I volumi sono disponibili dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it. (consegna a mezzo corriere in tutta Italia) Invia un messaggio Whatsapp al 3894697296, contattaci al cell. 3457416697 o alla mail: ibuonicugini@libero.it
In vendita su tutti gli store online. In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133 e punto vendita Centro Comerciale Conca d'Oro), La nuova bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa Editori (Piazza Leoni 60), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423) Libreria Nike (Via Marchese Ugo 56) Libreria Macaione Spazio Cultura (Via Marchese di Villabianca 102)

mercoledì 19 giugno 2024

Luigi Natoli: L'esercito meridionale oltrepassava i novemila uomini e aveva il consentimento di tutta l'Isola... Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Lo stesso giorno in cui le truppe regie lasciavano Palermo, vi giungeva Nicola Fabrizi con 1500 fucili e munizioni. Garibaldi aveva mandato Salvatore Castiglia a Malta per rilevarlo; e il Castiglia aveva adempiuto la sua missione, felicemente sbarcando a Pozzallo e di lì venendo a Palermo. Giungeva anche, per la via di Monreale, Carmelo Agnetta, siciliano, a capo di una spedizione, che fu detta a ragione, “la retroguardia dei Mille”. Erano sessantasei volontari, vestiti ed equipaggiati militarmente e con buone armi; il maggior contingente esuli siciliani. La spedizione era stata da prima promossa, disposta e ordinata dal barone Prinzi e dai fratelli Burgarella, esuli da Trapani dopo i fatti del 4 aprile; i quali avevano noleggiato il vapore Utile, con gli aiuti del Comitato, e mercé la garanzia di trentanovemila lire depositate del suo dal conte Michele Amari. Ma pretendendone il comando Enrico Fardella, fratello del marchese di Torrearsa, il Prinzi e i Burgarella, sdegnati rinunciarono e si allontanarono. Il dissidio dispiacque al Medici, al La Farina, all’Amari; ma in quei giorni stessi era arrivato a Genova Carmelo Agnetta, al quale fu, di comune accordo, dato il comando della spedizione. Carmelo Agnetta, antico cospiratore e combattente nel 1847 in Messina e nel 1848 in Palermo; mercante di arance nei pressi dell’Opera, a Parigi, nell’esilio; condottiero di un corpo franco nel ‘59, era arrivato a Genova troppo tardi per partire con Garibaldi. Chiesto di partire con quel manipolo, n’ebbe con entusiasmo il comando. L’Utile salpò da Genova il 25 maggio; superato ogni pericolo di crociera, dopo una sosta a Cagliari, ripartì per Marsala; dove sbarcate le armi, i volontari si vestirono delle uniformi, e rifacendo il cammino dei Mille, per Salemi, Alcamo, Partinico e Monreale, scesero a Palermo, dove Garibaldi, già consapevole li aspettava.
Ma già altre milizie nel fervore di quei giorni s’andavan formando; e a preparar futuri soldati e sottoufficiali volgeva l’animo il Dittatore fra le cure del governo. Essendo giunto in quei giorni Alberto Mario con la moglie Jessie Withe, Garibaldi gli diede incarico di istituire un collegio militare, per raccogliervi tutti i ragazzi orfani o randagi o abbandonati a sé stessi; destinati forse ad accrescere il numero dei delinquenti, salvati o redenti ora dal nobile fine a cui Garibaldi li chiamava. Il Mario si mise all’opera alacremente, e ben presto il collegio accolse un migliaio di giovanetti, i più vecchi dei quali non avevano diciassette anni: li vestì, li disciplinò, li istruì. Il collegio prosperò; un mese dopo accoglieva altri mille giovanetti, ne formò due battaglioni che diedero esempio maraviglioso di eroismo.
Contemporaneamente l’inglese Dunn, grande e fervido amico dell’Italia, a sue spese costituiva un battaglione di ragazzi e giovinetti della strada, che chiamò “i figli della Libertà” e li vestì di bianco, li armò di fucili scelti, e ogni giorno li conduceva al campo, esercitandoli; sicché in breve di quei giovanetti, fin allora vissuti nell’ozio e nell’ignavia, fece dei cittadini e soldati che stupivano per arditezza d’aspetto e spirito di disciplina, e che più tardi a Milazzo fecero prodigi di valore.
Altre spedizioni ebbero luogo in quei giorni di giugno che parvero veramente la messe della bella gioventù di Italia. Le più importanti furono quella del Medici, già preannunciata dall’Agnetta e dal barone Prinzi, e quella del Cosenz.
Giacomo Medici, l’eroe della famosa difesa del “Vascello”, nel 1849, compagno di Garibaldi, cuor di leone, ma cervello positivo, non aveva voluto seguire le prime spedizioni, dubitando dell’impresa; aveva preparate e ordinate le altre, e ora si poneva a capo di circa 2000 uomini, avanzo delle battaglie per l’indipendenza, reclutati in Lombardia, in Piemonte, in Liguria la più parte. Circa un migliaio di essi erano stati raccolti e messi in ordine in Milano, da Filippo Migliavacca, al quale la morte serbava la ghirlanda degli eroi a Milazzo. A questo migliaio si unirono i volontari piemontesi e liguri, e tutti s’imbarcarono in due piroscafi americani, il Washington e l’Oregon. Partirono questi prodi da Genova, vestiti, armati, disciplinati militarmente; e raggiunti dal Franklin, su cui si erano a Livorno imbarcati con Vincenzo Malenchini 900 volontari toscani, si ordinarono su quattro battaglioni e dieci compagnie, una delle quali comandata dall’inglese Peard, altre dal Guerzoni, dal Cadolini, dall’Ondes.
Protetti dalla flotta sarda, giunsero a Cagliari, dove aspettarono per quattro giorni l’Utile, su cui s’era imbarcata una nuova spedizione: indi salparono per la Sicilia, e approdarono a Castellammare del Golfo, dove Garibaldi si recò a incontrarli. La colonna Medici, attraversate come in una marcia trionfale Alcamo, Partinico, Monreale, entrò in Palermo sotto una pioggia di fiori e fra gli applausi della popolazione.
Altre spedizioni avvennero, comandate dai maggiori Gualtieri, Curcì e Siccoli: quest’ultimo, un veterano dell’America, aveva raccolto gli avanzi della colonna Zambianchi da Garibaldi mandata, senza profitto nello Stato Pontificio; e ad essa si unirono altri esuli siciliani, che non eran potuti partire con le spedizioni Agnetta e Prinzi e con quella di Medici, e tra essi Paolo Paternostro. Altri gruppi di volontari venivano alla spicciolata, e uno notevole di circa quattrocento col piroscafo The City of Aberdeen.
L’esercito meridionale oltrepassava oramai i novemila uomini; aveva cannoni, armi, denari, ed aveva il consentimento di tutta l’isola e la rivoluzione in ogni città, in ogni villaggio, in ogni palmo di terra: le truppe conservavano ancora i nomi originari, o pigliavan nome dai comandanti; ed eran vari di uniformi. 
I Cacciatori delle Alpi, ingrossati dalle nuove spedizioni e che formavano la brigata Medici, vestivano una specie di camiciotto rosso, stretto alla vita dal cinturino, calzoni neri, cappello alla calabrese con piccola piuma: la fanteria di linea camicia rossa calzoni di tela, berretto rosso, con mostre verdi; i carabinieri genovesi avevano l’uniforme turchino; i Cacciatori dell’Etna, quasi tutti siciliani, avevano camiciotto color caffè con mostre rosse, berretto rosso, calzoni di tela; la cavalleria giubbetto rosso, calzoni bigi, berretto rosso con ricami d’argento; il reggimento toscano del Malenchini vestiva il camiciotto turchino delle guardie nazionali: il battaglione Dunn detto dei “Figli della Libertà” vestiva di bianco con le rivolte viola scuro, in capo piccolo berretto tondo senza visiera, rosso con un ricamo bianco; l’artiglieria e il genio avevan le stesse uniformi dell’esercito piemontese.
Ma oltre a queste truppe altre se ne venivano ordinando e organizzando per completare altre brigate di fanteria; si formava la cavalleria, al cui comando era preposto il marchese della Cerda: sei nuovi battaglioni di Cacciatori dell’Etna; e s’erano aperti gli arruolamenti pei battaglioni Badia, Ponesberg e Bolza, tutti di siciliani. E v’erano anche dodicimila uomini di guardia nazionale, in colonne mobili, col La Masa; i quali con le duecento guardie di sicurezza interna e lo squadrone dei compagni d’arme avevano l’incarico di ristabilire e tutelare l’ordine.
Quanto alla marina essa contava già tre navi; una era il Veloce, ribattezzato col nome del valoroso Tuköry, le altre due erano l’Alba e il Duca di Calabria, anch’esse navi napoletane, catturate dai nostri.
Non tutte queste milizie, formatesi fra il giugno e i primi di luglio si agglomeravano in Palermo...
(Nella foto Giovanni Corrao) 


