Bentivegna fu arrestato la notte del 3 dicembre da dieci soldati d’armi, e da una compagnia del battaglione cacciatori guidati da spia, un certo Milone uomo più volte beneficato da Bentivegna; e che come tale conoscea ove tenevasi nascosto. Egli fu trovato solo e inerme in una piccola casa di campagna, e fu condotto a Palermo. La Corte intanto continuava la istruzione del processo, quando il Luogotenente generale con ministeriale del 9 dicembre, Dipartimento di Polizia, scrisse al procuratore generale della gran Corte criminale «Avendo risoluto, che un Consiglio di Guerra subitaneo procedesse pel signor Bentivegna, Ella nel giorno di dimani gli trasmetterà le carte relative allo stesso, e la nota dei testimonii.»
A mezzanotte dello stesso giorno venerdì, una carrozza usciva dal castello scortata da molta forza armata. Vi erano dentro Bentivegna, Maniscalco ispettore di polizia, De Simone Tenente di Gendarmeria. Lungo il viaggio, De Simone dimandava al Bentivegna, se egli avesse tentato di far la rivoluzione per consiglio del console Inglese, o pure di altri, e Bentivegna gli rispondeva con riso sardonico, e gli discorreva di agricoltura.
All’alba del 20 dicembre la carrozza giunse a Mezzojuso ove il Bentivegna domandò al Caffettiere, caffè e sicari. Poi volle vedere l’arciprete Greco, cui domandò un foglio di carta e calamaio. Il buon Prelato gli fornì tutto, ed egli con mano ferma cominciò a scrivere il suo testamento. Maniscalco e De Simone gli sussurravano che non sarebbe valido, ed egli rispondeva
«Va bene lasciatemi fare.»
E compì la sua scrittura che consegnò all’arciprete. Poi tornò a fumare, e quando l’ora della esecuzione fu giunta, domandò che non gli si bendassero gli occhi, che non l’obbligassero a sedere sopra sedia.
«Io cammino e voi tirate.»
Egli disse, e così fu fatto.
Così la mattina del sabato, a quell’ora in cui la suprema Corte di giustizia, in virtù della ministeriale comunicatale il giorno prima a due ore p. m. avrebbe dovuto discutere la causa di Bentivegna, questi, poche ore innanzi era stato fucilato in Mezzojuso senza alcun giudizio legale, ma per ordine arbitrario del governo, per cui la suprema Corte in virtù della seconda ministeriale dello stesso giorno di venerdì comunicata alle ore 5 p. m. non si occupava che di affari civili.
Ma la causa di Bentivegna trovavasi già notata per l’udienza di lunedì, e bisognava smaltirla. La suprema Corte dunque trovavasi imbarazzata se dovesse, o pur no trattare la causa del morto. Un ricorso degli Avvocati presentato all’udienza di lunedì in cui si diceva
«Poiché Bentivegna è stato fucilato e i morti non si giudicano, così ritiriamo il nostro ricorso.»
Diede termine all’imbarazzo della Corte, la quale immediatamente decise
«Attesochè il Bentivegna è stato fucilato, e gli Avvocati hanno ritirato il ricorso, così non vi è luogo a deliberare.»
Non mai in questo paese l’opinione pubblica si è pronunziata con tanto vigore, con tanta unanimità contro il governo, quanto nella presente occasione. Le qualità di Bentivegna, generalmente conosciute ed amate, la causa pella quale si costituì martire, e sopra tutto la violazione di legge comandata dal governo produssero questo effetto.
Il Consiglio di guerra, e la gran Corte criminale sono stati dichiarati da questo pubblico come strumenti vilissimi della tirannia governativa: il Procuratore generale della suprema Corte di giustizia sig. Napolitano, e il Direttore del dipartimento di grazia e giustizia come timidi e deboli, perchè non han saputo sorvegliare e mantenere l’esecuzione della legge: il Luogotenente generale, per l’innanti riguardato come onest’uomo ma stupido ed imbecille, oggi è conosciuto come un uomo proclive al sangue, come una statua, come un tronco all’ombra del quale e a cui nome il Direttore del Dipartimento di polizia signor Maniscalco ha diretto, ed operato tutti gli abusi di potere, tutti gli atti arbitrari, tutte le violazioni di legge che risultano da questa storia.
E questa tragedia ha anch’essa il suo episodio che non è meno importante dell’azione principale. Fra gli arrestati per questa causa vi è il sac. Allotta, il quale invitò l’avvocato Bellia a difenderlo. Questi, essendosi presentato al direttore di polizia per parlargli in favore del suo cliente, Maniscalco gli disse
«Questo è un altro galantuomo come Bentivegna.»
Giovanni Raffaele: Le torture in Sicilia al tempo dei Borboni. Un periodo di cronaca contemporanea.
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