Nella notte dal 9 al 10 gennaio, circolava per la città un proclama sedizioso:
“Fratelli!!
Il re ci tiene nella schiavitù e nella miseria. Mostriamo il nostro coraggio, corriamo alle armi e che il giorno 12 gennaio 1848 sia nefasto al tiranno e ai suoi vili satelliti, e sia a noi foriero di gioia. Alle armi! alle armi!
I Palermitani
Il tempo delle preghiere inutilmente passò! Inutili le proteste, le suppliche, le pacifiche dimostrazioni. Ferdinando tutto ha sprezzato; e noi popolo nato libero, ridotto fra catene, nella miseria, tarderemo ancora a riconquistare i legittimi diritti? All’armi figli di Sicilia. La forza di tutti è onnipossente, l’unirsi dei popoli è la caduta dei re. Il giorno 12 gennaio 1848 all’alba, segnerà l’epoca gloriosa della universale rigenerazione. Palermo accoglierà con trasporto quanti siciliani armati si presenteranno al sostegno della causa comune, a stabilire riforme e istituzioni analoghe al progresso del secolo, volute dall’Europa, dall’Italia, da Pio.
“Unione, ordine, subordinazione ai capi. Rispetto a tutte le proprietà e che il furto sia dichiarato tradimento della patria e come tale punito. Chi sarà mancante di mezzi, ne sarà provveduto. Con questi principii il cielo seconderà la giustissima impresa.
Siciliani all’armi!”
Tale
cartello fu, nello stesso giorno seguito dal seguente avviso:
“Le
masse armate che dall’interno del Regno corrono a prestare man forte alla causa
nazionale, prenderanno posizione nei vari punti delle nostre campagne, indicati
dai rispettivi condottieri. Costoro dipenderanno dagli ordini del Comitato Direttore
composto dei migliori cittadini di ogni rango.
“La
popolazione di Palermo uscirà armata di fucili all’alba del 12 gennaio,
mantenendo il più imponente contegno, e si fermerà nelle parti centrali
aspettando i capi che si faranno conoscere e la dirigeranno. Non si tirerà
sulla truppa se non dopo serie provocazioni e aperte ostilità.
“In
ogni intervallo, nessuno ardisca criticare gli ordini e i provvedimenti del
Comitato. Ciò è del maggiore interesse perché non si alteri l’esecuzione del
piano generale, diretto ad assicurare i destini della nazione e la salute
pubblica.
“Qualunque
movimento che sarà suscitato in Palermo e fuori, prima del giorno dodici, si
avverte esser manovra di quella polizia che cerca di aggravare le pubbliche
catene.
“Non
si domanderanno contribuzioni ai proprietari, quando non sieno volontarie e
spontaneamente esibite. Ciò serva a smentire quanto la polizia va indegnamente
praticando per discreditare il Comitato, incapace di esercitare concussioni di
migliaia di once, a carico di negozianti e proprietari”.
Erroneamente si è attribuita la paternità del cartello di sfida a Rosario Bagnasco, scultore, mentre fu scritto dal fratello di lui Francesco, forense; tanto è vero che quest'ultimo ottenne dal Parlamento Siciliano una pensione di tarì 12 (L. 5,10) al giorno. Avvenuta la ristaurazione borbonica fu arrestato, e fatto perire in carcere per effetto di durissimi trattamenti.
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