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Macqueda 185)

Dal diario di Antonio Beninati: 19 giugno 1860. Questa è la prima giornata che si grida senza essere investiti da una palla... Tratto da Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860


19 giugno – Questa mane di buon’ora le musiche percorrono la Città; non vi è apertura o balcone nel Toledo, né nella via Macqueda, dove non sventoli una bandiera a tre colori; si grida come ossessi “Viva Italia, V. E., Garibaldi!” Le musiche suonano gli inni del 1848 e quello di Garibaldi: tutta Palermo è fuori casa; si attende la scarcerazione dei Signori: Padre Lanza, Monteleone, Niscemi, Giardinelli, Cesarò, S. Giovanni e Riso. Questa è la prima giornata che si grida senza il timore di esser investiti da una palla, o schiacciati da una bomba. 
La gioia è sul volto di tutti, è un abbracciarsi a vicenda. In questo momento non esistono più classi sociali: siamo tutti fratelli, si preparano fiori per versarli sui liberati.
Verso le ore 21 una fiumana di popolo si vede ai Quattro Canti che circonda le vetture; dai balconi si versano fiori, si agitano le bandiere; le donne battono le mani e sventolano i fazzoletti: le vetture con i liberali procedono a passo. Nel piano del Palazzo il popolo applaudisce ai prodi.
I nobili salgono a Palazzo, Garibaldi stringe loro la mano e si congratula, chiamandoli giovanotti, e soggiunge: “La vostra liberazione costa parecchi milioni”. Queste parole del Dittatore non furono rilevate nel loro vero senso.




Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15%, consegna a mezzo corriere in tutta Italia).
Disponibile su Amazon Prime e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro) La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M. Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Maqueda 185)

Dal diario di Antonio Beninati: 18 giugno 1860. Muore Pietro Piediscalzi, capo della squadra di Piana dei Greci. Tratto da: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860

Stamane mi sono incontrato con Brancato, il quale con le lagrime agli occhi mi raccontò la morte di D. Pietro Piediscalzi, quello stesso che nello scorso mese dicevasi avesse sciolta la propria squadra; ed invece combatteva! Io lo conobbi; bellissimo uomo e gentilissimo di forme, poveretto! Non ebbe il piacere di assistere al trionfo della rivoluzione.
Si parla di marciare per Messina, gli uomini non mancano, ma i fucili, i cannoni? Ebbene, penserà Garibaldi.

Pietro Piediscalzi, infaticabile, ardente, si unì tosto con loro e ricostituì la squadra di Piana dei Greci, che poi tenne, fino alla morte, ai suoi ordini, pagandola del suo (Luigi Natoli)



Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15%, consegna a mezzo corriere in tutta Italia).
Disponibile su Amazon Prime e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro) La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M. Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Maqueda 185)






mercoledì 12 giugno 2024

Luigi Natoli: L'intenvento di Cavour a Palermo con Giuseppe La Farina. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860

 
Il Re, che segretamente aveva favorito la spedizione, mandava somme della sua cassetta particolare. Ma il conte di Cavour, pur aiutando l’insurrezione, fisso nella sua paura che il partito repubblicano la rivolgesse a proprio profitto, diffidando sempre, e a torto, di Garibaldi e degli uomini che lealmente lo circondavano e lo coadiuvavano, e infine temendo che la marcia di Garibaldi sul Napoletano creasse impicci al governo piemontese: tentò di impadronirsi della rivoluzione, affrettando l’annessione della Sicilia al regno di Vittorio Emanuele: il che gli avrebbe dato il diritto di farla occupare dalle truppe regolari, e avrebbe posto fine al governo della Dittatura e alla campagna. A tal uopo spedì con sue istruzioni in Palermo Giuseppe La Farina; che vi giunse il 7 giugno, lo stesso giorno in cui i regi sgombravano la città: e tosto si dava a brigare, per mettere in cattiva luce gli uomini di governo, dei quali si era circondato Garibaldi, e segnatamente il Crispi, che gli pareva l’ostacolo maggiore ai disegni di Cavour.
Incominciò egli a istigare i comuni dell’isola a chiedere la sollecita annessione al Piemonte, diffondendo in segreto che Garibaldi e Crispi intendessero proclamare la repubblica; con che, priva di appoggi e di simpatie, la Sicilia sarebbe inevitabilmente ricaduta sotto il Borbone. Egli stesso faceva stampare e affiggere dovunque cartelli con le parole: “Vogliamo l’annessione al regno costituzionale di Vittorio Emanuele”, perché sembrassero manifestazioni della volontà popolare: e un suo fedele prezzolava monelli e facchini di piazza per far dimostrazioni. Ben 300 comuni, illusi dalle insinuazioni del La Farina e dei suoi agenti, inviarono indirizzi su quel tenore; e lo stesso Consiglio civico di Palermo, nel quale il La Farina contava amici, nella seduta del 17 giugno, dopo aver reso omaggio al Dittatore e ai suoi compagni d’arme, e decretato loro onoranze di medaglie e di cittadinanza, come già avevano fatto altri municipii (primo fra tutti Partinico), votava un indirizzo, eco del desiderio comune, perché si dichiarasse la Sicilia parte del regno del Piemonte. L’indirizzo fu presentato al Dittatore qualche giorno dopo.
Garibaldi rispose con aperte parole, affermando prima di tutto, dopo i dovuti ringraziamenti, sé e i suoi compagni “aver fatto poco di fronte a quello che avevano fatto i Siciliani, senza la cui generosa devozione, senza il cui patriottismo e il concorso morale” la sua impresa sarebbe fallita. Ma bisognava intendersi: egli non aveva preso le armi soltanto per liberare la Sicilia, sì bene per compiere l’unità d’Italia; poteva con un atto dittatoriale proclamare l’annessione dell’isola; ma da quel momento stesso egli non avrebbe avuto più nulla a fare, e sarebbe partito immediatamente.
Alle quali parole, il Senato rispose con unanime slancio la sua volontà esser quella del Dittatore. E così il pericolo di una improvvisa annessione fu scongiurato, con rincrescimento del La Farina; che si diede alacremente a intrigare e a suscitare discordie, a fomentare malumori, a formare una corrente di animosità e di odi contro il Crispi, per rendere vieppiù impopolare e fare apparire intollerabile il
governo della Dittatura, quale cagione di tutti i disordini.
Che Garibaldi volesse l’annessione non era a dubitarne, costando da un documento ufficiale, le istruzioni, cioé, date ai tre legati spediti rispettivamente a Torino, a Parigi, a Londra; nelle quali è detto chiaramente come oramai gli ideali della Sicilia si fossero dal ‘48 in qua modificati, e l’isola non intendesse appartarsi nella autonomia chiesta fin dal 1812. Queste assicurazioni trovavan piena fede nell’animo del re Vittorio Emanuele, che privatamente al conte Amari, uno dei legati, dava lettere per Garibaldi, offrendogli, invece del La Farina, il Valerio o il Depretis; ma non parevano bastevoli ai cavourriani, e le brighe del La Farina giunsero al punto che Garibaldi fu costretto espellerlo dalla Sicilia; e il 7 luglio, lo fece imbarcare, con una forma che spiacque.
Erano infatti venute in Palermo due spie, certi Criscelli e Tatti, e si diceva che avessero mandato di uccidere il Generale: il decreto dittatoriale, che li cacciava dalla Sicilia, accoppiava a loro il La Farina; e sebbene a lui non addebitasse l’infamia degli altri, pure l’averlo accomunato con due malfattori parve, ed era ingiuria a un uomo, del quale non potevano e non dovevano disconoscersi i servizi resi alla patria.
L’espulsione provocò le dimissioni di due ministri, il marchese di Torrearsa e il barone Pisani: e quindi un rimutamento nel governo.
Mentre tali cose avvenivano in Sicilia, Francesco II troppo tardi cedendo all’incalzare degli avvenimenti, facendo pro’dei consigli di Napoleone III, pubblicava in Napoli l’Atto Sovrano, col quale largiva ai suoi sudditi la costituzione, e dichiarava di voler unire le sorti del regno del Sud a quelle dell’Italia, in una confederazione col regno del Nord; adottava perciò la bandiera dai tre colori con le armi borboniche nel partito bianco; riformava il ministero; creava la guardia nazionale, dava norme per la convocazione dei collegi elettorali. Non gli credette nessuno, neppure i ministri da lui chiamati al potere, che riconoscevano essere oramai perduta la causa della dinastia...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Macqueda 185)

