La discesa cominciò al tramonto. L'Eber nelle sue
corrispondenze la descrisse minutamente, e salvo in qualche particolare, con
una certa esattezza. Ma con maggior precisione è descritta da Pasquale
Mastricchi. L'Eber infatti credette che le guide siciliane avessero sbagliata
la strada: e invece si tratta di una diversione voluta da Garibaldi. Il Mastricchi,
con otto uomini scelti, marciava alla testa delle squadre, (che formavano, come
si sa, la testa dell'esercito) per sollecitarle. Arrivato a Rappallo,
Garibaldi lo raggiunse, lo fermò, gli fece accendere un fiammifero e guardò l’orologio.
Segnava l’una. Domandò al Mastricchi, al “vecchio di Gibilrossa”, qual era la
strada più corta dal punto dove si trovavano. Il Mastricchi la
indicò. Ma dopo mezzo miglio Garibaldi per abbreviare ancora, fece piegare per
un sentiero che conduceva alla Favara. Lì dinanzi al fondo Guccia, avvenne un
diverbio fra alcuni picciotti che s'eran fermati per bere, e Bixio, sedato e
dalla prudenza del La Masa e dall'intervento del Sirtori. Ma se il Mastricchi,
come siciliano può sembrare sospetto, lasciamolo lì; tanto più che ci
avviciniamo a un'altra seconda fuga, consacrata dal Guerzoni che non c'era; e
teniamoci all’Eber, che se ne stava a osservare, da buon reporter.
Egli
dunque dopo aver narrato che le squadre alle prime case, per un equivoco,
invece di correre in silenzio “cominciarono a gridare Evviva!” svegliando i
soldati di guardia al ponte dell'Ammiraglio e mettendo sulla difesa le
compagnie accessorie a S. Antonino e appostate dietro la barricata di Porta di
Termini, dice:
“L'avanguardia
(dei nostri) invece di sorprendere il posto militare del ponte fu ricevuta da
un ben nutrito fuoco non solo di fronte, ma ai fianchi, dalle vicine case: la
qual cosa gettò una certa confusione fra i Picciotti, che non avevano mai fatta
la guerra”.
Una
certa confusione; non dice altro l’Eber che stava a fianco di Garibaldi e di Turr,
e osservava: non fughe, non sparizioni, o altra simil cosa, inventata per
sciocca esaltazione del valore altrui: e della confusione egli, che non ne
risparmia nessuna alle squadre, dà anche la spiegazione. Dimenticò dire, però,
e forse nol seppe allora, che ciò non ostante i picciotti sostennero il primo
fuoco dei regi e che i primi caduti furono precisamente alcuni capi
squadriglia, Rocco La Russa, Pietro Lo Squiglio e Pietro Inserillo.
“Mentre
i trenta o quaranta uomini dell' avanguardia” (quelli di Tukory) – continua l’Eber – “sostenevano il fuoco,
giunse in fretta il primo battaglione dei Cacciatori, e poichè neanche questo
potè espugnare celermente la posizione, vi fu spedito anche il secondo. I
Napoletani all'impeto dei nostri retrocedono: i Picciotti “ (senta, senta anche
questa il Luzio) “i Picciotti si rinfrancano alla voce dei capi e in ispecie
del Generale e affrontano il fuoco che partiva dalla Porta di Termini”. E qui poteva
aggiungere quali altri delle squadre furon feriti, e ricordare per lo meno Raffaele
Di Benedetto: ma non monta.
“....
Oramai era necessario che tutte le forze di Garibaldi entrassero nella città,
a fine di evitare d'esser aggrediti alle spalle dai regi che stavano al piano
dei Porrazzi. Per ovviare a tale pericolo fu dato ordine che alcune delle bande
si appostassero dietro i muri dei giardini.... Queste diversioni e forse anche
la ripugnanza a combattere in aperta campagna, furono bastevoli a far fronte al
pericolo....; finchè la maggior parte degli uomini delle squadre furono dentro.
