Pispisedda s’addossò al muro per sentire il contatto d’un corpo qualsiasi, chè gli sembrava d’esser sospeso sull’orlo d’un abisso. Il rimestìo e il vocìo si fecero più vivi. Ognuno afferrava il suo fucile e lo preparava, che già era l’ora.
E nuovamente Pispisedda udì la voce di don Ciccio Riso: – Nicola di Lorenzo e Domenico Cucinotta con una cesta di bombe vadano sul campanile. Gaspare e Giuseppe Mortillaro, Giuseppe Cordone e Francesco Virzì vengano con me alla porta. Gli altri s’appostino lungo i corridoi, corrano alle finestre, sul tetto, dove può occorrere!
Un moto incomposto seguì le parole di Francesco Riso.
Pispisedda scorgeva gli uomini che uscivano a uno a uno, curvi, col fucile nella destra. Quando uscì l’ultimo, Pispisedda rifece rapidamente la strada che aveva fatta e giunse, con quelli che salivano verso il campanile, all’uscio di fra Salvatore, il portinaio. La luce smorta del giorno nascente tentava debolmente le imposte.
Pispisedda si tenne indietro; quelli bussarono.
- Chi è? – domanda una voce tremula di dentro. Ma i due non rispondono. La porticina s’apre e quelli irrompono dentro.
- Presto; conduceteci al campanile!
Fra Salvatore arretrò a vedere i due armati, poi prese la lanterna e si mise in cammino, avanti. Pispisedda li seguiva alla lontana. Ora salivano la scala. La luce della lanterna, portata con mano tremante dal monaco, balzando e squarciando l’oscurità, mostrava quando la volta, quando le pareti, quando gli scalini e proiettava addietro le tre ombre fuggenti, che lambivano Pispisedda. Il silenzio non era rotto che dallo zoccolìo dei tre. A un tratto Pispisedda, ch’era ancora in fondo alla scala, udì la voce di don Ciccio Riso che veniva dal di fuori:
- Viva l’Italia!
E un’altra voce gridare:
- Viva lu Re!
E tosto due colpi di fucile echeggiarono alti, seguìti da un rotolar incessante di altri colpi. Allora i due urlarono a fra Salvatore: – Avanti! – e spingendolo salirono rapidi.
Pispisedda ebbe un momento d’esitazione: quindi tornò risolutamente indietro per accorrere alla porta dove, già, combatteva don Ciccio Riso. Continuavano gli urli fra lo schioppettìo di cui già tremavano i muri del convento. E Pispisedda giù a precipizio. Ma ecco, incontro a lui uno, due, tre uomini: uno porta una bandiera tricolore, tutti e tre hanno i fucili, salgono gli scalini a balzi, eccoli vicinissimi. Pispisedda li scansa. Quello che porta la bandiera è don Ciccio Riso. Pispisedda ritorna a salire di corsa dietro a quelli, ansimando. In cima alla scala i monaci esterrefatti levano le braccia, fanno largo. Quelli passano avanti di corsa. Pispisedda dietro. Ma fra Giovannangelo lo agguanta esterrefatto.
- Dove vai ? Che succede ? Tu che sai? Parla!
Ma Pispisedda vuol correre al campanile, e si divincola; e il monaco gli grida:
- Sta’ queto! Parla! Tu che sai?
E altri monaci lo accerchiano per aver notizie.
Ma piove di lassù lo scampanare e le grida “Viva l’Italia! Viva l’Italia! All’armi! All’armi!” e colpi di fucili rintronano nell’alto e nel basso, e gli echi s’incrociano rotolando lungo le scale. E dalle scale del campanile qualcuno scende urlando: “Coraggio!” E i monaci s’intanano nelle celle, segnandosi e gemendo preghiere. E come uno grida, tutti gridano; e come uno tace, tutti tacciono.
Pispisedda vuol ridiscendere avendo scorto don Ciccio Riso che balza verso la porta col suo fucile; ma fra Giovannangelo avvinghia il ragazzo e se lo tira in una cella gridandogli sempre:
- Tu che sai, Pispisedda? Come è stato? Donde sono entrati?
Ma Pispisedda s’è buttato dietro i vetri e guarda con occhi spalancati. Sul campanile sventola la bandiera tricolore che don Ciccio Riso avea in mano. Dunque è accorso a piantarla lassù e se n’è tornato a combattere. Ecco il crepitìo delle fucilate è più spesso, rotto da grida, da urli e da gemiti. L’attacco deve infuriare da via Vetriera, perchè di là salgono alti nugoli di fumo bianco.
E infuria anche sul campanile donde scende la voce della campana grande; e donde la bandiera sembra che squilli a gloria con i suoi tre colori fiammanti.
Pispisedda adunghia la cimasa della finestra nel guardare; sì, piccoli nugoli di calcinaccio si staccano dal campanile spesseggianti, e a tratti, delle braccia si sporgono e lanciano bombe...
Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1860, al tempo della Rivoluzione siciliana vista da un gruppo di adolescenti.
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice Bemporad nel 1919 ed è arricchita dai disegni dell'epoca di Diego della Valle.
Pagine 511- Prezzo di copertina € 22,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia) Potete contattarci alla mail ibuonicugini@libero.it, al whatsapp 3894697296 o al cell. 3457416697.
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