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martedì 2 giugno 2020

Luigi Natoli: L'inizio del governo regio e la persecuzione dei garibaldini. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860.

Quel che fecero i lafariniani, liberi ormai e padroni della posizione è incredibile. Con tutti i mezzi, sorprendendo la buona fede del ceto medio amorfo e desideroso di queto vivere e di maggior agiatezza, fecero vedere che sarebbe venuta l’età dell’oro, e i marenghi sarebbero corsi per le strade; non tasse; non vessazioni fiscali e poliziesche; la Sicilia rigenerata sotto un re prode che aveva meritato il soprannome di Galantuomo. Quanto alla massa del popolo, ignorante, non ancora educata alle nuove concezioni politiche, che si era battuta contro il Borbone per l’odio accumulato da quarant’anni, per la miseria, per la tradizione dell’indipendenza dell’isola dalla soggezione di Napoli, per le promesse dei liberali, pronta agli entusiasmi, speranzosa nel nuovo re, non costava gran fatica trascinarla a votare. 
Coloro che avrebbero voluto, e l’avevano chiesto, condizionare l’annessione; che volevano assicurato, se unitari, il proseguimento del programma nazionale; se autonomisti, oltre a questo, il riconoscimento della autonomia amministrativa; dinanzi alla necessità di affrettare la formazione del regno, per evitare la minacciata rovina della patria e opporre all’Austria e alla Francia – i due pericoli – una nazione forte di ventidue milioni, ebbero il patriottismo di far tacere, per allora, ogni sentimento di parte; e non osteggiarono l’opera degli agenti del Cavour, che manipolavano la prossima votazione.
Tutti i muri delle città erano tappezzati di cartelli che esortavano a votare pel si; nelle botteghe, nei ritrovi pubblici, altri cartelli portavano in grosse lettere si; schede col si si distribuivano alle persone; si portavano attaccate ai vestiti, sui cappelli, e perfino (oh inconsapevole ironia!) nelle testiere degli asini. Ma quel si per la massa del popolo significava il principio di un’era di prosperità economica e sociale; nessuno immaginava che nascondesse una servitù.
Il 21 ottobre avvenne la votazione; il 4 novembre, fatti gli scrutinii e compilato il verbale, il presidente della Corte Suprema Pasquale Calvi, affacciato a un balcone del palazzo dei Tribunali, proclamava alla folla che gremiva la piazza Marina, il risultato della votazione: 432.953 si, 667 no. La folla applaudì entusiasticamente.
Dopo la proclamazione il Calvi coi suoi colleghi portò il verbale del plebiscito al Prodittatore, che la stessa sera partì per Napoli. Cessava il governo della rivoluzione, cominciava quello del governo regio. Il marchese Montezemolo era eletto Commissario; e il 5 novembre il La Farina ne dava la notizia al suo amico e conterraneo Carlo Gemelli: “Siamo coi bauli pronti: Montezemolo è il Commissario Regio. Cordova verrà come direttore delle finanze ecc.”. A Pietro Gramignani domandava gli elenchi degli impiegati “del ministero, governatori, intendenti, questori, officiali di pubblica sicurezza” da sostituire a quelli nominati dalla Dittatura, qualificati come “gente senza coscienza e senza pudore”.
Oltre al Cordova venivano a far parte del Consiglio di luogotenenza il La Farina, Matteo Reali, Casimiro Pisani e Giacinto Tholosano. Ma l’opera reazionaria, vendicativa, parricida di costoro, cominciò prima del loro insediamento ufficiale. Quando il primo dicembre il re, invitato e sollecitato, venne a Palermo, accolto con delirio dalla popolazione, i muri della città erano tappezzati di cartelli con queste scritte: Viva Vittorio Emanuele! – Viva Cavour! – Viva Montezemolo, (che doveva venire ancora, che non si sapeva chi fosse e che non aveva fatto nulla per la Sicilia) Viva Cordova e La Farina! Abbasso i cessati Segretari di Stato! Nessun accenno a Garibaldi!...  Anzi per Garibaldi era stato peggio: il 21 novembre un ordine del marchese di Rudini sopraintendente ai teatri vietava che nelle scene si dessero drammi in cui figurassero argomenti e personaggi garibaldini. Quest’ordine, quegli “evviva” e quegli “abbassi”, la soppressione di ogni accenno alla rivoluzione redentrice, erano l’indice di quel che doveva avvenire dopo: una reazione bieca e feroce, un regime di arbitrî, di vendette, di violenze, di persecuzione contro gli uomini del partito d’azione, garibaldini o mazziniani, repubblicani o no; una serie di arresti, di martiri, di fucilazioni; e leggi scellerate, che per quattro o cinque anni esasperarono la Sicilia, e fecero rimpiangere il governo borbonico.
Bisognava cancellare dalla storia che l’unità italiana era stata compiuta dalla rivoluzione e da Garibaldi; e far della Sicilia una terra liberata, anzi conquistata dal Piemonte: e l’opera nefasta ebbe i suoi frutti; che ancora pesa la calunnia sparsa dalla reazione cavourriana e lafariniana e sull’opera della Sicilia per l’Unità della Patria, e sugli uomini della rivoluzione, e ancora si considera la Sicilia come una terra conquistata, barbara ancora, nella quale il Piemonte venne a portare le prime luci della civiltà.



Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano – Raccolta di scritti storici e storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere originali. Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931) 
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 24,00
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, www.lafeltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica - Palermo



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