Sebbene si sapesse dal Comitato che Garibaldi doveva venire quel giorno, la Piazza della Fieravecchia all’entrare dei volontari era deserta: le case e le porte chiuse. Forse il Comitato non se l’aspettava per quell’ora. Il popolo non sapeva nulla. Ma quasi subito da tutte le case si rovesciò una folla di uomini e donne, vecchi e fanciulli; la piazza si riempì. Accorse il Comitato: il Dittatore diede a stampare il suo proclama, che subito fu divulgato, col quale annunziava che era entrato in Palermo. Indi compose il Comitato provvisorio suggerito da Crispi; per la guerra presidente il conte Federico, segretario G. B. Morana; per l’annona presidente il barone Turrisi, segretario il padre Francesco Di Stefano; per l’interno presidente il Dr. Gaetano La Loggia, segretari Emanuele Sartorio e Giovanni Muratori; per le finanze Paolo Amari presidente, segretario il padre Ugdulena; per le barricate l’architetto Michele Mangano presidente, Carmelo Trasselli segretario. Così, provveduto ai bisogni più urgenti, Garibaldi seguito dai suoi aiutanti, dai cittadini e dai volontari, lasciò la piazza Fieravecchia e venne in piazza Bologni. Scavalcato nel portone del palazzo Villafranca, tolse la sella alla sua cavalla Marsala; ma una pistola cadde dalla fondina ed esplose. Si credette a un attentato, e fu grande sgomento; ma il Generale era illeso, e sorridendo posò a terra la sella, si sdraio, vi appoggiò il capo e si addormentò tranquillamente.
Dopo qualche ora Garibaldi, consigliato da Crispi e dai cittadini portò il quartiere generale nel Palazzo municipale, ove si era insediato il Comitato provvisorio. Ma egli sedette ai piedi della fontana. Sirtori aveva frattando spinto volontari e squadre nei punti più strategici. Bisognava rompere le comunicazioni fra il Comando Generale Borbonico e le truppe: impedire raggiramenti, lasciar libero il passo alle squadre che sopraggiungevano: obbligare le truppe nemiche a concentrarsi nella piazza del Palazzo reale e chiuderlo in un cerchio di fuoco.
Sorgevano intanto ovunque barricate. Da ogni casa povera o ricca si offrivano mobili, carri, carrozze, botti, materassi, tutto ciò che poteva sbarrare; altre più solide se ne costruivano con le lastre delle strade, muraglie, che si fornivano di sacchi e si tramutavano in fortini, a breve distanza l’una dall’altra.
Corrao intanto, lasciati i monti, la notte, attraverso le campagne, riusciva, alle spalle della caserma di S. Francesco di Paola, ad attaccare i regi. Più fiera la lotta al bastione di Porta Montalto, che per quel giorno non si potè espugnare.
Dopo qualche ora Garibaldi, consigliato da Crispi e dai cittadini portò il quartiere generale nel Palazzo municipale, ove si era insediato il Comitato provvisorio. Ma egli sedette ai piedi della fontana. Sirtori aveva frattando spinto volontari e squadre nei punti più strategici. Bisognava rompere le comunicazioni fra il Comando Generale Borbonico e le truppe: impedire raggiramenti, lasciar libero il passo alle squadre che sopraggiungevano: obbligare le truppe nemiche a concentrarsi nella piazza del Palazzo reale e chiuderlo in un cerchio di fuoco.
Sorgevano intanto ovunque barricate. Da ogni casa povera o ricca si offrivano mobili, carri, carrozze, botti, materassi, tutto ciò che poteva sbarrare; altre più solide se ne costruivano con le lastre delle strade, muraglie, che si fornivano di sacchi e si tramutavano in fortini, a breve distanza l’una dall’altra.
Corrao intanto, lasciati i monti, la notte, attraverso le campagne, riusciva, alle spalle della caserma di S. Francesco di Paola, ad attaccare i regi. Più fiera la lotta al bastione di Porta Montalto, che per quel giorno non si potè espugnare.
Intanto il bombardamento infieriva dal Castello e dalle navi, rovinando case e seminando morte. Grande era il numero dei feriti; non bastando gli ospedali, se ne improvvisarono nei conventi degli Scalzi e di Casa Professa, nella chiesa di Sant’Anna e di S. Domenico e uno già preparato, dalla vigilia, dal principe di S. Lorenzo nel suo palazzo. Altri feriti accolse il Ragusa nel suo Albergo della Trinacria. Tutte le famiglie offrivano letti, lenzuola, bende; le suore mandavano sfilacce, conserve e rosoli; dalle donne della nobiltà alle donne del popolo, chi poteva, serviva i feriti; i migliori chirurghi offrirono gratuitamente l’opera loro; frati e preti si moltiplicavano. Gara di carità, e di patriottismo, alla quale corrispondevano gesti eroici. Fra’ Pantaleo e il padre Tamburello si cacciavano col Crocifisso in mano, dove più fervevano i combattimenti: l’inglese Eber, testimonio oculare, notava le ingegnose iniziative dei «picciotti» nello snidare i regi; i popolani scherzavano al rombare delle bombe; si gittavan per terra, e allo scoppio gridavano: Viva Santa Rosolia!
Più audaci i giovinetti, quando qualcuna cadeva con la miccia ancora accesa, le si gettavano sopra, e le strappavano la miccia. L’Acerbi, l’Uziel, il Rechiedei dei Mille sfidavano temerariamente la mitraglia; una cannonata uccise in un colpo l’Uziel e il Rechiedei poco innanzi del Monastero di S. Caterina.
Per tre giorni Palermo si tramutò in una bolgia infernale, le truppe regie erano state respinte verso il Palazzo reale: grande il numero dei feriti, scarsi i mezzi per curarli....
Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo.
Pagine 511. Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs, La Feltrinelli.it e tutti gli store online.
Disponibile in libreria presso La Feltrinelli libri e musica e nelle migliori librerie.
Nessun commento:
Posta un commento