Attraversata la Cala, Pispisedda gettò uno sguardo sul Castello a mare, fosco, che pareva urlasse minacce dalle innumeri bocche delle feritoie; ma attorno alla statua del Santo vide alcuni monelli, i quali faceano la ronda con alte, gioconde grida come a sfidar il colosso immane. Giunsero al Borgo. Il mare, a destra, battuto in pieno dal sole, avea vividi riflessi madreperlacei; a sinistra, dinanzi le piccole case dei pescatori, ruzzavan bimbi che parean fusi nel bronzo. In fondo alla piazza, il mercato risonava delle grida alte dei pescivendoli, che vociavano il pesce. Pareva a Pispisedda che, in quel luogo, la gente vivesse più libera che nella città, forse perchè stava sempre al cospetto del libero mare. Invece, più in là, l’immane mole della Vicarìa gettava tutt’intorno un vivo senso d’oppressione, tanto più che Pispisedda ebbe la visione di due occhi foschi dietro un finestrino; forse gli occhi folli di rabbia del povero Rocco.
Finalmente giunsero ai Colli. Giuseppe Bruno stava ad aspettarli.
Esaminò i barili; ma erano tuttavia bagnati. Non potevan recar le cartucce chè l’umidità le avrebbe guaste. E come si riparava? Come? Non c’era che da far asciugar presto i barili. Ma per far quello bisognò correr a Palermo e chiamar don Giovambattista Piazza il bottaio, il quale scoperchiò i barili, che, messi al sole, s’asciugarono ben presto. Allora otto furono ripieni di cartucce e quattro di vino. E si riprese la via del ritorno. Don Giuseppe Bruno e il fratello Domenico s’accompagnarono ai carrettieri. Pispisedda, ch’era rimasto lontano quando avevano riempito i barili e aveva fatto le viste di nulla accorgersi, ora veniva riguardando con aria smarrita quei fratelli Bruno di cui aveva sentito proclamar l’alto coraggio mostrato nella rivoluzione di dodici anni avanti. E bisognava, con quel carico, passar davanti all’uffizio daziario dove le guardie avrebbero saggiato l’interno dei barili. E se si fossero accorti che contenevano cartucce invece di vino? Non li avrebbero tratti immantinente alla fucilazione? Ma così saldo appariva l’animo di quelli, dalla imperturbata serenità dei visi, che Pispisedda non provò un momento di esitazione e accompagnò il cantilenare malinconioso dei carrettieri.
E giunsero all’ufficio del dazio che era accanto alla casina Airoldi. Quando le guardie s’avvicinarono al carro, Pispisedda sentì schiantarsi il cuore e serrò gli occhi. Visse un attimo di ansia vivissima, tese gli orecchi, parendogli d’udire, da un momento all’altro, le grida minacciose delle guardie. Ma non udì che la voce calma del carrettiere “Dodici barili: tutto vino!” e poi: “Baciamo le manu, brigadiere” e le zampate del cavallo e il cigolio delle ruote.... Salvi!
In piazza Ucciardone scontrarono Filippo Mortillaro, Giuseppe Bivona e Giuseppe Virzì.
- È arrivato bene il vino?
- Meglio non poteva arrivare.
Li aveva mandati don Ciccio Riso, il quale viveva in ansia. Giunsero in via Vetriera quattro ore dopo il tocco. Come giunsero, Pispisedda scorse don Ciccio Riso che accorreva incontro a loro con un lampo di viva gioia nell’occhio nero: – Bene! – mormorò; e non disse altro e aiutò febbrilmente a scaricar nella sua casa i barili.
Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1860, al tempo della Rivoluzione siciliana vista da un gruppo di adolescenti.
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice Bemporad nel 1919 ed è arricchita dai disegni dell'epoca di Diego della Valle.
Pagine 511- Prezzo di copertina € 22,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia) Potete contattarci alla mail ibuonicugini@libero.it, al whatsapp 3894697296 o al cell. 3457416697.
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria.
Nessun commento:
Posta un commento