicono che sul primo mo­mento nella strada di Porta di Termini e nella piazza della Fieravecchia non videro nessuno; ma poco dopo incominciarono ad aprirsi finestre e porte, e a venir fuori la gente, e in breve la piazza fu piena stipata.
Così il Capuzzi, così l'Abba, così tutti quasi. L'Eber dopo aver descritto l'assalto del Ponte e della barricata di Porta di Termini, racconta: “Presso la Porta di Ter­mini è la piazza della Fieravecchia. E fu lì che Gari­baldi fece la prima fermata. Bisogna ben conoscere i Siciliani per farsi un'idea della frenetica acclamazione con cui accolsero l'eroe: ciascuno voleva baciargli le mani ed abbracciargli le ginocchia; ad ogni momento arrivavano uomini che volevano fare lo stesso”.
L'Eber, come ho detto, cavalcava accanto a Turr e a Garibaldi, ed entrava con loro: osservatore più che attore. Egli dunque assicura, non avendo nessuna Bice da sbalordire, che quando Garibaldi giunse alla Fieravecchia, il popolo accorreva d'ogni parte. Il Luzio non dirà certamente che Garibaldi entrò in Palermo a mez­zodì. L'Eber, dice che erano le cinque del mattino; ma non è esatto. Alle cinque si combatteva fra il ponte dell'Ammiraglio e la porta: i primi legionari entrarono in città verso le cinque e mezza. Garibaldi alle sei e mezza circa. Garibaldi entrò l’ultimo; egli assistette all'entrata dei legionari e delle squadriglie, che avve­niva in gruppi, per poter superare, senza danno, fra una cannonata e l’altra, il crocicchio di Porta di Ter­mini. Infatti, su quel crocicchio e sulla porta non si ebbe nessun ferito.
Ora può darsi, anzi è così, che quando entrarono i primi volontari, e con loro il Mondino, il Bavin-Pugliesi, il Mastricchi, delle squadre, le strade fossero deserte. Racconta l'Abba, che domandato che cosa facessero i Palermitani che non si vedevano, a un popolano sbu­cato “d' una porta armato di daga” (qualcuno dunque si vedeva) n'ebbe questa risposta: “Eh, signorino, già tre o quattro volte, all' alba, la polizia fece rumore e schioppettate, gridando: Viva l'Italia, viva Garibaldi ! Chi era pronto veniva giù e i birri lo pigliavano senza misericordia”. Questo particolare è confermato dal dia­rio di Antonio Beninati, il quale sotto la data 25 mag­gio, nota.... “durante la notte, come al solito, forti sca­riche di fucileria alle porte della città. Dico io perchè sprecare tanta polvere? Nessuno crede che i nostri pos­sono fare salve di gioia. Vedi un po' quanto son min­chioni! dopo le scariche le truppe gridano “viva il Re!”. Non ci colgono no, no, e no!”.
Ma v'è un'altra ragione: nel pomeriggio del 26, il governo faceva affiggere un bollettino dello Stato mag­giore, nel quale si affermava Garibaldi, sconfitto a Parco, in ritirata verso l’interno dell' isola, e inseguito dalle truppe. Il Comitato o perchè non aveva avuto modo di controllare la notizia, o perchè non credette di distruggerla, per non svelare l'inganno in cui le truppe di Von Meckel eran cadute, tacque. La notizia quindi ebbe credito nella maggioranza dei cittadini. Onde quella momentanea solitudine silenziosa, che per altro durò che pochi minuti.
Ma quando Garibaldi entrò, la piazza era piena di gente. L'Eber non era certo un visionario. Nelle Note di Salvatore Calvino, che apparteneva allo stato mag­giore di Garibaldi, si legge: “Entrati in città ci tro­vammo subito nella piazza della Fieravecchia.... La piazza era gremita di gente da non poter contenere una persona di più. È impossibile poter descrivere le grida e lo entusiasmo di quell'immensa popolazione, in gran parte inerme.... io mi vidi a destra e a sinistra del mio cavallo due patrioti trapanesi, miei amici, Innocenzo Piazza e Raimondo Amato” (131).