Luigi Natoli: Il governo della dittatura di Garibaldi, validamente consigliato da Francesco Crispi. Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860.


Fra le cure di guerra, Garibaldi non trascurò di occuparsi dell’amministrazione,validamente aiutato e consigliato da Francesco Crispi, la cui mente di statista si rivela in quel complesso di leggi e provvedimenti intesi a rinnovare la Sicilia, e i difetti d’uomo appaiono nelle animosità delle lotte di partito. 
Già alcuni decreti Garibaldi aveva emanato lungo la sua marcia da Salemi a Palermo, oltre quello della Dittatura, base e fondamento di tutti gli atti di governo posteriori; e fra essi uno sulla formazione delle milizie distinte in tre categorie; un altro per abolire la tassa sul macinato, invisa alle moltitudini. A riordinare i comuni, inviava emissari siciliani conosciuti e autorevoli, con facoltà di nominare governatori provvisori, per amministrare, e nel tempo stesso provvedere armi e armati, viveri, munizioni. In Palermo appena entrato, costituiva il Comitato provvisorio, come si è detto; e il 28, sciolto il magistrato municipale eletto dal governo borbonico, ne nominava uno nuovo, al quale conservò per allora il titolo di Senato; e pretore elesse il duca Giulio Benso della Verdura, che, non estraneo alle cospirazioni, aveva patito arresti e prigionia. 
Con decreto del 2 giugno Garibaldi istituì una Segreteria di Stato, con sei dicasteri, chiamandovi a reggerli uomini reputati per dottrina e noti per la parte avuta nelle vicende della rivoluzione. Destinò il Giordano-Orsini alla guerra, l’avvocato Andrea Guarneri alla giustizia, il dotto canonico Ugdulena all’istruzione, Casimiro Pisani agli esteri e al commercio, Crispi all’interno e alle finanze. Il Ministero si pose alacremente all’opera di riordinamento dello stato; e se si pensa che esso si insediava fra le rovine di una città bombardata, e ancora in potere di un nemico numeroso e forte; e lavorava tra l’agitarsi di tutte le passioni che in quei momenti si scatenavano, l’opera sua e più la serenità degli atti, appare veramente grande e degna di un gran popolo. Che se talvolta gli effetti non corrisposero agli intendimenti, più che la volontà degli uomini è da accusarne il lungo servaggio, la dissuetudine a liberi reggimenti, l’ignoranza delle popolazioni e la loro facilità ad accendersi, e anche l’acerbità dei contrasti di partito. 
Il Dittatore per ricompensare coloro che per la patria avevano combattuto decretava che loro, se non eran possessori di poderi, fosse assegnato un lotto di terra sui beni comunali, e se i comuni non avessero terre, sui beni della corona o dello stato; che i figli dei caduti combattendo venissero adottati dalla patria ed educati e dotati a sue spese, e secondo la loro condizione, e le vedove pensionate. E questi benefizi furono estesi alle famiglie dei tredici fucilati del 14 aprile. 
Fu abolito il bacia-mano e il titolo d’eccellenza, segni esteriori di servaggio e disuguaglianza, che però la terza Italia rimise in moda, e i ministri sorti dalla rivoluzione estesero anche a chi non s’eran mai dati. 
Altri provvedimenti furon presi d’indole amministrativa e finanziaria: aboliti alcuni dazi su derrate di prima necessità; disposte norme per la riscossione dei beni demaniali e pel pagamento delle tratte e della rendita. Inoltre fu vietato il vagabondaggio e la mendicità; gli accattoni di professione espulsi da Palermo; i poveri validi adibiti ai lavori di sgombro delle macerie e alla nettezza pubblica. 
Nel rinnovamento di tutti gli ordini non fu trascurata l’istruzione: un decreto ordinò lo scioglimento e la espulsione delle congregazioni religiose dei Gesuiti e dei Liguorini, e la devoluzione dei loro beni, circa sei milioni di lire, a beneficio delle tre università di Sicilia; le scuole normali, che erano allora scuole di cultura popolare, furon trasformate in ginnasi; fu nominata una commissione per l’accertamento di tutte le opere d’arte, quadri, statue, arredi, vasi e altro; nel timore che, approfittando dei trambusti, qualche cosa venisse involata. 
Il 13 giugno, poiché l’opera delle squadre era inutile e anzi inceppava, Garibaldi le sciolse con un proclama, che era un saluto e una lode: “Voi che tanto contribuiste alla liberazione di questa terra... che conservaste il fuoco sacro di libertà sulle vette dei vostri monti... Voi potete oggi tornare alle vostre capanne, con la fronte alta, con la coscienza di avere adempito a un’opera grande... Io vi seguirò col cuore nel tripudio delle vostre messi, delle vostre vendemmie; e nel giorno in cui la fortuna mi porgerà l’occasione di stringere ancora le vostre destre incallite, sia per narrare delle nostre vittorie o per debellare nuovi nemici della patria, voi avrete stretto la mano d’un fratello”. 
Altro proclama dirigeva lo stesso giorno ai Cacciatori delle Alpi, avvertendoli non essere ancora tempo di riposo, e che ognuno di loro era chiamato a condurre la gioventù a nuove pugne, a nuove vittorie. “In rango dunque! – In rango tutti i soldati di Calatafimi e prepariamoci ad ultimare l’opera magnifica che abbiamo cominciato”.
Intanto l’annuncio delle riportate vittorie, propagatosi fra lo stupore, l’ammirazione e la gioia per tutta la penisola; esagerato anche dai giornali, che pubblicavano entusiastiche lettere di quei volontari, aveva destato nuovi fervori...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Macqueda 185)

