I volumi sono disponibili dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it. (consegna a mezzo corriere in tutta Italia) Invia un messaggio Whatsapp al 3894697296, contattaci al cell. 3457416697 o alla mail: ibuonicugini@libero.it
In vendita su tutti gli store online. In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133 e punto vendita Centro Comerciale Conca d'Oro), La nuova bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa Editori (Piazza Leoni 60), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423) Libreria Nike (Via Marchese Ugo 56) Libreria Macaione Spazio Cultura (Via Marchese di Villabianca 102)

giovedì 15 maggio 2025

Luigi Natoli: 15 maggio 1860. La battaglia di Calatafimi. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione


Il 15 maggio, Garibaldi, lasciata Salemi sull’albeggiare, attraversata Vita, mandò esploratori per informazioni, e seppe che i regi fatta lor base di Calatafimi, movevano per fermargli la marcia. Era infatti la colonna del generale Landi, alla quale si era congiunto il battaglione del maggiore Sforza: tremila uomini in tutto, con cannoni e uno squadrone di cavalleria. Non tutte queste forze entrarono in azione. Temendo d’esser tagliato fuori, mancando di munizioni sufficienti, non potendo far manovrare la cavalleria per le condizioni del terreno, il Landi spinse l’ottavo battaglione cacciatori e i cannoni, con l’intenzione di aggirare Garibaldi, e col resto se ne stette a Calatafimi. Per altro i suoi, armati di eccellenti carabine, occupavano forti posizioni, dalle quali difficilmente avrebbero potuto essere sloggiati.
Garibaldi aveva a Salemi riordinato il suo piccolo esercito su due battaglioni; il primo con le compagnie Palizzolo, Stocco, Forni e Dezza, comandato dal Bixio; il secondo con le compagnie Ciaccio, Cairoli, Grizziotti, Bassini, Anfossi sotto gli ordini di Carini. I carabinieri genovesi con Antonio Mosto, l’artiglieria con Orsini, il genio con Minutilla, i marinai cannonieri con Castiglia, formavano dei corpi distinti. La strada che da Vita mena a Calatafimi, segue le ondulazioni di un terreno formato di alte colline, separate da avvallamenti. A riconoscere le posizioni del nemico, il Generale spedì innanzi il La Masa, da una parte, il Calvino dall’altra; e poco mancò l’uno e l’altro non rimanessero vittime di accidenti; il La Masa, gittatosi dal cavallo, impennatoglisi sull’orlo di un burrone, e battuto fieramente il capo, ne rimaneva stordito, e ciò gli procurò calunnie astiose: il Calvino imbattè in gente armata che voleva trascinarlo con sé. Saputo Garibaldi che i Napoletani si erano fortificati sopra una collina, detta delle Piante dei Romano (non Pianto come si è scritto) ordinò il suo corpo in battaglia. I volontari alla destra della strada carreggiabile, mirando alla sinistra dei regi, per minacciar loro la strada di Palermo; alla sinistra le squadre del Coppola e del Sant’Anna; le squadriglie senz’arme o armate soltanto di lance, avviò a coronare i colli circostanti, per spaventare il nemico; l’artiglieria rimase sulla strada, nel centro. Raggiunta la sommità delle colline di Vita scoperse il nemico; che stando sopra le colline di fronte dinanzi Calatafimi, spinse tosto una catena di cacciatori a occupare la prima collina, aprendo il fuoco. Garibaldi aveva dato ordini di non rispondere sapendo i suoi armati di vecchi fucili pressoché inservibili, e non potendo contare che sugli assalti alla baionetta. Soltanto i carabinieri genovesi, formidabili tiratori, avevano buone carabine; onde Garibaldi li mandò all’avanguardia.
Ben presto cominciarono le fucilate; alle quali i borbonici aggiunsero i colpi dei loro cannoni ben piazzati. Ma l’ottava compagnia insofferente, senza aspettar ordine, si lanciò contro l’avanguardia borbonica, respingendola oltre la prima collina fin presso al grosso delle truppe, e allora fu necessario suonar la carica, e spingere tutte le compagnie all’assalto. Pugna terribile e micidiale. Le colline sopra le quali stavano i borbonici eran formate di grandi scaglioni, che usano i contadini per impedire alla terra di cedere alla furia delle pioggie. Bisognava conquistar questi scaglioni, un dopo l’altro, sotto la grandine de le palle e della mitraglia. Fu un fuoco d’inferno che seminò la morte. Garibaldi, con la spada nel fodero sopra l’omero, a piedi, avanzavasi lento, silenzioso fra la strage dei suoi. Bixio corse a fargli riparo, e pregarlo di ritirarsi. “Qui si fa l’Italia” – rispose, – “o si muore!”.




Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo - consegna a mezzo posta o a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon prime e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Bancarella (Via Cavour).

15 maggio 1860: il concorso delle squadre siciliane a Calatafimi e le falsità degli storici. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

Sul concorso dei Siciliani a Calatafimi, lo storico Luzio si limita a ricordare i frati francescani, che combattevano valorosamente, che erano 6 o 12, pel Bandi, e due per l’Abba, più esatto.Ma quanto alle squadre, gli scrittori garibaldini o tacciono o travisano o calunniano: chi scrisse che esse erano di imbarazzo; e che Garibaldi, a Calatafimi, le relegò sopra un colle dove stettero a vedere; e chi, misero cuore e più misero cervello, aggiunse che stavan lì per gittarsi dalla parte del vincitore: tutti tacquero o negarono che esse si fossero battute accanto ai Mille sul colle fatale: salvo quei frati francescani. E non mancò chi scrisse che solo quattordici “valentuomini” spacconi, si presentarono a Garibaldi, ma per rubare i fucili ai volontari e sparire!(122).
Or bene degli storici venuti dopo, e il Luzio con essi, nessuno si domandò come mai Garibaldi avesse potuto formare a Salemi una nona compagnia al comando del Grizziotti. La verità è invece che a Salemi raggiunsero Garibaldi le squadre di monte San Giuliano con Giuseppe Coppola; di Alcamo coi fratelli Sant’Anna; di Partanna, di Santa Ninfa; non tutte armate pei disarmi avvenuti pochi giorni innanzi; inoltre una quarantina di Marsalesi e più di trenta Salernitani che vi si aggiunsero; molti di costoro che non formavano distinte squadriglie, incorporati nei Mille, resero possibile la formazione della 9.a compagnia. Il 15 Garibaldi pose le squadre del Coppola alla sua sinistra: la squadra di Salemi sopra un colle a destra. Sui colli più lontani mandò quelli armati di lance, a gridare e spaventare il nemico.
A questo punto voglio citare una testimonianza, quella di Alessandro Dumas padre. Un romanziere? Sì, un romanziere che assai spesso è più esatto di molti storici: e del resto, poichè il Luzio cita la testimonianza di Ippolito Nievo, poeta e romanziere, voglio ben ricorrere anch’io a un romanziere. Dunque il Dumas che scrisse i primi capitoli dei suoi Garibaldiens, nel giugno del 1860, a Palermo, sulle notizie fornitegli da Garibaldi e da Stefano Türr, descrivendo la battaglia di Calatafimi, dice: “Les volontaires essuient le premier feu assis et sans bouger; seulement, a ce premier feu, une partie des picciotti disparait”. (Disparait forse non è esatto, e bisogna dire che si sparpagliarono, non avvezzi a combattere all’aperto e in ordine serrato; ma non monta, andiamo innanzi). “Cent cinquante, à peu prés, tiénnent ferme, retenus par Sant’Anna et Coppola, leur chefs, et deux franciscains quì, armés chacun d’un fusil, combattent dans leurs rangs”.