E nel diario Beninati, sotto la data 27 maggio domenica ore 6.30, dopo alcune brevi note sulle fuci­late che s'udivano e la fuga di una ventina di soldati, si legge: “Scorgo nella via Divisi un piemontese, ed altri dei nostri gridare: “Aprite, siamo i vostri fratelli! aprite!”. Non vi è più dubbio; i nostri sono entrati; in un minuto, e fra due salti siamo alla Fieravecchia; le campane della chiesa di Montesanto salu­tano per le prime l'arrivo dei liberatori. Con me cor­rono l'avv. Giovanni, Angelo e Luigi Muratori; questo ultimo ragazzetto si era armato di un grosso coltellaccio. Alla Fieravecchia trovo un popolo inerme, gridare: “Viva Garibaldi, viva l’Italia!” le squadre entrano in ordine sparso: ogni squadra con la bandiera, nella quale era attaccata l’immagine del santo protettore del paese: Misilmeri S. Giusto; Bagheria, S. Giuseppe; Marineo, S. Ciro; e così di seguito. Era bello vedere le “bonache” dei nostri confuse con le camicie rosse...
“Mi avvicino alla Porta, scorgo una guida a cavallo; da noi si credette che quella fosse Garibaldi, quindi grida assordanti di evviva; ma quella ci fa gesto che Garibaldi è dietro; ci avanziamo e vicino al quadrivio si vede una massa armata e nel mezzo Garibaldi, sorridente, col sigaro in bocca, saluta il popolo: dai balconi del palazzo di Villafiorita, le signore sventolano i fazzoletti; si grida: Viva Garibaldi! viva S. Rosalia! Si fa sosta alla Fieravecchia; vedo il capitano Carini che abbraccia il suo figlio Ettorino; il capitano vestiva con cappello molle, cami­cia rossa, ed un cappotto con maniche larghe ricamate con laccio; il capitano La Masa, vestiva di velluto, con berretto alla spagnola.
“Abbraccio i miei vecchi amici Vincenzo Capra, Giuseppe Càngeri, fratello di Cono fucilato il 14 aprile, Giuseppe Naccari, venuto coi Piemontesi, Titta Mari­nuzzi.... Il generale fa sosta nella piazza; la prima parola che egli disse fu: “Andate a raccogliere i feriti”....
“Corriamo pei feriti. Ma di questi già una buona porzione sono stati raccolti dai facchini della piazza, e da alquanti cittadini, che privi di un'arma, prestano la loro opera in sollievo dei sofferenti.... Garibaldi (ore 7) si muove dalla Fieravecchia, Menotti che ha la mano fasciata tiene la briglia del cavallo.... Il gene­rale veste con piccolo cappello sugli occhi, camicia rossa, fazzoletto di seta, color arancione scuro, laccio d'argento e sicari nella tasca della camicia, calzoni color grigio.... Percorre la via Divisi, via Maqueda, Arco di S. Giuseppe, e si dirige verso il Carminello....”.
Per una “città di morti” non c’è male: se non altro eran morti che gridavano, applaudivano, correvano a raccogliere i feriti, sotto la mitraglia, suonavano le campane; morti-vivi, insomma, e così vivi, che Gari­baldi, alle 7 del mattino, poteva far stampare il suo ordine del giorno, col quale annunziava il suo ingresso in Palermo; e poteva costituire il Comitato provvisorio, con le sue varie sezioni.
Prima di muoversi per andare a Piazza Bologni, Garibaldi, mandò esploratori. Il Calvino si spinse dalla parte di via Cintorinai; e tutti riferirono che le truppe regie si erano ritirate nelle caserme, nel forte, e nel palazzo reale. “Il generale allora – notò il Calvino – ­ordinò di marciare dentro la città, ed egli occupò la piazza Bologni”.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano – Raccolta di scritti storici e storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere originali. Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 24,00
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martedì 21 maggio 2024

Luigi Natoli intervista Andrea Soldano, guida devota di Rosolino Pilo... Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

A settant’anni era ancora diritto, asciutto di membra, agile e vigoroso. Era uno degli oscuri militi della rivoluzione del 1860; nella quale, giovinetto allora, si gittò con entusiasmo e si rese utile per la sua fedeltà, la sua audacia, la sua destrezza. 
