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mercoledì 12 giugno 2024

Luigi Natoli: L'intenvento di Cavour a Palermo con Giuseppe La Farina. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860

 
Il Re, che segretamente aveva favorito la spedizione, mandava somme della sua cassetta particolare. Ma il conte di Cavour, pur aiutando l’insurrezione, fisso nella sua paura che il partito repubblicano la rivolgesse a proprio profitto, diffidando sempre, e a torto, di Garibaldi e degli uomini che lealmente lo circondavano e lo coadiuvavano, e infine temendo che la marcia di Garibaldi sul Napoletano creasse impicci al governo piemontese: tentò di impadronirsi della rivoluzione, affrettando l’annessione della Sicilia al regno di Vittorio Emanuele: il che gli avrebbe dato il diritto di farla occupare dalle truppe regolari, e avrebbe posto fine al governo della Dittatura e alla campagna. A tal uopo spedì con sue istruzioni in Palermo Giuseppe La Farina; che vi giunse il 7 giugno, lo stesso giorno in cui i regi sgombravano la città: e tosto si dava a brigare, per mettere in cattiva luce gli uomini di governo, dei quali si era circondato Garibaldi, e segnatamente il Crispi, che gli pareva l’ostacolo maggiore ai disegni di Cavour.
Incominciò egli a istigare i comuni dell’isola a chiedere la sollecita annessione al Piemonte, diffondendo in segreto che Garibaldi e Crispi intendessero proclamare la repubblica; con che, priva di appoggi e di simpatie, la Sicilia sarebbe inevitabilmente ricaduta sotto il Borbone. Egli stesso faceva stampare e affiggere dovunque cartelli con le parole: “Vogliamo l’annessione al regno costituzionale di Vittorio Emanuele”, perché sembrassero manifestazioni della volontà popolare: e un suo fedele prezzolava monelli e facchini di piazza per far dimostrazioni. Ben 300 comuni, illusi dalle insinuazioni del La Farina e dei suoi agenti, inviarono indirizzi su quel tenore; e lo stesso Consiglio civico di Palermo, nel quale il La Farina contava amici, nella seduta del 17 giugno, dopo aver reso omaggio al Dittatore e ai suoi compagni d’arme, e decretato loro onoranze di medaglie e di cittadinanza, come già avevano fatto altri municipii (primo fra tutti Partinico), votava un indirizzo, eco del desiderio comune, perché si dichiarasse la Sicilia parte del regno del Piemonte. L’indirizzo fu presentato al Dittatore qualche giorno dopo.
Garibaldi rispose con aperte parole, affermando prima di tutto, dopo i dovuti ringraziamenti, sé e i suoi compagni “aver fatto poco di fronte a quello che avevano fatto i Siciliani, senza la cui generosa devozione, senza il cui patriottismo e il concorso morale” la sua impresa sarebbe fallita. Ma bisognava intendersi: egli non aveva preso le armi soltanto per liberare la Sicilia, sì bene per compiere l’unità d’Italia; poteva con un atto dittatoriale proclamare l’annessione dell’isola; ma da quel momento stesso egli non avrebbe avuto più nulla a fare, e sarebbe partito immediatamente.
Alle quali parole, il Senato rispose con unanime slancio la sua volontà esser quella del Dittatore. E così il pericolo di una improvvisa annessione fu scongiurato, con rincrescimento del La Farina; che si diede alacremente a intrigare e a suscitare discordie, a fomentare malumori, a formare una corrente di animosità e di odi contro il Crispi, per rendere vieppiù impopolare e fare apparire intollerabile il
governo della Dittatura, quale cagione di tutti i disordini.
Che Garibaldi volesse l’annessione non era a dubitarne, costando da un documento ufficiale, le istruzioni, cioé, date ai tre legati spediti rispettivamente a Torino, a Parigi, a Londra; nelle quali è detto chiaramente come oramai gli ideali della Sicilia si fossero dal ‘48 in qua modificati, e l’isola non intendesse appartarsi nella autonomia chiesta fin dal 1812. Queste assicurazioni trovavan piena fede nell’animo del re Vittorio Emanuele, che privatamente al conte Amari, uno dei legati, dava lettere per Garibaldi, offrendogli, invece del La Farina, il Valerio o il Depretis; ma non parevano bastevoli ai cavourriani, e le brighe del La Farina giunsero al punto che Garibaldi fu costretto espellerlo dalla Sicilia; e il 7 luglio, lo fece imbarcare, con una forma che spiacque.
Erano infatti venute in Palermo due spie, certi Criscelli e Tatti, e si diceva che avessero mandato di uccidere il Generale: il decreto dittatoriale, che li cacciava dalla Sicilia, accoppiava a loro il La Farina; e sebbene a lui non addebitasse l’infamia degli altri, pure l’averlo accomunato con due malfattori parve, ed era ingiuria a un uomo, del quale non potevano e non dovevano disconoscersi i servizi resi alla patria.
L’espulsione provocò le dimissioni di due ministri, il marchese di Torrearsa e il barone Pisani: e quindi un rimutamento nel governo.
Mentre tali cose avvenivano in Sicilia, Francesco II troppo tardi cedendo all’incalzare degli avvenimenti, facendo pro’dei consigli di Napoleone III, pubblicava in Napoli l’Atto Sovrano, col quale largiva ai suoi sudditi la costituzione, e dichiarava di voler unire le sorti del regno del Sud a quelle dell’Italia, in una confederazione col regno del Nord; adottava perciò la bandiera dai tre colori con le armi borboniche nel partito bianco; riformava il ministero; creava la guardia nazionale, dava norme per la convocazione dei collegi elettorali. Non gli credette nessuno, neppure i ministri da lui chiamati al potere, che riconoscevano essere oramai perduta la causa della dinastia...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
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