Dunque solo una parte, concediamolo pure, si dileguò al primo fuoco; ma almeno centocinquanta siciliani combatterono tra le file dei Mille, quel glorioso 15 Maggio. Perchè il Luzio non ha citato il Dumas? Che se egli sdegnò la testimonianza del Dumas, perchè non raccolse e non citò quella dello stesso Garibaldi, sulla quale gli storici passano allegramente sopra? Il domani del combattimento, scrivendo alla Direzione del fondo pel Milione dei fucili, l’Eroe diceva: “Avvenne un brillante fatto d’armi avant’ieri coi Regi capitanati dal generale Landi, presso Calatafimi. Il successo fu completo, e sbaragliati interamente i nemici. Devo confessare però che i Napoletani si batterono da leoni... Da quanto vi scrivo, dovete presumere quale fu il coraggio dei nostri vecchi Cacciatori delle Alpi e dei Siciliani che ci accompagnavano”. Ma rischiariamo un po’l’ombra che avvolge questi Siciliani.
Dopo la battaglia si ebbe doverosa premura di raccogliere devotamente i nomi di quelli dei Mille che caddero morti o feriti: ma non si fece altrettanto di quelli dei Siciliani che furono loro pari in valore e in sacrificio. Or bene, le pubblicazioni fatte nel 1910 ci mettono in grado di supplire, benchè tardi, alla ingiusta dimencanza. Sul colle di Calatafimi, dei Siciliani che si batterono, morirono Carlo Bertolino, Sebastiano Colicchia, Francesco Agosta; vi furono feriti Stefano Sant’Anna, Antonino Barraco, Ignazio Pandolfo, Nicolò Messina, Giuseppe Catalano, un Cangemi, Carmelo Rizzo, Vito La Porta(123). Altri morti e feriti ebbe la squadra del Coppola, dei quali non si conoscono i nomi. E non son tutti; chè quei nostri antichi, modesti e silenziosi, ritrattisi nell’ombra non vantarono l’opera propria nè curarono di tramandare l’altrui. Molti morirono dimenticati. E del loro valore non mancano prove segnalate: Giacomo Curatolo-Taddei fu promosso tenente il giorno dopo il combattimento: il Colicchia morì colpito in bocca, mentre si slanciava per strappare all’alfiere napoletano la bandiera; Simone Marino, o fra Francesco, fu il primo a lanciarsi per prendere il cannone nemico, e se ne diè vanto solo al Cariolato e al Meneghetti, che erano con lui. V’eran fra combattenti siciliani giovanetti di quindici anni, come Antonino Umile di Marsala: e perfino una donna, Maria Giacalone, la quale volle seguire il marito, Federico Messana, e con lui fece poi tutta la campagna e a S. Maria di Capua fu promossa caporala(124). E tutto ciò consta da documenti e testimonianze.
Ora rendere omaggio a quelli dei Mille che morirono o ebbero ferita, è dovere: ma tacere i nomi dei Siciliani caduti, negare anzi che si siano battuti, peggio ancora calunniarli, non è soltanto ingiustizia, è viltà.
Ma il torto è però nostro. Dal 4 aprile a tutto il 1860, noi in Sicilia demmo alla causa della libertà e dell’unità centinaia di morti; dei quali non raccogliemmo i nomi, nè si seppe mai chi fossero. I morti dei volontari potevano essere identificati agevolmente, con l’aiuto dei registri dell’Intendenza; ma quelli delle squadre, no. Neppure i capi-guerriglia conoscevano i nomi dei loro uomini; quei contadini lasciavano le loro terre, le loro case, le loro famiglie; andavano a ingrossare una squadra, combattevano, taciti, senza chiedere altro che il loro pane e le munizioni; morivano avvolti nello stesso silenzio; nessuno domandava chi erano, donde venivano; e i più, la gran maggioranza, restò ignota, anonima, senza postuma gloria, senza compianto, senza onori. Martiri oscuri diedero la vita alla Patria e non contesero la gloria a nessuno.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo - consegna a mezzo posta o a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon prime e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Bancarella (Via Cavour).