Egli fu la guida devota di Rosalino Pilo, e lo raccolse fra le braccia quando l’eroe, colpito alla tempia, il 21 di maggio, cadde sul Pizzo della Neviera di Monte Cristo. Ancora, dopo tanti anni, la sua devozione affettuosa verso Rosalino era viva; e, parlandone, la sua parola si faceva più raccolta e velata di una mesta commozione. 
Io lo conobbi una mattina, che venne a trovarmi commosso del ricordo che di lui era stato fatto, dopo cinquant’anni, in un pubblico discorso. Questo ricordo lo trasse per un’ora dall’ombra silenziosa della sua modestia, dove era vissuto, dimenticato per mezzo secolo, e lo aveva fatto rivivere nei bei giorni della sua giovinezza. 
Gli domandai qualche particolare sulla morte dell’eroe. Mi rispose: 
- La mattina del 21 eravamo tutti a San Martino, quando giunse la notizia che si avanzavano le truppe. Corrao si era già recato sulla Neviera, e aveva raccolto e appostato i suoi uomini. Crede forse che c’eran tutti? I soldati borbonici venivano dal Castellaccio, sparando: avevano fucili che tiravano fino a 800 metri, mentre i nostri sparavano appena a 300!... Don Rosalino e Calvino, all’udire la fucilata uscirono dal monastero salendo verso la Neviera. Io ero con loro. Corrao gli gridò: “Don Rosalino, non venite quassù, perché c’è un fuoco d’inferno; le palle fioccano come la grandine”. Ma egli rispose celiando: “Non abbiate paura, ancora la palla per me non è fusa”. E salì. Io l’accompagnai. Calvino si fermò accanto a Corrao. Noi, don Rosalino e io, salimmo più in alto, sulla cima del colle, donde Pilo poteva veder meglio la posizione. V’era un masso incavato, e vi è ancora. Pilo vi si pose, come per ripararsi; ma la testa gli sorpassava il masso. Prese un pezzo di carta e un lapis, appoggiò la carta sopra la mia spalla, e stava per scrivere, quando fu colpito alla testa. Ah! quando l’ho veduto cadere!... Gridai; e allora accorsero da basso Calvino, Corrao, ed altri: tra i quali c’era il signor Canepa di Carini, farmacista, che noi credevamo un medico. Egli asciugò un po’di sangue dalla ferita, e a me che gli chiedevo notizie, disse: – “Non vedete che esce la massa cerebrale? È morto”. Il povero Rosalino non faceva un lamento, soltanto gli occhi gli giravano terribilmente!...
- E dove fu ferito?...
- Qui, dietro l’orecchio quasi; e la palla gli uscì dalla fronte...
- Siete sicuro di questo?
- Sicurissimo. I buchi erano due, e la midolla usciva dalla fronte...
- E poi?
- Poi io gli tolsi la sciarpa tricolore di seta all’uncinetto, la borsa, il berretto... Questo berretto glielo avevo portato io da Palermo qualche giorno prima; Corrao gli levò una borsa a tracolla nella quale c’erano delle carte; poi lo prendemmo e lo portammo al coperto nella stanza della Neviera. Oh fu un dolore per tutti, un grande dolore! Noi seguitammo a combattere: il fuoco durò sette ore circa; noi non eravamo più di settantanove!... e combattemmo per sette ore contro battaglioni!... Poi Corrao ordinò la ritirata. 
- E delle voci sinistre che corsero sulla morte di Rosalino?