sabato 8 giugno 2024

Dal diario di Antonio Beninati: 07 giugno 1860. Muore Luigi Tüköry. Tratto da: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860.

 

Questa mattina si è sparsa la voce della morte dell’ungherese Luigi Tuchery: io dico la verità, non prestai fede alla notizia; volli accertarmi, recandomi al palazzo S. Lorenzo; disgraziatamente la notizia mi venne confermata. Io non ebbi il coraggio di alzare il funebre lenzuolo. Parecchie nobili signore stavano nella stanza mortuaria; il principe di S. Lorenzo e la signora Ugdulena piangevano, proprio come fosse stato uno stretto parente. Il principe mi ha detto che il povero Tuchery è spirato prima della mezzanotte, e di buon mattino sono venuti Turr, Menotti, Dezza ed altri dello stato maggiore.
Il trasporto della salma si farà quest’oggi verso le ore 21.
Garibaldi ne dà l’annunzio con queste parole:

“Il Colonnello Tuckery è morto – i Cacciatori delle Alpi perdono oggi uno de’ migliori compagni! Varese, Como, Calatafimi, Palermo videro Tuchery primo fra i primi assaltare il nemico – nell’ultima pugna egli conduceva i coraggiosi soldati ed ufficiali delle Guide, che chiesero l’onore di entrare i primi a Palermo. Morì oggi delle sue ferite – il buono, il prode, l’intrepido Ungherese, il degno rappresentante della terra classica della bravura – della sorella d’Italia.
“La fratellanza dei due popoli, cementata col sangue sui campi di battaglia è imperitura. L’Italia libera è solidaria responsabile alla faccia del mondo della libertà ungherese.
“I figli di questa terra risponderanno al grido di guerra contro la tirannide echeggiante sulla sponda del Danubio, nel giorno che le rotte catene de’ nostri fratelli saranno fuse in daghe per combattere gli oppressori.
“Sì” Gl’Italiani giurano sulla tomba dell’eroico martire che la causa dell’Ungheria è la loro, e che cambieranno coi loro fratelli, sangue per sangue.

 G. Garibaldi”



Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15%, consegna a mezzo corriere in tutta Italia).
Disponibile su Amazon Prime e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro) La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M. Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Maqueda 185)

martedì 4 giugno 2024

Dal diario di Antonio Beninati: 3 e 4 giugno 1860. Corrao e La Porta sono i capitani che strenuamente hanno difeso la Porta Macqueda. Tratto da: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860

3 giugno: Il Governo lavora, ma padroni della situazione sono l’avv. Crispi e padre Ugdulena; il resto secondo me sono in seconda linea.
Il Sirtori posa troppo; mi fa impressione di un uomo che posi, e che sia troppo gonfio: mi dicono persone venute col Generale che esso era un prete, anzi canonico: sarà poi vero?
Nei monasteri si lavora a fare filaccie e bende per i feriti e si mandano agli ospedali; sempre però accompagnate di albanette di conserva e di dolci: oltre il clero, abbiamo anche le monache che concorrono coll’opera di carità alla rivoluzione.
All’ospedale dello Spasimo e di S. Anna sono avvenuti casi di morte abbastanza; pare che dei feriti del 30 scorso, pochi si salveranno. 
Stamane ho visto lavorare nelle macerie di piazza Lumia: vennero estratti quattro cadaveri, uno dei quali di una donna che teneva al petto un bambino: a quella vista così pietosa, la gente piangeva. Quelli del vicinato gridavano “povera donna Giovannina!”. Sono delle scene alle quali difficilmente si può resistere. I danni sono incalcolabili, sia di persone che di averi. Se il fuoco si riprenderà, Palermo diventerà una pianura, e tutto questo per colpa di Maniscalco. Egli spinse i nobili a fare la rivoluzione.
Il Generale quest’oggi mi sembra di buonissimo umore, al Municipio c’è più ordine. Mi si dice che questa mattina di buon’ora il Generale ha ricevuto una visita del generale Letizia, che vuole stabilire una tregua a tempo indefinito.
Nella piazza della chiesa del Carmine, di buon mattino tramutata in scannatoio; la plebe uccise sei birri e voleva bruciarne i cadaveri. Ma una donna del popolo cominciò a gridare...
(Nella foto Giovanni Corrao) 


