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martedì 9 dicembre 2025

Luigi Natoli: Il tentato assassinio di Salvatore Maniscalco, capo della polizia borbonica a Palermo. Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento

Il 27 novembre del 1859, mentre Salvatore Maniscalco, direttore di polizia, si accostava alla fonte dell’acqua benedetta della Cattedrale, dalla parte della strada dell’Incoronata, fu colpito da una pugnalata alle reni. 
L’uomo che vibrò il colpo fuggì velocemente, si cacciò pel vicolo Artale, e si perdette in quel labirinto di viuzze; cosicchè il cocchiere di Maniscalco, certo Zagarella, dopo averlo inseguito un pezzo, ne smarrì le tracce e ritornò indietro. 
La ferita non fu mortale, come si credette; o emozione, o imperizia, o fretta, il colpo deviò; ma per la città si diffuse la notizia che il terribile fanatico direttore di polizia era stato ucciso; e un gran sospiro di sollievo e segni di una visibile gioia manifestarono qual cumulo di odi avesse il Maniscalco addensato sopra di sé in ogni ordine di cittadini. Delle quali manifestazioni il governo mostrò scandalizzarsi. 
Per quante ricerche si facessero, per scoprire l’autore dell’attentato, la polizia non ne venne mai a capo. Certo non dubitò mai che il movente fosse politico; ma per quanti arresti, per quante torture si infliggessero sugli arrestati, non si potè aprire il più piccolo spiraglio; e forse il non essersi potuto vendicare dei mandanti e del mandatario, rese più acerbo e crudele il Maniscalco negli ultimi mesi di regime. 
L’attentato era politico: gli autori non erano ignoti al partito liberale; dopo il 1860, molti si gloriarono di quel gesto, ma la verità non si seppe.
Nei primi di dicembre del 1859, la polizia faceva arrestare i popolani Vito Farina, Pietro Palumbo e Rosario Conigliaro “notori per tristi fatti nelle vicissitudini del 1848”; e comunicava al governo di essere “sulle tracce dei fratelli De Benedetto”. Ma questi arresti e queste ricerche non avevano relazione con l’attentato; erano invece consigliati dal timore di una insurrezione, che si credeva dovesse scoppiare l’8 dicembre, festa dell’Immacolata.

Senza nulla saperne, però il governo aveva nelle mani l’autore materiale dell’attentato e le fila della trama; della quale, in base a quanto ne lasciò scritto Antonino Lomonaco-Ciaccio e a quanto attinsi nel 1910 dalla viva voce dell’unico superstite – credo – di quella trama, si può ricostruirne la storia.
Delle memorie di Antonino Lomonaco-Ciaccio si conoscono alcuni brani, pubblicati dal fratello Serafino nel 1865 in un opuscolo biografico, alla morte di Antonino. In essi il Lomonaco confessa che l’idea di sopprimere il Maniscalco venne al comitato; ma che nessuno dei cospiratori si sentiva di tramutarsi in assassino. Combattere a viso aperto, sì, ma colpire dietro le spalle, no.
“La fortuna ci fu propizia – dice il Lomonaco. – Un uomo, quasi fatto interprete del pubblico desiderio... ci si offerse volontariamente all’impresa. Tuttochè di volgare condizione, disse non volere compenso alcuno, soddisfare invece alla febbre di vendetta che lo divorava da più anni per soprusi sofferti”.
C’è un po’ di romanzo in questa narrazione, che abbellisce il gesto; segno di quel sentimento di generosa avversione per un atto, che oggi riproviamo con orrore; ma che i procedimenti rivoluzionari, con le figurazioni retoriche, onde si abbelliva nelle fantasie il tirannicidio, anzi circondavano di eroismo. L’uomo che il Lomonaco-Ciaccio, e con lui molti altri, chiama Farinella, non si offerse, ma fu cercato; non aveva patito soprusi, ma era un tristo arnese, un vero sicario, che alternava la vita fra la relegazione, il carcere e la casa, per continui furti e atti di camorra.
“Farinella” era il soprannome; il suo nome era Vito Farina.
Il nome e la persona di Vito Farina non erano ignoti ai fratelli De Benedetto. Può darsi, che, in seguito a qualche discorso accademico o a qualche sfogo, il Farina si fosse offerto a Raffaele, come il braccio vendicatore; certo è però che ai membri del comitato esso fu designato da Raffaele, Pasquale e Salvatore De Benedetto.
I membri del comitato, che presero parte al complotto furono, oltre s’intende ai De Benedetto, il Lomonaco-Ciaccio, Francesco Perrone-Paladini, Casimiro Pisani. Di altri non so. 
Di gente estranea al comitato, ma non alla vasta cospirazione, v’era il signor Francesco Di Giovanni, proprietario di una panetteria ai Candelai, che vecchio novantenne, e unico superstite di quell’episodio, mi fornì nel 1910 questi particolari.
Il Comitato domandò appunto al Di Giovanni se poteva fidarsi in Vito Farina. Il Di Giovanni, antico cospiratore, valoroso combattente nel 1848, (ebbe il grado di tenente di fanteria appunto pel suo valore), era stato al ritorno dei regi relegato a Ustica; donde aveva tentato, invano, di evadere con Giovanni Corrao. Vi rimase sette anni; poi fu aggraziato, riammesso in Palermo, ma sottoposto a sorveglianza speciale. A Ustica aveva conosciuto il Farina, che vi era per ragioni... non politiche certamente.
Le informazioni furono soddisfacenti. Vito era proprio quello che i De Benedetto credevano. 
Il Farina, sapendo l’ora in cui il Maniscalco andava al duomo, lo appostò, appoggiandosi con indifferenza presso il fonte dell’acqua benedetta, dal lato della via dell’Incoronata. Egli si era associato un tal Lo Coco, il quale doveva favorirne la fuga: aveva barba finta e sopra il vestito se n’era posto un altro di carta morbida, sottile, scura, che simulava bene le stoffe; nascondeva nella manica un piccolo pugnale con manico di legno, fornitogli dal Comitato.
Alle 19 e mezza d’Italia, Maniscalco uscendo dalla chiesa, era colpito: il pugnale rimastogli nella ferita, fu sequestrato; ora si trova alla Società Siciliana di Storia Patria per dono di Salvatore Cappello, che lo trovò nell’archivio di Maniscalco, dopo il 27 maggio 1860.
Il Farina per la strada, fuggendo, si strappò il vestito di carta e la barba posticcia, cosicchè, rivedendolo, nessuno l’avrebbe riconosciuto; ciò valse a farne perdere le tracce.
Dopo qualche giorno, come dissi, egli fu arrestato con cento altri; bastonato, torturato. Si sapeva che fosse in relazione coi De Benedetto, e si sospettava che conoscesse qualche cosa: ma non si credeva, non passava neppur pel cervello che fosse stato proprio lui autore del colpo...

Rivendicazioni. La Rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento siciliano – Raccolta di scritti storici e storiografici dell’autore sul Risorgimento in Sicilia, costruita sulle opere originali. Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni anno 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860 (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910) Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI) I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931) Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848 - 1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.



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