- Don Rosalino fu ucciso dai soldati. Eh! Se ne dissero tante. S’accusò Corrao, ma era una calunnia: con Corrao altercavano sempre, perché erano tutti e due irascibili, ma tornavano subito amici. Eppoi Corrao era così coraggioso e temerario, che non avrebbe mai commesso una viltà. Ma del resto non era materialmente possibile, perché, come le ho detto, Corrao stava più in basso, davanti a noi. Le voci più insistenti accusavano un certo S... che era delle squadre: un pezzo d’uomo!... Noi non sapevamo chi fosse: poi si seppe che era uscito dalla galera; e dopo il 27 maggio si sospettò che fosse stato una spia dei Borboni. Io seppi queste voci a Capua, sul campo; e mi sentii infiammare... Fu un miracolo se S... scampò alle mie mani; però se ne fuggì in Sicilia, dove per qualche bricconeria fu ucciso da certe persone di Partinico. 
- Ed erano fondati questi sospetti sul S...?
- Non c’era altro fondamento che il sapere S... una cosaccia. Ma poi, pensando meglio, mi son dovuto persuadere che anche questa era una calunnia; perchè quel giorno, e in quel momento S... non si trovava alla Neviera... E se anche fosse stato con la squadra, la sua posizione sarebbe stata tale da non potergli permettere di compiere il misfatto. 
- Cosicchè voi respingete tutte le storielle che corrono?
- Tutte! Tutte!... Egli è stato ucciso dai regi che venivano dal Castellaccio.
- E voi avete fatto tutta la campagna?
- Tutta. Seguii Corrao; il 28 entrai in Palermo con lui, dopo le fazioni dei Lolli e di S. Francesco di Paola. Fui a Milazzo, passai nelle Calabrie, presi parte alla battaglia del primo ottobre. Poi me ne tornai; e me ne sono stato in disparte, zitto, senza chiedere nulla; tutto quello che possiedo sono questi certificati!...
Ne tirò un fascio: tutte calde testimonianze dell’opera prestata dal Soldano durante la rivoluzione. Io le lessi, e gliele riconsegnai, con un senso di mestizia, guardando il buon vecchio con ammirazione, e direi quasi con un senso di invidia. 
Proprio invidia. Se io glielo avessi detto egli si sarebbe certamente messo a ridere; e mi avrebbe detto: 
- Come vuol lei invidiare un povero vecchio abbandonato e dimenticato? Che invidia posso destare, io, vecchio rudere d’altri tempi? Via, parliamo di cose allegre! 
(Nella foto: La Neviera a S. Martino e lo stele a Rosolino Pilo) 


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su tutti gli store di vendita online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), Mondadori Point di G. Montesanto (Via M. Stabile 233) La Nuova Bancarella (Via Cavour)

Luigi Natoli: La morte di Rosolino Pilo fu avvolta da ben tristi voci... Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

 
Il 21 di maggio, mentre Garibaldi studiava la sua marcia strategica, le squadre di Pilo erano attaccate da tre forti colonne borboniche. I nostri non eran più di trecento cinquanta; i borbonici oltre un migliaio; ed eran padroni di alture. Corrao sosteneva il fuoco; ma il pericolo d’essere soverchiato era imminente; Pilo accorso con Calvino, salito, contro il consiglio di Corrao, in alto per vedere le posizioni, riconosciuto il pericolo pensò di rivolgersi a Garibaldi, per aver aiuti: Calvino e Corrao, stavano in basso; e voltavan le spalle al Pilo, che aveva con sè Andrea Soldano, di Lipari.
