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mercoledì 26 giugno 2024

Luigi Natoli: Cosa accadde dopo l'annessione e la "presa di possesso" del Governo regio... Tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo.

Con l’annessione e la presa di possesso del Governo regio, si chiude la storia di Sicilia come entità politica a sè. La sua vita d’ora innanzi si fonde con quella nazionale; tuttavia è doveroso accennare a qualche episodio e avvenimento particolare.
I primi anni del nuovo regime non furono quali avrebbero dovuto essere per guadagnare l’animo delle popolazioni. Fu fatto il contrario di quanto aveva proclamato il 1° dicembre la parola del Re. Invece della promessa concordia si seminò odio; invece di un governo di riparazione e di «una amministrazione che restaurasse i principii morali di una società bene ordinata» si impose un governo militare; invece di far «rifiorire le fertilità del suolo, i suoi commerci, le attività della sua Marina» si fecero desiderare e stentare poche diecine di chilometri di strada ferrata, e non si provvide a strade e ponti. Non si pensò neppure di far sentire i benefizi di un governo nazionale, la cui opera si svolse soprattutto e con ogni sforzo per fare dimenticare alla Sicilia che spontaneamente con votazione plebiscitaria aveva voluto l’unità nazionale, per considerarla come paese conquistato e restìo al nuovo assetto.
Si fabbricò una storia, si soppresse tutto ciò che i Siciliani avevano fatto, si dimenticò che nei momenti più tristi erano stati i Comuni della Sicilia a sovvenire Garibaldi di somme, di viveri, di vestiti, di tutto, e che nel periodo che corse dal 15 maggio alla invasione delle Calabrie, Garibaldi aveva tratto dall’Isola i mezzi per la guerra. La sola città di Catania diede tremila volontari e duecentotrentottomila lire e mantenne a sue spese la brigata Eber. Si tacque e si negò la parte presa dai Siciliani ai combattimenti di Calatafimi, di Palermo, di Milazzo. E per ottenere questo si cominciò col proibire ogni manifestazione anche teatrale, ove figurassero fatti e personaggi garibaldini; si proibì l’inno di Garibaldi, e si perseguitarono tutti coloro che rimanevano fedeli al Dittatore e al suo programma unitario.
Istituita la luogotenenza, si diede alla Sicilia un Consiglio del quale furono parte principale il La Farina e il Cordova, i quali vennero a esercitarvi le loro vendette personali contro gli uomini di parte avversa. Questo stato di cose fu denunziato alla Camera, e raggiunse tale gravità che il Governo stesso fu costretto a richiamare il La Farina. 
L’applicazione della coscrizione obbligatoria diede luogo a nuovi incidenti; e ben presto si delineò un attrito fra i cittadini e l’esercito.
Nel giugno del 1862 vennero a Palermo i Principi Reali accolti con grandi feste; e poco dopo, il 28, sbarcò improvvisamente Garibaldi accompagnato da pochi. Qui egli, crucciato ancora per il fatto di Sarnico, concepì il disegno di intraprendere la marcia su Roma. Infatti dopo avere inaugurato col Principe Ereditario il Tiro a segno nazionale, quando il Principe fu partito, approfittando di una rivista della Guardia nazionale, Garibaldi lanciò al popolo un discorso contro Napoleone III, la cui politica contrastava Roma all’Italia. Era prefetto Giorgio Pallavicino, suo pro-dittatore a Napoli, il quale con la sua presenza accanto a lui rese credibili quei segreti accordi che si dicevano intercorressero tra il Governo e Garibaldi. A Marsala, dove Garibaldi si recò per visitare il luogo del suo sbarco, riprese con maggiore violenza le sue invettive contro il monarca francese, e trovato il grido Roma o morte! ne fece il motto fatidico per la campagna.
Il Rattazzi, che si trovava al potere, lasciò fare da principio, ma alle rimostranze della Francia accettò le dimissioni del Pallavicino, sostituendolo col generale Cugna; ma non fermò gli arruolamenti, le armi e la preparazione delle divise, nè arrestò Garibaldi e i suoi compagni, nè più tardi circondò il bosco della Ficuzza, dove Garibaldi indisturbato aveva posto il concentramento dei suoi.
Accorsero a lui da ogni parte volontari, più numerosi i Siciliani, quasi due terzi, e non mancarono soldati e sottufficiali dell’esercito.
Non ascoltando i consigli di quanti vedevano il pericolo dell’impresa per l’Italia e gli ammonimenti dei deputati Mordini, Cadolini e Calvino, Garibaldi entrò in Catania, e, impadronitosi dei due piroscafi l’Abatucci e la Depêche, sbarcò a Melito il 26 di agosto, lasciando in Sicilia la colonna Trasselli che non aveva fatto in tempo ad unirsi con lui.
Il Governo allora nominò R. Commissario il generale Cialdini che sapeva avversario di Garibaldi, e nel contempo con un proclama del Re sconfessava l’impresa e dichiarava i Garibaldini fuori legge e li accumunava coi briganti.
Il 29 avvenne il fatto di Aspromonte. Comandava le truppe il colonnello Pallavicino, che circondò i Garibaldini che avevano ricevuto ordine di non sparare. Solo dalla parte di Corrao i picciotti respinsero le truppe, ma subito dopo fu dato l’ordine di «Cessate il fuoco» e i volontari furono bersaglio dei fucili delle truppe. Garibaldi fu ferito sopra il malleolo. Fu intimata la resa; l’illustre ferito fu portato a spalla dai suoi compagni e imbarcato fu trasportato a Varignano; i Garibaldini furono internati nelle fortezze del Piemonte. La colonna Trasselli fu sciolta, alcuni volontari furono arrestati a Fantina, nell’agro messinese, e sette furono fucilati.
La notizia del ferimento di Garibaldi sollevò indignazione in tutta l’Italia e principalmente in Sicilia, dove, non ostante lo stato d’assedio, avvenivano tumulti. Il Governo se ne fece un’arma: cominciarono allora gli arresti in massa e i Garibaldini furono accomunati ai delinquenti. I patrioti furono perseguitati e con tali violenze non si fece altro che spegnere ogni fede nel nuovo regime.


Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo. L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato dalla casa editrice Ciuni nel 1935.
Pagine 509 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile: 
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