Nel mentre questo avveniva al bastione, una colonna di regi, discendendo pel Toledo, sorpresa una parte della squadra di Giuseppe Sant’Anna, la ributtava, conquistando una barricata. Ai colpi di fucile e alle grida accorrono alcuni drappelli di volontari, accorrono i “picciotti”, rinfrancano il combattimento; i regi costretti a indietreggiare, rientrano nel piano del Palazzo, ma per poco. Verso le due del pomeriggio, con forti colonne condotte dai generali Sury e Colonna, scendono pel Toledo, per la via detta ora di Matteo Bonello, e pel Papireto, con l’obbiettivo di espugnare le barricate, impadronirsi del campanile della Cattedrale, spingersi da un lato verso il Monte di Pietà, forse per giungere a dar mano forte al presidio delle Finanze, chiuso e assediato; dall’altro, impadronirsi del quartiere generale. Ma il generale Sury incontra una opposizione fierissima alle barricate. A quella inalzata dinanzi al palazzo Carini, tra questo e il monastero dei Sette Angeli, con le macerie di questi edifici, la resistenza fu ostinata; né i regi poteron superarla.
Qui con gli altri combattevano Salvatore e Pasquale De Benedetto, fratelli di Raffaele. Erano tutti e tre stati attivissimi nel cospirare e apprestar armi alla rivoluzione, rischiando la vita e contribuendo largamente del loro patrimonio; Salvatore era stato arrestato poco dopo il 4 aprile, Raffaele e Pasquale eran sfuggiti alle ricerche della polizia, e s’erano uniti con Rosolino Pilo; poi avevano raggiunto Garibaldi, e il 27 maggio li trovò nelle prime file. Il 28, Salvatore, uscito con gli altri dal carcere, corse a trovarli; ma Raffaele giaceva per la grave ferita toccata il 27 al ponte dell’Ammiraglio, e soltanto Salvatore e Pasquale poteron prender parte ai combattimenti che si svolgevano nella città. Ora difendevano con le squadre e coi volontari la barricata del palazzo Carini; Pasquale, audace, ferito già da una scheggia, pugnando a petto scoverto, cadeva colpito nuovamente da una palla al fianco; Salvatore, che gli stava da presso, accorso per sostenerlo, aveva da un’altra palla passato il cuore: caddero abbracciati sulla barricata, confondendo in una le anime eroiche.
Questa dei De Benedetto fu una grande famiglia per nulla inferiore a quella dei Cairoli. Raffaele combattè al ‘48, cospirò nel decennio di preparazione, fu coi fratelli massima parte della rivoluzione del 4 aprile, fu ferito a Palermo, seguì Garibaldi ad Aspromonte, combattè nel Trentino, morì eroicamente a Monte S. Giovanni nel 1867, dinanzi a Roma. Salvatore e Pasquale morirono sulle barricate. Anche i due minori fratelli Luigi e Carmelo aiutarono la rivoluzione, sebbene ancor giovinetti. Alla causa della libertà diedero sostanze e vita, che altro potevano offrire di più?
La morte dei due valorosi non disanimò i difensori della barricata; i quali dai ripari, dalle case adiacenti, col vivo fuoco respinsero i regi, e li costrinsero a sloggiare anche dal palazzo di S. Ninfa che avevano occupato.
La colonna borbonica sinistra, intanto, avanzandosi per via Matteo Bonello, pei Sette Angeli, e più giù per la Gioiamia, minacciava le barricate che sorgevano in quei luoghi, nel vicolo della Neve e sotto l’arco di S. Isidoro. Erano esse difese da squadriglie e da volontari: la squadra dei fratelli Corteggiani stava in via Matteo Bonello; Narciso Cozzo, Francesco Brancaccio, Margarita dei Mille, Bracco-Amari, e altri, con alquanti “picciotti” nella via Artale e nel vicolo della Neve. Non eran molti e la resistenza per quanto gagliarda non poteva prolungarsi. Qualcuno corse al quartiere generale, e Garibaldi, intuendo il pericolo, accorse seguito da Menotti e trascinando dietro a sé quanta gente era possibile: ma innanzi a tutti corse la squadra di Partinico guidata da Cernigliaro, che si precipitò sui regi, disperatamente.
La presenza di Garibaldi esaltò il valore di quei bravi particinesi, centuplicò le forze di tutti. Non mancarono atti di eroismo veramente antico. Alla barricata del vicolo della Neve, Paolo Falgaris combatteva col figlio: una palla glielo uccise: ei lo raccolse fra le braccia, lo baciò, lo depose pianamente, ricacciò indietro le lacrime, e tornò spartanamente a combattere. Durante il combattimento qualche centinaio di giovanetti scalzi e seminudi, traendosi un petriero sopra un carrettino, venendo da un vicolo, armati di ciottoli assalì i soldati, urlando come una tempesta. Le grida, i sassi, sgomentarono i soldati: le squadre e i volontari ne approfittarono; i regi respinti da ogni parte, furon costretti a ritornare nel piano del Palazzo, lasciando agli insorti la Cattedrale e il suo campanile, e tutta la linea di Toledo.
A sera, tutte le truppe borboniche, respinte, erano chiuse da ogni parte nel piano del Palazzo, dove non avevano abbastanza spazio per spiegare un’azione. Stanche, di tre giorni di pugna, affamate, sbrandellate, disanimate, con circa quattrocento feriti senza ricovero, si vedevan ora tagliata ogni comunicazione col Castello, intercettata la segnalazione col mare, avendo gli insorti distesa da un muro all’altro del Toledo, presso i Quattro Canti, come un sipario, la grandissima tela grigia che, serve a coprire l’arco della cappella maggiore di S. Giuseppe nei riti della settimana santa. In queste condizioni il generale Lanza rinnovò al Chretien l’incarico di riprender le trattative per una tregua; ma intanto, non potendo altrimenti offendere la città, dal forte di Castello a mare, a sera inoltrata si riprese il bombardamento, senza però la prima veemenza.
(Nella foto: la tomba dei fratelli De Benedetto, nella chiesa di S. Domenico, Palermo).
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Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
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