Veramente, per accorrere in aiuto delle squadre, non era forse necessario domandarlo. Gli avamposti garibaldini si spingevano presso la Boarra, e, oltre la loro estrema punta, a Lenzitti era la squadra di Pietro Piediscalzi, attaccata anch’essa dai regi. Il combattimento dunque si svolgeva poco lontano. Nondimeno il Piediscalzi a Lenzitti, Pilo e Corrao alla Niviera furon lasciati soli, senza soccorso, a sostenere il fuoco dei regi, che movevano da Monreale e da Palermo. Era una necessità dolorosa, non un abbandono, badiamo; e la rilevo qui, perchè questo fatto d’arme, nel quale, con altri, lasciarono la vita Pietro Piediscalzi e Rosalino Pilo appaia veramente quello che fu: un olocausto, una immolazione per impedire che il campo garibaldino fosse assalito, e rendere possibile a Garibaldi la sua strategica diversione. Rosalino Pilo fu colpito alla testa, mentre scriveva, in piedi, fra due rocce, appoggiando la carta sulle spalle del Soldano. Alle grida del quale accorsero il Corrao, il Calvino e altri, sollevarono il Pilo boccheggiante, e lo portarono nella casa della Neviera, d’onde poi l’abate Castelli, avvertito, lo fece di sera trasportare nel monastero di S. Martino.
La morte dell’eroe fu avvolta di tristi voci: la versione più ovvia, più naturale, che egli sia stato ucciso da palla borbonica, (non essendo i regi, che eran ben armati, più lontani di 700 metri; ed avendo egli il capo scoperto); questa versione, che consacrava il suo martirio, si è voluta scartare, e si cominciò col l’accusare di averlo ucciso a tradimento Giovanni Corrao, che invece – e risulta da testimonianze, – stava in basso col Calvino e volgendogli le spalle: e l’invereconda e infame accusa contro chi era stato il compagno, il fratello di Rosalino, e che pel coraggio leonino, per la franchezza, per tutta la sua vita, non avrebbe mai commessa una viltà, aveva forse il fine partigiano e astioso di offuscare l’eroica figura del fiero popolano repubblicano, alla cui lealtà Garibaldi rese omaggio e allora e poi.
Scartata, perchè bugiarda e ignominiosa, l’accusa contro il Corrao, si volle ucciso Rosalino Pilo ora da un Morrealese, or da uno di Capaci, e ora da uno di Carini: per quale insania, io non so; forse, per quelle stesse ragioni che dissero Carlo Mosto, une dei Mille caduto alla fazione di Parco, ucciso da uno di quei terrazzani; quando il Rivalta, che gli era vicino, lo vide morire per mano dei regi! Questa nostra rivoluzione era così incolpevole, gli entusiasmi le davano tanta purezza, che occorreva forse gittare un’ombra oscura su quelle squadre e su quelle popolazioni, che pur davano il loro sangue, agevolavano e salvavano la marcia di Garibaldi. 
Con la morte di Pilo finisce l’azione autonoma delle squadre durata dal 5 aprile al 21 maggio: da questo momento esse seguono la fortuna dei Mille, e di loro gli storici non terranno parola, o forse per dileggiarle: dimenticando che senza di esse e senza la rivoluzione i Mille non avrebbero potuto fare un passo, e sarebbero rimasti vittime della loro audacia. 
Ma che non dissero gli storici? Uno, più grave perché uso a non affermar nulla senza documentazione, non accolse come verità le fanfaronate di uno dei Mille, che fra le altre cose affermava che Palermo pareva una città di morti, e che i Garibaldini, il 27 maggio erano costretti a snidare i Palermitani “per far fare loro la rivoluzione?”
E di fatto noi abbiamo visto, attraverso i documenti e le testimonianze, che città di morti fosse questa, che avrebbe fatto invidia ai vivi! 
Il Comitato non cessò dal pubblicare bollettini e proclami, che il 25: ma si mise in comunicazione col campo di Gibilrossa, che il La Masa e il De Marco avevano indicato come il punto strategico per piombare in Palermo. E lì Garibaldi ricevette notizie e perfino bandiere e una pianta di Palermo. Ma di queste cose dirò in appresso. 


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
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Su Amazon e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Bancarella (Via Cavour).


Luigi Natoli: 21 maggio 1860 muore Rosolio Pilo, vero precursore di Garibaldi... Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione.