4 giugno: Sono stato a visitare Luigi Tuchery, in compagnia di Agri e Zanetti: l’ammalato non mi piace molto, l’amputazione della gamba sinistra è stata fatta molto tardi, direi si verificò quanto ebbe a dirci il professore Castellana. A me quest’uomo fa tanta simpatia e pietà nel tempo stesso. Egli guarda tutti negli occhi, quasi volessi dire: Aiutatemi!.
Si lagnava con me perché a Palermo fa molto caldo; io penso invece che è il caldo della febbre violenta che lo brucia. La Provvidenza voglia salvarlo.
Quando penso che la sua famiglia ignora la triste condizione di lui, mi vengono le lagrime agli occhi. La signora donna Caterina non lascia di assisterlo un momento; essa l’ama come un fratello: l’ammalato ad ogni piccola cosa risponde con la parola: Grazie.
La fortissima barricata di Porta Macqueda è bene custodita di combattenti: Corrao e La Porta sono stati i capitani che strenuamente hanno tenuto fronte alle truppe regie. Mi dicono che Corrao sia dotato di un coraggio da leone.
(Nella foto Luigi Tüköry)



Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15%, consegna a mezzo corriere in tutta Italia).
Disponibile su Amazon Prime e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro) La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M. Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Maqueda 185)

lunedì 3 giugno 2024

Luigi Natoli: 03 giugno 1860, Palermo libera... Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

