Il 12 gennaio 1848, dopo l’audace sfida che rompeva gli indugi, Palermo insorse. Combattè per ventiquattro giorni, espugnando a una a una tutte le posizioni delle truppe regie, e respingendo i rinforzi venuti da Napoli col conte d’Aquila e il generale de Sauget. Ma Napoli non si mosse, non incoraggiò nè soccorse il fiacco moto di Salerno; non seppe o non potè; o non volle compromettersi. Gli storici siciliani della rivoluzione del 1848, mossi da non so quale paura, più della parola che della cosa, o non parlano o diminuiscono l’importanza delle manifestazioni repubblicane, che non vi mancarono, negando perfino l’esistenza di un partito repubblicano, pel solo fatto che esso era scarsamente rappresentato in Parlamento. E ciò, non ostante che più volte uomini di parte repubblicana, per la loro tutorità, fossero stati chiamati al governo.
Che un partito organizzato come lo intendiamo oggi non ci fosse, è vero: ma non è da maravigliarsene. Nel ‘48 le Camere non rappresentavano divisioni nette di partiti; v’erano certamente i più temperati a destra, e v’erano i più accesi a sinistra; ma poiché si era, e si fu, per tutti i sedici mesi in un periodo rivoluzionario, col nemico ai fianchi, e con la necessità impellente di costituirsi e assicurarsi l’indipendenza, il comune interesse offriva un terreno nel quale le frazioni del Parlamento, anche senza preventivi accordi, si intendevano e procedevano insieme, superando le divergenze programmatiche. I repubblicani al Parlamento erano un piccolo gruppo, ma di prim’ordine; fuori del Parlamento erano più numerosi che non si creda. Michele Amari lo storico, Giuseppe La Farina, Francesco Crispi, Vincenzo Errante, Giuseppe La Masa, Pasquale Calvi, Michele Bertolami, Giovanni Interdonato, Angelo Marrocco, Saverio Friscia e pochi altri alla Camera dei Comuni; e accanto a essi i simpatizzanti, come Paolo Paternostro, Francesco Ferrara, Gabriele Carnazza e altri più o meno, che sedevano a sinistra; fuori del Parlamento, Gabriele Dara, Carlo Papa, Pietro d’Alessandro, Rosolino Pilo, Francesco Milo-Guggino, Giorgio Tamaio, Rosario Bagnasco, Giuseppe Vergara-Craco, Carlo F. Bonaccorsi, Paolo Morello, Giovanni Corrao, Giuseppe Benigno, Giuseppe Badia, poeti, scrittori, giornalisti, combattenti, e una folla di ignoti, che non mancava di manifestare i suoi sentimenti in foglietti anonimi, in poesiole.
Che un partito organizzato come lo intendiamo oggi non ci fosse, è vero: ma non è da maravigliarsene. Nel ‘48 le Camere non rappresentavano divisioni nette di partiti; v’erano certamente i più temperati a destra, e v’erano i più accesi a sinistra; ma poiché si era, e si fu, per tutti i sedici mesi in un periodo rivoluzionario, col nemico ai fianchi, e con la necessità impellente di costituirsi e assicurarsi l’indipendenza, il comune interesse offriva un terreno nel quale le frazioni del Parlamento, anche senza preventivi accordi, si intendevano e procedevano insieme, superando le divergenze programmatiche. I repubblicani al Parlamento erano un piccolo gruppo, ma di prim’ordine; fuori del Parlamento erano più numerosi che non si creda. Michele Amari lo storico, Giuseppe La Farina, Francesco Crispi, Vincenzo Errante, Giuseppe La Masa, Pasquale Calvi, Michele Bertolami, Giovanni Interdonato, Angelo Marrocco, Saverio Friscia e pochi altri alla Camera dei Comuni; e accanto a essi i simpatizzanti, come Paolo Paternostro, Francesco Ferrara, Gabriele Carnazza e altri più o meno, che sedevano a sinistra; fuori del Parlamento, Gabriele Dara, Carlo Papa, Pietro d’Alessandro, Rosolino Pilo, Francesco Milo-Guggino, Giorgio Tamaio, Rosario Bagnasco, Giuseppe Vergara-Craco, Carlo F. Bonaccorsi, Paolo Morello, Giovanni Corrao, Giuseppe Benigno, Giuseppe Badia, poeti, scrittori, giornalisti, combattenti, e una folla di ignoti, che non mancava di manifestare i suoi sentimenti in foglietti anonimi, in poesiole.
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