Le squadre di Rosolino Pilo intanto erano contemporaneamente, da due punti, attaccate dai regi sulla Neviera di Monte Cristo; e incoraggiate dall’ardire del Corrao, si sostenevano; sebbene i regi, stando in alto, avessero miglior vantaggio. Rosolino Pilo, che col Calvino stava a S. Martino, alle fucilate accorse, e, sebbene sconsigliato dal Corrao, volle salire sul punto più elevato, seguito da Andrea Soldano; e di là, osservata la posizione, stando in una insenatura fra due massi, accingevasi a scrivere a Garibaldi per domandare rinforzi. Contrariamente a quanto se ne scrive, il Soldano, testimonio oculare, che gli faceva da ordinanza, afferma che il Pilo scriveva in piedi, appoggiando il foglio su la spalla del Soldano stesso. Il capo, sorpassando oltre l’altezza delle rocce, gli rimaneva scoperto ai colpi: così una palla nemica lo colse un po’dietro la tempia, e cadde. Alle grida del Soldano accorsero il Corrao, Calvino, altri; lo sollevarono, lo trasportarono dentro la Neviera: il Pilo dava in convulsioni. 
Non essendo speranza di salvarlo, il Corrao, piangendo, gli tolse il portafogli che conteneva documenti, e tornò al suo posto di combattimento. Pilo vestiva giacca e calzoni chiari, berretto a barca, fazzoletto al collo, stivali alti: sotto la giacca portava una sciarpa tricolore di seta all’uncinetto, forse dono della donna amata, cui il giorno prima aveva scritto per l’ultima volta. In tasca non aveva che l’orologio e due fazzoletti. Questi e la borsa furon poi dal Soldano consegnati a Giuseppe Pilo. 
Così nel mattino del 21 di maggio, quando era già sicuro di salutare la sua terra nativa libera e vittoriosa, e vedere avverato il sogno della sua ardente giovinezza, l’unità della gran patria; così moriva Rosolino Pilo, cuor puro e grande, di fede integra e immutabile: vero precursore di Garibaldi, al quale aperse la via con la pertinacia, con l’audace iniziativa, con la fede nella riuscita, con l’esempio. 
Il Corrao, avvertì il Generale dell’accaduto, operò la ritirata sopra Montelepre; indi si stabilì all’Inserra, nella casa del Monaco, spingendo la catena delle sue squadre su Monte Cuccio da un lato, e su Sferracavallo dall’altra; e lì, accendendo la notte grandi fuochi, di giorno molestando i regi, aspettò gli ordini del Dittatore. 
Il quale, quel medesimo giorno 21, ricevute notizie da Palermo, dopo una ricognizione agli avamposti, quando già sembrava tutto disposto per un attacco, diede ordine di ripiegar nuovamente verso Renda, col proposito di richiamarvi le truppe borboniche; indi nella notte, sotto una pioggia minuta e incessante, per angusti pendii, trasportando i cannoni a braccia, guidato da giovani albanesi della squadra del Piediscalzi pratici dei luoghi, discese per Misilgandone, fino al luogo detto Spartiviola, oltrepassò il Ponte dei Greci sopra il torrente di Fiume Lato, oltre il quale cominciò la salita delle opposte colline su cui siede il villaggio del Parco. Per un podere detto Vigna delle Alpi, poi per quello del barone Maggio, giunsero i volontari alla Torretta, donde per uno stretto sentiero discesero al Parco. Non era il percorso più di nove miglia, e tuttavia dovettero impiegarvi tutta una notte, per le grandi e crudeli difficoltà del terreno. Al Parco ebbero ristoro dalla popolazione e dai frati; accesero grandi fuochi per asciugarsi: e intanto per premunirsi da ogni assalto, Garibaldi distendeva alcune squadriglie e i carabinieri genovesi, di fianco, a dominare la strada: fortificando coi cannoni una collina detta Cozzo di Crasto, sopra il villaggio.
Da quell’altura si vedeva la maravigliosa Conca d’Oro e la città vegliante e il mare gremito di n
avi...
(Nella foto: La tomba di Rosolino Pilo nella chiesa di S. Domenico in Palermo) 


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
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