L’esercito borbonico contava il 1 giugno ancora diciotto mila uomini, artiglieria, cavalleria, compagni d’arme; il Castello, e una terza base tra Porta di Termini e la Fieravecchia, dov’era la colonna Von Meckel. Ma questa, come dicemmo, vi era rimasta come imprigionata: e le altre due basi, senza comunicazioni, erano anch’esse chiuse e circondate da una fitta rete di barricate formidabili. Alla difesa delle quali, e pronti anzi all’offesa v’erano cinquantotto squadriglie, comandate da uomini che avevano dato sì luminose prove di coraggio. Potevano ascendere in tutto a poco più di due migliaia d’uomini armati di fucile; che apparivano, forse, assai più numerosi perchè tutto un popolo, sebbene senz’armi, fremeva e s’agitava intorno ad essi. Ma v’erano ancora da quattro a cinquecento dei Mille, fior di valore, nei quali i “picciotti” avevano piena e devota fiducia. Per incoraggiare e per accrescere il numero dei “picciotti”, Garibaldi rivolgeva “ai Siciliani” un proclama, nel quale, pur costatando che “le condizioni della causa nazionale erano brillanti” e che il trionfo era assicurato “dal momento che un popolo generoso respingendo proposizioni umilianti si risolveva a vincere o morire”, raccomandava a tutti di armarsi. “Aguzzate il ferro e preparate tutti i mezzi di difesa e di offesa... Armi, ed armatevi!... Chi non pensa ad un’arma in questi tre giorni è un traditore: e il popolo che combatte fra le rovine delle sue case... non può essere né vile né traditore”.
Nondimeno, non ostante il buon volere, gli entusiasmi, le prove date, se poteva fidarsi sul popolo in quei frangenti, non era da contar molto, per una guerra ordinata e lunga sulla compattezza delle squadre. Esse è vero si erano battute valorosamente in quei tre giorni, e più di trecento uomini di loro eran morti tra le barricate, martiri offerti dal popolo della città e delle campagne, rimasti ignoti e oscuri nella morte, come erano stati nella vita: ma non essendo esse ingaggiate regolarmente con obbligo per tutto il periodo della guerra, la loro forza numerica oscillava sempre, per l’abbandono di molti, specialmente contadini, cui una lunga permanenza riusciva disagevole, in giorni destinati ai lavori dei campi.
E per continuare una guerra, della quale non si potevano prevedere la durata né la sorte, occorrevano forze disciplinate e organizzate militarmente. Il La Masa, forse illudendosi per la generosità dell’animo suo, attendeva a dar loro ordinamenti regolari, e il giorno 3 di giugno, quando si sarebbero dovute riprendere le ostilità, esse erano formate su nove battaglioni, comandati rispettivamente dal barone Giuseppe di S. Anna, dal barone Di Marco, da Vincenzo Caruso, Luigi Bavin-Pugliesi, Ferdinando Firmaturi di Chiosi, Luigi La Porta, Agostino Rotolo, Giovan Battista Alaimo, colonnello Anfossi, con una forza che ondeggiava fra cinquecento, quattrocento e duecento uomini per battaglione; con uno stato maggiore, un numeroso corpo di guide, ambulanze e tutto. A essi il La Masa estese il nome di Cacciatori dell’Etna dato primamente da Garibaldi alle squadriglie che l’incontrarono a Salemi; e il nome pomposo di “Secondo corpo dell’esercito meridionale”; nome che esprimeva, più che un fatto, un desiderio di quell’uomo operoso e di non dubbio patriottismo.
Dei Mille non ve n’erano ancor atti alle armi che circa cinquecento; e di essi poco più della metà avevano ancora un fucile, come testimoniò Nino Bixio; e non avevano neppur uno dei cannoni vantati dai proclami del comitato, ciò che aveva in certo modo deluso e sfiduciato il popolo: sicché se il Comando delle forze borboniche avesse saputa la vera condizione delle milizie rivoluzionarie, certo avrebbe sulla città gittati i suoi diciottomila uomini forti di cannoni e di cavalleria.
Per fortuna, in quei giorni, ricondotti dal Giordano Orsini e accompagnati, da Misilmeri in qua, dal Corrao, che il Generale gli aveva spedito incontro con 150 uomini risoluti, giungevano in Palermo i quattro cannoni che formavano l’artiglieria dei Mille; ed erano stati piazzati dinanzi la fontana Pretoria, per infondere coraggio alla popolazione. Ma il popolo di Palermo, arguto e burlesco pur fra i grandi pericoli, aveva fatto credere ai Borbonici di possedere delle artiglierie; e di fatti di tra le barricate erette la notte del 30 maggio, si vedevano affacciar bocche nere e minacciose, che pareva dovessero vomitar la mitraglia; e non erano che innocui tubi di terracotta per acqua, che i monelli avevan posto lì per spaventare gli avamposti nemici! Sopra un’altra barricata, infilato a una pertica, come una bandiera, avevano innalzato il berretto gallonato di Maniscalco.
Alcuni giorni dopo però, Pasquale Calvi, uno degli uomini del ‘48 più illustri per grandezza di ingegno e novità di idee, portava da Malta sei grossi cannoni e casse di cariche.
Tale era la condizione delle due parti belligeranti: se non che la rivoluzione aveva per sé la fede e gli entusiasmi, ed aveva Garibaldi, che appariva al popolo un dio: la causa regia nessuna speranza e nessuna fiducia in sé; pareva anzi che sentisse già il peso della fatalità che l’aveva condannata. Le paure del Letizia e del Buonopane, che erano partiti alla volta di Napoli per ottenere la sanzione reale e riceverne istruzioni, condannavano il Lanza a una inazione che equivaleva a una sconfitta; giacché accresceva i disagi e l’abbattimento morale delle truppe. Oltre di che era ragione di gravi pensieri la limitazione delle riserve di viveri, quasi esaurite, la impossibilità di far macinare il grano dei magazzini, il difetto di biade, la mancanza di alloggi, il numero dei feriti e degli ammalati che ancor giacevano a San Giacomo, le continue disserzioni.
La sera del 2 giugno, il generale Letizia e il colonnello Buonopane ritornavano da Napoli; e il domani alle dieci, si recavano al palazzo Senatorio, per ottenere da Garibaldi una proroga dell’armistizio a tempo indeterminato, al fine di imbarcare feriti e ammalati: e ottenutala, non senza soddisfazione di Garibaldi, ripartivano alla volta di Napoli, per riceverne istruzioni definitive. E ne ritornavano la sera del 5, con l’approvazione reale della proroga e con la facoltà di pattuire con Garibaldi, soltanto per vedute umanitarie, e senza farvi intervenire “l’imponenza dell’Autorità Sovrana”. Le nuove trattative furono stipulate e firmate la mattina del 6 dai due ufficiali napoletani e dal Dittatore; e sembra che il Lanza non ne fosse stato inteso; onde se ne dolse al Re, credendosi esautorato; e più tardi rovesciò sui due firmatari la colpa degli insuccessi. Premesse le ragioni di umanità, si stabilì che la tregua durasse fino al compimento delle operazioni; completo imbarco degli ammalati e dei feriti; facoltà alle truppe di potere uscire della città o imbarcarsi, senza molestie, con gli equipaggi, il materiale, i cavalli, i bagagli, e tutto che loro appartenesse; scambio di prigionieri; salvo che i sette nobili detenuti nel Castello, rimarrebbero ostaggi fino alla piena e intera uscita delle truppe, né si consegnerebbero ai delegati del Dittatore che al molo.
Queste convenzioni, che liberavano finalmente la città, e suggellavano la meravigliosa rivoluzione, suscitarono entusiasmi, dimostrazioni, sbandieramenti.
Il giorno dopo le truppe regie, in buon ordine, dal Palazzo reale e da porta di Termini, per le strade esterne si concentravano ai Quattro Venti per imbarcarsi...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Macqueda 185)