lunedì 12 maggio 2025

Luigi Natoli: ...E gli esuli siciliani, l'11 maggio 1860 ritti sulle prore salutavano la madre terra, per la cui redenzione venivano a dare la vita. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Elusa la crociera napoletana nel Tirreno, e mutata rotta, l’11 maggio il Piemonte e il Lombardo, filavano verso la Sicilia; e gli esuli Siciliani videro con le lagrime sugli occhi l’antico Erice avvolto fra le nebbie del mattino, faro gigantesco, che sembrava aspettare il ritorno dei figli lontani. Videro le Egadi tra il rosso vapore dell’aurora, e ritti sulle prore salutavano la madre terra, per la cui redenzione venivano a dare la vita. Garibaldi domandò a Salvatore Calvino, che era di Trapani, se conveniva tentare ivi lo sbarco; ne fu dissuaso, e anche dal Türr, che, come si era stabilito in un consiglio con Crispi, Orsini, Castiglia, propendeva per Marsala. Oltrepassata Favignana, incontrata una paranza comandata da Antonio Strazzera, fattala avvicinare, Garibaldi gli domandò se vi fossero legni da guerra napoletani in quei paraggi, e truppe in Marsala: seppe che i legni avevan preso il largo verso Sciacca, e che le truppe eran partite il giorno innanzi: ed allora ordinò che il Piemonte e il Lombardo a tutto vapore facessero rotta sopra Marsala, dove giunsero verso il tocco. Il Piemonte entrò nel porto, ove stavano all’ancora due navi inglesi l’Argus e l’Intrepid; il Lombardo arenò. Cominciò subito lo sbarco sulle scialuppe delle due navi e la paranza dello Strazzera, offertasi spontaneamente; altre barche furono obbligate a prestarsi.
Il corpo dei volontari non era ancor tutto sbarcato, quando apparvero due navi borboniche, lo Stromboli e il Capri, che venivano velocemente; e in breve si collocarono in posizione di combattimento dinanzi al porto. Ma la presenza delle due navi straniere, e la vista delle tuniche rosse sul molo, che sembrarono uniformi di truppe inglesi, resero dubitosi i comandanti delle navi borboniche; i quali per timor di complicazioni diplomatiche, mandarono un ufficiale a bordo delle navi britanniche, a chiedere informazioni prima di aprire il fuoco. L’indugio diede tempo al resto dei volontari di sbarcare, disporsi in colonna e marciare verso la città; e quando le navi borboniche tirarono, non fecero altro danno che uccidere un povero cane: sfogarono allora contro le due navi abbandonate; il Lombardo distrussero: il Piemonte rimorchiarono a Palermo, inutile trofeo della loro imperizia.
Questa nave, che avrebbe dovuto essere conservata, come testimonio di un prodigio, come cosa sacra, fu dall’Italia risorta mandata poi a Bari a far ufficio di rimorchiatore del cavafango!

Intanto, poiché non pareva al governo di Sicilia che avesse più a temere dalle bande; e perché i consueti traffici togliessero alla città l’aspetto triste e desolato, il comandante generale Salzano, con decreto del 3 maggio scioglieva “lo stato d’assedio messo nella città di Palermo e suo distretto”, mentre il luogotenente Castelcicala, con un proclama, contemporaneamente, faceva velate minacce agli agitatori e promesse di perdono ai pentiti, assicurando le intenzioni del Re per dare “alla Sicilia la maggiore prosperità e un riposato vivere civile”; e aggiungeva al proclama un altro decreto che comminava fiere prescrizioni agli asportatori e detentori di armi, senza licenza dell’autorità.
Lo stesso giorno scriveva al Ministero di Napoli, assicurando che la città ritornava alla calma, che si veniva ripigliando il lavoro, che le bande armate erano sciolte, tranquille le provincie, e che perciò non era necessario spedire altre colonne mobili. “Il potere va ripigliando tutto il suo prestigio sulle masse, le quali, per un momento illuse, credettero scosso il principio di autorità, e coll’aiuto di Dio, se la mano straniera non verrà materialmente ad incoraggiare ed a sospingere i malcontenti alla ribellione, la Sicilia, fra non guari, ritornerà alle pristine sue riposate e prospere condizioni”.
Ma intanto che il luogotenente ostentava così fondata sicurezza, circolavano per la città due proclami dal comitato segreto lanciati il 2 maggio: uno ai Siciliani, riepilogando le vicende dell’aprile, richiamando alla memoria le violenze poliziesche, protestava “il fermo proposito... di scuotere l’abborrito governo borbonico, di riunirci con le altre più fortunate provincie alla gran famiglia italiana e seguire i destini della Casa Savoia, alla quale, prima di ogni altra, la Sicilia si offerse con atto del Parlamento nel 1848, proclamato e ripetuto nelle 5 insurrezioni scoppiate dal ‘49 al ‘60”. L’altro proclama, concepito su per giù, nei medesimi termini, era diretto “ai fratelli d’Italia”. E quasi per commento ai due proclami e al decreto del luogotenente, una dimostrazione scoppiava il 2 maggio in piazza Ballarò, un’altra il 3; e le botteghe si ostinavano a rimaner chiuse, non ostante le imposizioni della polizia che volevale aperte...



Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno

Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Consegna gratuita a Palermo - Consegna in tutta Italia con corriere o servizio postale).
Su Amazon Prime e tutti gli store online. 
 
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Bancarella (Via Cavour)

martedì 6 maggio 2025

Luigi Natoli: Nella notte del 5, adunatisi a Quarto, i volontari si imbarcarono: eran mille e ottantacinque, compresa una donna, Rosalia Montmasson... Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Fissata la spedizione, la febbre accese tutte le vene. Garibaldi corse a Genova, e fatto chiamare il Fauchè, gerente della Società Rubattino, col quale già fin dal 9 aprile si era inteso, concertò per la cessione dei due piroscafi, il Lombardo e il Piemonte, incaricando Bixio di ogni cosa. Villa Spanola a Quarto diventò il quartiere generale della spedizione. Il Bertani, Crispi, Bixio, si moltiplicavano. Dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Liguria; da ogni regione d’Italia accorrevano volontari: i più non superavano il venticinquesimo anno; v’erano dei giovani quindicenni, uno di undici anni; cinque soltanto oltrepassavano i sessanta: la più parte benestanti o impiegati o professionisti; in minor numero, di popolo. Non avevan vestiti uniformi; pochi indossavano camicie rosse; Sirtori e Crispi vestivan di nero con cappello a cilindro, Bixio portava la divisa dell’esercito piemontese; gli altri giacche, giubbe, camiciotti, colori e forme disparate, armi pochissime: e queste, date dal La Farina per le sollecitazioni di Crispi e degli altri esuli, erano un mille fucili e munizioni, che caricati in barche dovevano aspettare i due piroscafi al largo.
La sera del 5 maggio, con simulata violenza, Bixio prese possesso dei due piroscafi, e li condusse a Quarto. Garibaldi, per mettere al sicuro la responsabilità del Fauchè, scrisse una lettera ai direttori della società Rubattino, promettendo rifarli dei danni; ma la Società poco dopo punì il gerente, destituendolo; né più volle riammetterlo in servizio, reo di aver favorito la più grande e meravigliosa impresa dei nostri tempi.
Prima di partire Garibaldi scrisse al Bertani, commettendogli di raccogliere aiuti d’uomini e di danari, scrisse anche al Caranti, protestando sé non aver consigliato il moto di Sicilia, ma non poter restare inerte e impassibile alla lotta per la libertà che vi si combatteva. Al Re Vittorio Emanuele indirizzò altra lettera, nella quale pur ripetendo quelle proteste, aggiungeva: “So che io m’impegno in una impresa pericolosa, ma ripongo la mia confidenza in Dio, come nel coraggio e nell’abnegazione dei miei compagni. Il nostro grido di guerra sarà sempre: “Viva l’Unità d’Italia! Viva Vittorio Emanuele nel suo primo e suo più prode soldato”. Se non riusciamo, io spero che l’Italia e l’Europa liberale non dimenticheranno che questa impresa è stata decisa per motivi puri di ogni egoismo e veramente patriottici. Se riusciamo, andrò superbo di ornare la corona di Vittorio Emanuele di questo nuovo e forse più brillante gioiello”.
Indirizzò ancora un proclama ai soldati italiani, raccomandando la disciplina, ed esortandoli a non abbandonare le file dell’esercito, e a stringersi “a quel Vittorio Emanuele, la di cui bravura può essere rallentata un momento da pusillanimi consiglieri, ma che non tarderà molto a condurci tutti a definitiva vittoria”.
Nella notte del 5, i volontari, adunatisi a Quarto, si imbarcarono; eran mille e ottantacinque, compresa una donna, Rosalia Montmasson, moglie e compagna devota e infaticabile di Francesco Crispi: si divisero fra i due vapori: Bixio prese il comando del Lombardo, Garibaldi quello del Piemonte, e in sott’ordine Salvatore Castiglia, palermitano esperto di cose marine, esule pei fatti del ‘48. Prima ancora che albeggiasse, i due vapori salparono l’ancora, e s’avventurarono nell’ignoto infinito; e il cielo accompagnavali col dolce scintillio delle stelle, che parevan tremar di gioia e di orgoglio; e dalla terra i supremi addii dei parenti e degli amici rimasti, non osavan rompere l’alto ed eloquente silenzio: voto, augurio, speranza, compianto e stupore in un tempo.
Le navi bordeggiarono alquanto, aspettando le barche con le armi; non vennero, né si seppe mai se per tradimento o per dispersione; onde ripresero il navigare. A bordo del Piemonte, Garibaldi ordinò la legione; le mantenne il nome glorioso ed augurale di Cacciatori delle Alpi; e in un ordine del giorno, premesso che la missione dal corpo era basata sull’abnegazione più completa, senza allettative di gradi e di ricompense, dava come grido di guerra quello stesso che rimbombò sulle sponde del Ticino: “Italia e Vittorio Emanuele”. Divise il corpo in sette compagnie comandate da Bixio, Orsini, Stocco, La Masa, Anfossi, Carini, Cairoli; Sirtori nominò capo dello Stato maggiore, di cui fecero parte Crispi come commissario civile, Manin, Calvino, Majocchi, Grizziotti, Borchetta, Bruzzesi; Türr primo aiutante di campo; altri aiutanti Cenni, Montanari, Bandi, Stagnetti: Basso, segretario; Acerbi, Bovi, Maestri, Rodi all’intendenza; Ripari, Boldrini, Giulini medici.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno

Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Consegna gratuita a Palermo - Consegna in tutta Italia)
Su Amazon Prime e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Bancarella (Via Cavour).

venerdì 18 aprile 2025

Luigi Natoli: la missione di Rosolino Pilo e Giovanni Corrao. Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

Il Pilo e il Corrao veduto qualcuno del comitato messinese, sbarcate e nascoste le poche armi in luogo sicuro, raccolte notizie da Catania e dai dintorni, mossero alla volta di Palermo. Ma prima ragguagliarono d’ogni cosa i fratelli Orlando, che erano stati fra’più ferventi e operosi nell’aiutare e favorire l’impresa: ed erano autorevoli per integrità di carattere, bontà di costume, fede sincera e disinteressato patriottismo: e pregandoli di adoperarsi, perché non venissero meno gli aiuti dei fratelli della penisola, il Pilo, affermando “venuto il tempo d’essere audaci” aggiungeva: “Io sarò felice di poter dare tutto il mio sangue all’Italia nostra”. Scrisse anche a Garibaldi e a Bertani, e le lettere affidò al pilota Motto, pregandolo di salpar subito per recapitarle.
Pilo e Corrao partirono il 12 aprile in pellegrinaggio di propaganda, non temendo le compagnie d’armi e le colonne mobili e i birri, che la polizia avvertita del loro sbarco, avrebbe sguinzagliato sulle loro tracce. La polizia già da qualche tempo innanzi era stata avvisata dai suoi agenti; e sul finire del ‘59 il luogotenente generale aveva scritto al sotto-intendente di Termini, di un prossimo sbarco del “noto agente mazziniano Rosolino Pilo associato a uno dei fratelli Orlando”. Non di meno nulla seppe per allora dell’avvenuto sbarco, e i due audaci poteron procedere indisturbati nel loro cammino. A Barcellona un vecchio liberale, pauroso degli apparati del governo, li consigliò di non proseguire, comunicando che la rivoluzione di Palermo era fallita: rispose fieramente il Corrao di non esser venuti in Sicilia per ritornare indietro, e che avrebbero preferito consegnar la testa al carnefice, piuttosto che esular novamente: eran venuti per la rivoluzione e l’avrebbero fatta, tanto più che forse in quell’ora Garibaldi si apprestava a venire. Pilo abbracciò il compagno.
