Il prete Domenico Mastruzzi compose un fervido proclama, che venne in potere della polizia; onde egli fu preso, e martoriato dal tenente dei gendarmi De Simone, maestro di crudeltà; e mandato a giudizio con altri, ne avevano condanna ai ferri. Ciò non impedì che si costituisse un comitato centrale esecutivo, in relazione col comitato di Londra di cui era anima il Mazzini, e fedeli interpreti Francesco Crispi e Rosolino Pilo, infaticabili sempre; e coi comitati degli esuli di Genova, Marsiglia, Parigi e Malta: e già concertata ogni cosa per insorgere, si provvedevano i mezzi finanziari, quando per la troppa fiducia di uno dei cospiratori e di un prete, la polizia ebbe nelle mani le fila della vasta trama: il prete, un tal Papanno, ottuagenario, ne morì di cordoglio nelle prigioni, dove molti altri marcirono. Ma per venti cospiratori arrestati, altri cinquanta sorgevano a prenderne il posto; ché i processi mostruosi imbastiti su semplici indizi, e le prigionie crudeli e le torture non sgomentavano e non intiepidivano i cuori.
Le carte degli archivii contengono i nomi di questi generosi, molti dei quali noi conoscemmo vecchi, semplici e modesti, vivere dimenticati nell'ombra, senza vanterie e senza lamente.
(1853) Si costituivano qua e là comitati, e uno più numeroso in Palermo, con antichi e nuovi elementi: del quale faceva parte G. Vergara di Craco, Luigi La Porta, Salvatore Spinuzza, Francesco Bentivegna, Vittoriano Lentini, Enrico Amato, Pietro Lo Squiglio, Mario Emanuele di Villabianca; e molti altri; v’entravan pure i fratelli Sant’Anna, i fratelli Botta e di Termini il dottor Arrigo e Giuseppe Oddo, da Girgenti i fratelli Grammitto. Mazzini incorava con le sue lettere di fuoco; e l’opera di propaganda e di preparazione era andata così alacremente innanzi, che s’aspettava per insorgere l’invio di quattrocento uomini, dal Mazzini promessi per guidare la rivoluzione. L’annunzio del prossimo viaggio del re Ferdinando arrestò il lavoro dei liberali, non le repressioni della polizia; anzi, avendo essi, di notte, listato di sangue il servile proclama del decurionato, che annunziava la venuta del re, il De Simone, il Pontillo e altri uguali strumenti del Maniscalco furono sguinzagliati in caccia di quanti erano sospetti amatori di libertà o secreti agitatori. E le carceri si empirono di nuovi arrestati, che tuttavia sfidando i pericoli della rigida vigilanza, corrispondevano coi compagni rimasti liberi.
(1856) Il comitato s’era ricostituito per impulso di Salvatore Cappello, e ne facevano parte Onofrio Di Benedetto, Tomaso Lo Cascio, Salvatore Buccheri e Giacomo Lo Forte. Si era posto in relazione coi fratelli Agresta di Messina, i fratelli Caudullo e Tomaso Amato di Catania, i fratelli La Russa e Mario Palizzolo di Trapani, agitatori e anima anch’essi dei comitati di quelle città: corrispondeva in Marsiglia con Rosario Bagnasco, in Malta con Giorgio Tamaio e Fabrizi, in Genova coi fratelli Orlando, che lo mettevano in relazione con Crispi, Rosolino Pilo e Mazzini.
(1859) Il comitato direttivo di Palermo si era in quei giorni ricostituito con l’architetto Tomaso Di Chiara, col dottore Onofrio Di Benedetto, coi fratelli Salvatore e Raffaele De Benedetto, Salvatore Cappello, conte Antonino Federico e Salvatore Buccheri: ad esso facevan indi capo per legame con questo o con quello dei membri, Giovanni Faija (non Emanuele o Antonino come altri scrisse), Domenico Corteggiani, Andrea Rammacca, Giovan Battista Marinuzzi, Rosario Ondes-Reggio, Giuseppe Campo, il barone Pisani, Martino Beltrami-Scalia; e, allargandosi ancor più le fila, Francesco Perrone-Paladini, Enrico Albanese, Giuseppe Bruno-Giordano, Andrea d’Urso, Antonino Colina, molti altri, quasi tutti provati nella rivoluzione del 1848.
