- Ecco che cosa può l’ignoranza in cui è tenuta la patria nostra! – osservò amaramente don Francesco – uomini di cuor generoso, di spiriti nuovi, atti ad affrontare e a vincere i pregiudizi sociali, sono sopraffatti dal pregiudizio politico, che rappresenta le nuove idee, i nuovi principii come qualcosa di innaturale, di spaventevole... Eh, giovanotto mio, tutto ciò che è nuovo, e che per conseguenza urta contro il vecchio, è in fondo rivoluzionario; e ciò che è rivoluzionario è giacobino... Voi avete creduto di compiere un atto di riconoscenza verso un uomo che la fortuna ha fatto nascere in un ceto ritenuto inferiore, un atto perfettamente cristiano... ma nel tempo stesso avete combattuto e vinto in voi il pregiudizio anticristiano che vi faceva considerar cotesto giovane come un vostro inferiore; avete cancellato la distanza che la vecchia società ha posto fra padroni e servi, e avete proclamato l'idea della vostra fratellanza.... Che cosa volete di più rivoluzionario nel vostro atto? Ebbene, giovanotto mio, cotesto giacobinismo che vi ha fatto paura, proclama appunto il gran principio che tutti gli uomini sono uguali e sono fratelli...
- E perchè dunque tutte le nazioni insorgono contro la Francia? – oppose Corrado.
- Le nazioni? No. Sono i re, ed è chiaro: sono i padroni che non vogliono perdere il dominio sugli uomini tenuti come schiavi, e.che hanno paura di quelle nuove idee proclamate in Francia...
- E perchè i giacobini offendono la Chiesa e perseguitano i sacerdoti?- Perché i preti, invece di prendere la difesa degli umili, e professar, come sarebbe loro dovere, il grande principio cristiano della fratellanza umana, si sono posti a servizio dei padroni, per ribadire le catene della schiavitù. Essa è contro il popolo e contro il precetto di Dio…
Corrado li ascoltava con stupore e con un certo piacere avido: bandito, posto fuori legge, vittima anche lui di oscure persecuzioni, di pregiudizi e di ingiustizie, intravedeva nelle parole di quegli uomini un mondo ideale nuovo, nel quale certi pensamenti, certe aspirazioni che gli parevano naturali e suggeriti dalla sua singolare condizione si coloravano di una luce nuova.
- È tempo in verità di snebbiare le menti, – continuò don Francesco accalorandosi; – è tempo che la luce del vero risplenda. Bisogna liberare il popolo dalla schiavitù; che il potere sia restituito alla nazione; che sia chiuso e per sempre il regno dell'ignoranza e della miseria!... Voi avete percorso tutte queste nostre regioni; avete veduto feudi immensi, senza un filo d'erba; abbandonati alla pastura; senza una casa; e di quando in quando un villaggio miserabile, abitato da contadini miserabili, proprietà di un patrizio, che non conosce neppure, che li fa morire di freddo, di fame, di malaria; ma che ogni anno spreme da quelle terre e dal lavoro di quei contadini di che rivestir di oro le sue carrozze, gittare una farina sopra un tavolino da giuoco o sul letto di una cantatrice o di una ballerina! Tutta la nostra isola, un dì fiorente e ricca, ora non è che un vasto campo di sfruttamento nelle mani della nobiltà e del clero. Non ci sono che tre ceti; due ricchi, nobiltà e clero; uno povero, il popolo. La povertà di questo costituisce la ricchezza degli altri, e lo tiene schiavo. Ora bisogna che il popolo abbia la sua parte di ricchezza; e, per averla, deve conquistare i medesimi diritti degli altri due ceti, o deve distruggere quelli in virtù dei quali nobiltà e clero hanno spogliato e assoggettano il popolo. Ecco, che cosa è questo giacobinismo che vi ha fatto paura: è la libertà per tutti, l'uguaglianza di tutti, la fraternità fra tutti. È un delitto? No. È riconoscere in ogni uomo un valore pari a quello di un altro uomo; e non riconoscere altro privilegio se non quello della virtù, dell'ingegno, e del valore. Voi, in coscienza, vi sentite come uomo forse inferiore al primo titolato, allo stesso vicerè? No? E perchè dunque ciò che sentite nella coscienza non deve essere riconosciuto da un diritto?
(Nella foto: Francesco Paolo Di Blasi, giureconsulto)
Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine settecento, al tempo della rivoluzione francese. Al centro dell'opera il personaggio storico e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 855 - Copertina di Niccolò Pizzorno
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