Luigi Natoli: 29 maggio 1860, la morte dei fratelli Salvatore e Pasquale De Benedetto e come i valorosi difesero la barricata... Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Nel mentre questo avveniva al bastione, una colonna di regi, discendendo pel Toledo, sorpresa una parte della squadra di Giuseppe Sant’Anna, la ributtava, conquistando una barricata. Ai colpi di fucile e alle grida accorrono alcuni drappelli di volontari, accorrono i “picciotti”, rinfrancano il combattimento; i regi costretti a indietreggiare, rientrano nel piano del Palazzo, ma per poco. Verso le due del pomeriggio, con forti colonne condotte dai generali Sury e Colonna, scendono pel Toledo, per la via detta ora di Matteo Bonello, e pel Papireto, con l’obbiettivo di espugnare le barricate, impadronirsi del campanile della Cattedrale, spingersi da un lato verso il Monte di Pietà, forse per giungere a dar mano forte al presidio delle Finanze, chiuso e assediato; dall’altro, impadronirsi del quartiere generale. Ma il generale Sury incontra una opposizione fierissima alle barricate. A quella inalzata dinanzi al palazzo Carini, tra questo e il monastero dei Sette Angeli, con le macerie di questi edifici, la resistenza fu ostinata; né i regi poteron superarla.
Qui con gli altri combattevano Salvatore e Pasquale De Benedetto, fratelli di Raffaele. Erano tutti e tre stati attivissimi nel cospirare e apprestar armi alla rivoluzione, rischiando la vita e contribuendo largamente del loro patrimonio; Salvatore era stato arrestato poco dopo il 4 aprile, Raffaele e Pasquale eran sfuggiti alle ricerche della polizia, e s’erano uniti con Rosolino Pilo; poi avevano raggiunto Garibaldi, e il 27 maggio li trovò nelle prime file. Il 28, Salvatore, uscito con gli altri dal carcere, corse a trovarli; ma Raffaele giaceva per la grave ferita toccata il 27 al ponte dell’Ammiraglio, e soltanto Salvatore e Pasquale poteron prender parte ai combattimenti che si svolgevano nella città. Ora difendevano con le squadre e coi volontari la barricata del palazzo Carini; Pasquale, audace, ferito già da una scheggia, pugnando a petto scoverto, cadeva colpito nuovamente da una palla al fianco; Salvatore, che gli stava da presso, accorso per sostenerlo, aveva da un’altra palla passato il cuore: caddero abbracciati sulla barricata, confondendo in una le anime eroiche.
Questa dei De Benedetto fu una grande famiglia per nulla inferiore a quella dei Cairoli. Raffaele combattè al ‘48, cospirò nel decennio di preparazione, fu coi fratelli massima parte della rivoluzione del 4 aprile, fu ferito a Palermo, seguì Garibaldi ad Aspromonte, combattè nel Trentino, morì eroicamente a Monte S. Giovanni nel 1867, dinanzi a Roma. Salvatore e Pasquale morirono sulle barricate. Anche i due minori fratelli Luigi e Carmelo aiutarono la rivoluzione, sebbene ancor giovinetti. Alla causa della libertà diedero sostanze e vita, che altro potevano offrire di più?
La morte dei due valorosi non disanimò i difensori della barricata; i quali dai ripari, dalle case adiacenti, col vivo fuoco respinsero i regi, e li costrinsero a sloggiare anche dal palazzo di S. Ninfa che avevano occupato.
La colonna borbonica sinistra, intanto, avanzandosi per via Matteo Bonello, pei Sette Angeli, e più giù per la Gioiamia, minacciava le barricate che sorgevano in quei luoghi, nel vicolo della Neve e sotto l’arco di S. Isidoro. Erano esse difese da squadriglie e da volontari: la squadra dei fratelli Corteggiani stava in via Matteo Bonello; Narciso Cozzo, Francesco Brancaccio, Margarita dei Mille, Bracco-Amari, e altri, con alquanti “picciotti” nella via Artale e nel vicolo della Neve. Non eran molti e la resistenza per quanto gagliarda non poteva prolungarsi. Qualcuno corse al quartiere generale, e Garibaldi, intuendo il pericolo, accorse seguito da Menotti e trascinando dietro a sé quanta gente era possibile: ma innanzi a tutti corse la squadra di Partinico guidata da Cernigliaro, che si precipitò sui regi, disperatamente.
La presenza di Garibaldi esaltò il valore di quei bravi particinesi, centuplicò le forze di tutti. Non mancarono atti di eroismo veramente antico. Alla barricata del vicolo della Neve, Paolo Falgaris combatteva col figlio: una palla glielo uccise: ei lo raccolse fra le braccia, lo baciò, lo depose pianamente, ricacciò indietro le lacrime, e tornò spartanamente a combattere. Durante il combattimento qualche centinaio di giovanetti scalzi e seminudi, traendosi un petriero sopra un carrettino, venendo da un vicolo, armati di ciottoli assalì i soldati, urlando come una tempesta. Le grida, i sassi, sgomentarono i soldati: le squadre e i volontari ne approfittarono; i regi respinti da ogni parte, furon costretti a ritornare nel piano del Palazzo, lasciando agli insorti la Cattedrale e il suo campanile, e tutta la linea di Toledo.
A sera, tutte le truppe borboniche, respinte, erano chiuse da ogni parte nel piano del Palazzo, dove non avevano abbastanza spazio per spiegare un’azione. Stanche, di tre giorni di pugna, affamate, sbrandellate, disanimate, con circa quattrocento feriti senza ricovero, si vedevan ora tagliata ogni comunicazione col Castello, intercettata la segnalazione col mare, avendo gli insorti distesa da un muro all’altro del Toledo, presso i Quattro Canti, come un sipario, la grandissima tela grigia che, serve a coprire l’arco della cappella maggiore di S. Giuseppe nei riti della settimana santa. In queste condizioni il generale Lanza rinnovò al Chretien l’incarico di riprender le trattative per una tregua; ma intanto, non potendo altrimenti offendere la città, dal forte di Castello a mare, a sera inoltrata si riprese il bombardamento, senza però la prima veemenza.
(Nella foto: la tomba dei fratelli De Benedetto, nella chiesa di S. Domenico, Palermo). 


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Macqueda 185)