Rosolino Pilo era instancabile; notte e giorno a correr per tutto. L’ultimo a buttarsi sulla nuda terra per riposarsi appena due o tre ore e il primo a levarsi; spesso la pioggia lo flagellava; e i suoi, che gli volevano un bene pazzo e quel Soldano ch’era come la sua ombra, lo costringevan a ricoverarsi un poco nella casetta del Monaco, o in qualche grotta, dove, spesso, Centolingue e Turi gli portavano i viveri che andavano a prendere alle falde del monte nella casa di Giovanni Ferranti, tutta ricinta e celata da spessi carrubi.
Trovavano Rosolino Pilo sempre intento a scriver lettere, a dare ordini, a conversar con gli altri capi, e, sempre, con quel suo dolce e buon sorriso nel volto roseo incorniciato dalla lunga capigliatura d’oro e dalla barba dove pareva s’avvicendassero riflessi d’oro e di fuoco. Li accoglieva sempre lieto e, prima di prender un boccone, domandava se tutti si fossero rifocillati. Una volta sola lo videro vibrar tutto d’ira. Erano venuti a riferirgli che, alcuni giovani delle squadre, arsi dalla sete, si erano dati a ingollar vino su vino, giovandosi di alcuni barili pieni, allora allora arrivati. Ed egli si scagliò su di essi, a sgridarli e a menar piattonate a dritta e a manca. Ma quelli, anzichè adontarsi gli domandaron perdono; e qualcuno, sorridendo, gli baciò la bella mano fine e rosea che li colpiva. Sicchè anch’egli poi aveva finito per sorridere e la sua voce era tornata dolce e le parole buone. Allora s’infiammò tutto e parlò della patria, dell’Italia grande, come era stata al tempo dei Cesari. E parlò della sua vita di passione durata tanti anni. E disse, con lagrime di gioia, che quello sbarco in Sicilia, ch’egli aveva preparato cinque anni avanti, in Genova, con lo stesso Garibaldi, ora, finalmente era avvenuto. Garibaldi era nell’isola e si avvicinava a loro a grandi marce. E non aspettavano che lui per calare su Palermo, Palermo la bianca, la bella, la grande! – E Rosolino Pilo, bello, infiammato, con quel nimbo d’oro lucente sul capo, salì su una roccia e additò la città tutta bianca, chiusa dal verde della pianura e dal turchino del mare, che pareva aspettasse.... Poi raccontò che, anche due anni avanti, con Giovanni Corrao – il leone, colui ch’era ricco di tutte le virtù del siciliano vero: fierezza, coraggio, risolutezza (le stesse virtù di quel Francesco Riso il quale aveva dato il primo squillo e il primo sangue) – avevano ritentato la spedizione che ora alfine si compiva.
Ah, che fiammate di entusiasmo accesero nei cuori dei giovani le parole di Pilo!
Ma ancora più bello, più grande, più vibrante fu poi il discorso che Rosolino Pilo fece il giorno 18, nella piazza di Carini, mentre il sole faceva lampeggiare i colori della bandiera italiana risvettante sul campanile della città libera e metteva baleni d’oro e di fiamma sui capelli e sulla barba del condottiero.
Tutto il popolo di Carini: vecchi, uomini armati, donne, fanciulli stavano a capo scoperto, muti come quando, rientrando la processione, il prete leva alto sulla folla il sacramento per benedirla.
- Udite, fratelli, le parole di Garibaldi. I suoi Mille, fiancheggiati dalle squadre dei picciotti, condotte dal Coppola e dai Sant’Anna hanno fatto morder la polvere a migliaia di soldati mercenari venduti al Borbone.
Il sangue dei garibaldini, venuti d’ogni contrada d’Italia s’è già confuso con quello dei nostri picciotti.... I mercenari del Re tiranno fuggono inseguiti alle reni dai nostri picciotti, che sbucano d’ogni villaggio e s’apprestano a unirsi a Garibaldi e gli corrono incontro.... Udite, fratelli, le parole di Garibaldi:
“Ieri abbiamo combattuto e vinto: i nemici fuggono verso Palermo. Le popolazioni sono animatissime e si riuniscono a me in folla. Domani marcerò per Alcamo. Dite ai Siciliani che è ora di finirla e che la finiremo presto: qualunque arma è buona per un valoroso, fucile, falce, magari un chiodo alla punta del bastone.
“Riunitevi a me ed ostilizzate il nemico in codesti dintorni, se più vi conviene!
“Fate accendere dei fuochi in tutte le alture che contornano il nemico, tirar quante fucilate si può di notte alle sentinelle e posti avanzati, intercettare comunicazioni, incomodarlo infine in ogni modo.
“Spero ci rivedremo presto!”.
“Spero ci rivedremo presto!”.
Un triplice coro di grida: “Viva Garibaldi! Viva l’Italia!” salutò le parole del Duce dei Mille e il popolo fremente si strinse attorno a Rosolino Pilo, biondo e bello così come soltanto poteva esserlo Garibaldi stesso. Centolingue sotto sotto, confuso tra la folla, era riuscito a baciargli le mani.
Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1860 che la rivoluzione siciliana vista dagli adolescenti. Con le illustrazioni dell'epoca di Diego della Valle.
Pagine 523 - Prezzo di copertina € 22,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
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