Nel tempo stesso fu innalzata una barricata per guardarsi le spalle; il che
piacque tanto ai Picciotti che ne vollero fare un'altra di rimpetto.... Onde
animare i Picciotti, un carabiniere genovese prese quattro o cinque seggiole,
vi piantò sopra una bandiera tricolore e vi sedette tranquillamente per
qualche tempo. L'esempio fece meraviglioso effetto e i Picciotti furono visti
fermarsi nello stradale, intrepidamente, scaricando i fucili”.
Come
mai il Luzio non lesse questo racconto dell'Eber? O forse perchè mandava all'aria
un altro pezzo della verità pura e semplice del Nievo, si consigliò di
sopprimerlo? Ma poichè nè egli lesse tutto Eber, nè questi, e con lui gli altri
storici, approfondirono le loro ricerche, racconterò io alcuni altri
particolari, che attingo alla narrazione del Mastricchi (130) e a documenti.
La
prima compagnia che passò il ponte fu quella di Carini, della quale facevano
parte Alessandro Ciaccio, Giuseppe Campo e Giuseppe Bracco-Amari, mandata
avanti con fra Pantaleo, perchè essendovi molti siciliani, potevan meglio
riordinare e guidare i Picciotti. I quali vergognandosi di quell'istante
d'incertezza, seguirono e si confusero coi volontari, ed entrarono con loro in
città. E questo dice anche l'Abba.
Uno dei primi ad entrare
fu Leopoldo Mondino, come risulta da documenti del 1860, firmati dal Cenni.
Dopo
Nullo, che a cavallo, d'un balzo, attraversò il crocicchio di Porta di Termini,
passò Luigi Bavin Pugliesi, che piantò la bandiera sulla barricata di Porta di
Termini, dopo di lui, Pasquale Mastricchi.
Chi
fu mandato pei giardini per proteggere alla sinistra i volontari, fu l'abate
Rotolo, con la squadra dei Lercaresi, il quale costrinse la
cavalleria appostata nella strada del Secco, a fuggire: a destra fu mandato Vincenzo
Fuxa, alla testa di altre squadre, che attraversati gli orti, si gittò nella
Villa Giulia, donde superando lo stradone di S. Antonino, ora Via Lincoln,
spazzato dalla mitraglia, entrò in città dalla porta Reale, quasi nel tempo
stesso che Garibaldi entrava da Porta di Termini.
Queste
non sono lettere inviate ad alcuna Bice, sono storia, testimoniata dall'Eber;
suffragata dai documenti, dinanzi alla quale le allegre bravate del Nievo, e
quella “verità pura e semplice”, e quelle squadre “addestrate più a fuggire,
che a combattere” non fanno far certo una bella figura a chi le ha inventate.
Povere squadre, le quali per sessantacinque giorni osteggiarono i borbonici;
combatterono tre dì per le strade di Palermo; lasciarono centinaia di morti
sparsi e sui monti e tra le barricate, ignoti, umili, silenziosi, per non aver
altra ricompensa che la calunnia e il dispregio da coloro stessi che, via! pur
si avvantaggiarono dei loro sangue!
Oh
no, questo non è generoso, non è bello, e sopratutto non è giusto; e
il Luzio ripubblicando e dando valore di storia alla sciagurata lettera
del Nievo, ha, creda pure, diminuito la gentilezza di cui coloravamo la figura
del poeta soldato. Con un po' di prudenza e con maggior serenità egli ci
avrebbe risparmiata la pena di vedere in uno dei gloriosi compagni di
Garibaldi, in uno di coloro al cui petto Palermo con fraterna riconoscenza
apponeva il simbolo tricuspide della Sicilia, qualcosa tra il Lelio goldoniano
e il Miles plautino.
Nella foto: Raffaele De Benedetto (ritratto esposto al Museo di Storia Patria - Palermo)
Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e
altri scritti storici sul Risorgimento siciliano – Raccolta di scritti storici e
storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere
originali. Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di
Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana
nel 1860
(Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti
sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile
"Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 -
XVI)
I più piccoli garibaldini
del 1860
(Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso
le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in
Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di
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