Altro convegno di liberali, senza formar per questo un vero comitato, s’adunava in casa del dottor Gaetano La Loggia, e vi convenivano, oltre il Pisani, Ignazio Federico, Antonino Lomonaco-Ciaccio, il barone Camarata-Scovazzo, i quali ben presto, per mezzo dei comuni amici, entrarono e si fusero con quel comitato.
(1860) I vuoti prodotti dagli arresti infatti erano stati ricolmi; nuovi comitati si costituivano, con vecchi e nuovi elementi, e con più fervore; autonomi dapprima, e quasi ignari l’un dall’altro; ogni quartiere ne aveva uno; poi per mezzo di cospiratori che entravano nell’uno e nell’altro, si mettevano in rapporti. I fratelli De Benedetto, Antonino Lomonaco-Ciaccio, i due Pisani padre e figlio, il barone Camarata-Scovazzo, Enrico Albanese, il Beltrami-Scalia, il Marinuzzi, il Rammacca, il d’Urso, Ignazio Federico ne formavano uno; al quale poco dopo s’univano Gaetano La Loggia, Francesco Perrone-Paladini, Mariano Indelicato, il Bruno-Giordano, Silvestro Federico, Salvatore Perricone. Contemporaneamente il principe Pignatelli, il barone Riso, il principino di Niscemi, il marchese di Rudinì, il padre Ottavio Lanza di maggiore autorità fra tutti, senza comporre un comitato vero e proprio, cospiravano anch’essi, tenendosi in rapporto con la parte moderata e aristocratica dell’emigrazione; ma entrati in relazione col comitato borghese, per mezzo del Pisani e del Brancaccio, non gli furono avari di aiuti e di incoraggiamenti. E il comitato si pose alacremente all'opera, spronato dalle lettere del Crispi, di Rosolino Pilo, degli Orlando, dell'Amari e degli altri esuli più ardenti; riordinava le fila della cospirazione coi comitati di Messina e Catania e del continente; Carmelo Agnese corriere postale e il Davì capitano marittimo portavano la corrispondenza; altra ne giungeva per mezzo del consolato inglese e del consolato francese, il cui cancelliere Luigi Naselli, la mandava ai Campo e ai Peranni affidandola a Salvatore Tomasino, allora giovane e audace, ora vecchio e povero, abbandonato anche dall'arte sua di comico da cui traeva il pane.
(Maggio 1860): Tra queste agitazioni giungeva in Palermo la notizia dell’avvenuto sbarco di Garibaldi a Marsala; la quale empiva gli animi di speranze e di giubilo. Il comitato ne dava subito comunicazione al popolo con un piccolo avviso stampato alla macchia: “Garibaldi è con noi, e il suo nome suona vittoria. I nostri sforzi sono stati soddisfatti, compiuti i voti e le speranze. Non sia lordato di sangue il giorno del trionfo, e se nel periglio fummo intrepidi, siamo or generosi e magnanimi...”.
Generosi verso i nemici che erano anch’essi Italiani.
Al quale proclama altro ne faceva seguire il giorno dopo, nel quale diceva al popolo “non esser più tempo di pacifiche dimostrazioni” dover ciascuno prepararsi alla lotta finale; ai soldati volgeva parole amichevoli, perché disertata la causa del tiranno e respinta ogni solidarietà col gendarme Maniscalco, si affratellassero col popolo. Da quel giorno imprendeva a stampare un “bollettino officiale” della rivoluzione, in contrapposto ai bandi e ai bollettini del governo.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo nella parte di storia che va dal 1812 alla rivoluzione del 1820.
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria.
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