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martedì 16 maggio 2023

Luigi Natoli: La battaglia di Catalafimi. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

 
Saputo Garibaldi che i Napoletani si erano fortificati sopra una collina, detta delle Piante dei Romano (non Pianto come si è scritto) ordinò il suo corpo in battaglia. I volontari alla destra della strada carreggiabile, mirando alla sinistra dei regi, per minacciar loro la strada di Palermo; alla sinistra le squadre del Coppola e del Sant’Anna; le squadriglie senz’arme o armate soltanto di lance, avviò a coronare i colli circostanti, per spaventare il nemico; l’artiglieria rimase sulla strada, nel centro. Raggiunta la sommità delle colline di Vita scoperse il nemico; che stando sopra le colline di fronte dinanzi Calatafimi, spinse tosto una catena di cacciatori a occupare la prima collina, aprendo il fuoco. Garibaldi aveva dato ordini di non rispondere sapendo i suoi armati di vecchi fucili pressoché inservibili, e non potendo contare che sugli assalti alla baionetta. Soltanto i carabinieri genovesi, formidabili tiratori, avevano buone carabine; onde Garibaldi li mandò all’avanguardia. Ben presto cominciarono le fucilate; alle quali i borbonici aggiunsero i colpi dei loro cannoni ben piazzati. Ma l’ottava compagnia insofferente, senza aspettar ordine, si lanciò contro l’avanguardia borbonica, respingendola oltre la prima collina fin presso al grosso delle truppe, e allora fu necessario suonar la carica, e spingere tutte le compagnie all’assalto. Pugna terribile e micidiale. Le colline sopra le quali stavano i borbonici eran formate di grandi scaglioni, che usano i contadini per impedire alla terra di cedere alla furia delle pioggie. Bisognava conquistar questi scaglioni, un dopo l’altro, sotto la grandine de le palle e della mitraglia. Fu un fuoco d’inferno che seminò la morte. Garibaldi, con la spada nel fodero sopra l’omero, a piedi, avanzavasi lento, silenzioso fra la strage dei suoi. Bixio corse a fargli riparo, e pregarlo di ritirarsi. “Qui si fa l’Italia” – rispose, – “o si muore!”. Giuseppe Campo porta-bandiera, mandò a chiedere in che punto dovesse portar la bandiera; Garibaldi ordinò: “Sul punto più alto”. Era una ricca e bella bandiera donata nel 1859 a Garibaldi dagli Italiani di Valparaiso, e l’oro e i tre colori sfolgorarono al sole in faccia al nemico: ma Elia, tolta la bandiera dalle mani del Campo, la portò più oltre: Menotti Garibaldi, trasportato da giovanile ardore, alla sua volta, presala all’Elia, si slanciò innanzi. Un gruppo di cacciatori l’investe: egli, ferito alla mano, lascia cadere la bandiera, che è tosto ripresa da Schiaffino, genovese: Damiani, una delle guide a cavallo, si gitta nella mischia: giunge ad afferrare un nastro, nel momento che Schiaffino cade morto, e che il soldato Luigi Lateano dell’ottavo cacciatori s’impadronisce del vessillo. Questi n’ebbe di poi la promozione a sergente, la croce di S. Giorgio e cento scudi.
Ma in questa un pugno di volontari si lancia contro i cannoni nemici; il Meneghetti e il Cariolati giungono pei primi a impadronirsi di uno di essi: l’Orsini, che aveva potuto sullo stradale piazzare la sua scarsa artiglieria, entra in buon punto in azione, mitragliando i napolitani: le squadriglie, che, non abituate a ordinato combattimento, sulle prime s’eran fermate incerte, si gittano anch’esse nel folto della mischia: molti più animosi, raggiungono le prime file dei garibaldini, dividendo con loro gli onori della pugna, della morte gloriosa, della vittoria.
Quelle balze e le colline erano state conquistate a una a una: i morti stendevano le loro ombre su la terra; i feriti gemevano. Missori, comandante delle guide, con l’occhio insanguinato, non sentiva il dolore: Bandi ferito in più parti, combatteva ancora. Elia, visto un cacciatore prender di mira Garibaldi, gli fa scudo, e riceve una palla in bocca; ma salva il Generale. Sartori di Sacile muore, Sacchi pavese è sfracellato d’una cannonata: muore De Amici. Fra’Giovanni Pantaleo pareva avesse cento anime nelle parole di fuoco, col Cristo levato in alto. Due frati francescani, combattevano per la patria nelle prime file; uno di essi, ferito alla coscia, si tolse la palla dalle carni, e tornò a combattere; un altro a chi gli chiedeva l’assoluzione, rispose: – “Son venuto per combattere, non per benedire!” – e morì, colpito in fronte.
Stanchi, assetati, i volontari, ai quali non restava da guadagnare che l’ultimo ciglione della terza collina, dopo un istante di riposo, si lanciarono all’assalto. Bixio, Cairoli, Carini, Nullo, Stocco, tutti gli ufficiali combattevano come soldati; i regi, finite le munizioni, traevan coi sassi; uno colpì nel petto lo stesso Garibaldi e lo fe’cadere; fu creduto ferito, ma si rilevò subito illeso. Fulminati dalle nostre artiglierie, ricacciati dalle baionette, spaventati dalle grida tremende delle squadriglie disarmate che coronavano i colli, i cacciatori napoletani diedero volta; lo sgomento entrò nelle loro file; lo squadrone di cavalleria fuggì dietro a loro; disordinati, lasciando armi, bagagli e qualche prigioniero, rientrarono a Calatafimi, diffondendo lo spavento negli altri e più nel generale Landi, che non avea saputo né condurre al fuoco i battaglioni che si erano battuti, né rinforzarli con truppe fresche.
I nostri dormiron sul campo, i regi in Calatafimi: il combattimento cominciato sul mezzodì, era durato più di due ore; le perdite rilevanti. I regi ebbero circa 30 morti e un centinaio di feriti; dei Mille vi furono 17 morti sul campo, 120 feriti, fra’quali Majocchi, Palizzolo, Sprovieri, Perducca, Bandi, Nullo, Martignoni, Menotti, Manin, Elia, Savi ed altri. La squadra di Monte S. Giuliano ebbe 12 morti e 35 feriti; e della squadra di Alcamo fu, tra gli altri, ferito Stefano Sant’Anna, uno dei capi; prova evidente che anche le squadre presero viva parte alla pugna: e chi altro dice, mente.
La notte fu umida e fredda, e passò nel sospetto che i regi movessero in maggior numero ad assalire il campo garibaldino; ma il Landi, impaurito dal valore dei volontari e dal numero degli insorti; sentendosi, in un terreno fremente; pavido di vedersi tagliato fuori da Palermo, con le truppe affamate, senza munizioni, abbattute dall’insuccesso; dopo aver chiesto con una lettera intercettata dai nostri “pronto aiuto” senza aspettarlo ordinò la ritirata sopra Partinico: e Garibaldi, che si aspettava un nuovo combattimento, ebbe invece dai cittadini stessi di Calatafimi notizia che i regi avevano abbandonato il paese. E allora levò il campo, e la mattina stessa del 16 entrò in Calatafimi , fra le acclamazioni del popolo festante.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende: 
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
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Disponibile su tutti gli store online e in libreria. 


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