Ripreso il cammino, per dove passavano, convocavano i giovani, li esortavano a prendere le armi, insegnavano a costruire bombe; accendevan dovunque fiamme di libertà; e d’ogni cosa ragguagliavano con lettere ardentissime i fratelli Orlando, Garibaldi, Bertani, Fabrizi. Più s’avvicinavano a Palermo, e più visibili erano i segni della rivoluzione. Spediti messi sicuri al comitato di Palermo, e ricevuti soccorsi di denaro e promesse, Pilo convocò i principali e più vicini capi di squadriglie; e tosto convennero il La Porta, il Firmaturi, il barone di S. Anna, e poco dopo anche Pietro Lo Squiglio, già valoroso combattente in Palermo, e legionario siciliano in Lombardia nel 1848, scampato il 18 aprile al combattimento di Carini, serbato a più gloriosa morte dinanzi le mura di Palermo. Presi gli accordi e separatisi da quei capi, il Pilo, il Corrao e il Lo Squiglio qualche giorno dopo lasciarono Piana dei Greci, in tempo per sfuggire a una sorpresa. E difatti i cartelli sediziosi sparsi dal Comitato segreto di Palermo, nei quali si annunciava l’arrivo “dei prodi emigrati”; il ripreso coraggio dei “tristi”, come avvisava il luogotenente generale, che “si presentavano a una nuova riscossa”; le notizie delle spie, forse, avevano indotto il governo a ordinare l’occupazione di Piana dei Greci nella notte sopra il 25 aprile.

I tre valorosi, dopo una breve sosta al monastero di S. Martino, si ritirarono sull’altipiano dell’Inserra, che a cavallo di due vallate, dominava le strade e i sentieri, e offriva modo di scoprire ogni movimento delle truppe, e tenersi in facili comunicazioni coi comuni che maggior contributo avevano dato alla rivoluzione. Di là spedirono messi ai capi delle squadre, al comitato; rincorando i dubitosi, infondendo fiducia, promettendo il prossimo sbarco di due spedizioni una da Malta, l’altra da Genova con Garibaldi; le quali il Pilo, che vi credeva fermamente, sollecitava con lettere impetuose e forse esagerate.
Convocato un consiglio, deliberato di riorganizzare le disperse squadre per riprendere l’offensiva o almeno le molestie per stancar le truppe, Rosolino Pilo che aveva già sottoscritta una cambiale di sei mila lire, per aver danari, attese a eseguire quanto si era deliberato. Si stabilì il quartiere generale a Carini, non domata dagli incendi e dalle stragi delle truppe, generosa e pronta sempre; ed ivi si ordinò il corpo di operazione: Rosolino Pilo capo supremo, Corrao comandante di tutte le squadre, Pietro Tondù alla sopraintendenza, Giuseppe Bruno-Giordano all’ispezione dei corrieri e delle guide, Giovan Battista Marinuzzi ufficiale pagatore, i preti carinesi Calderone e Misseri, che si erano battuti in quei giorni, cappellani. Ogni paesetto dei dintorni mandò il suo contributo d’uomini e denari; Torretta quarantaquattro uomini e cento onze (1275 lire); Montelepre cinquanta uomini e cent’onze; quattrocento uomini i Colli di Palermo e Capaci; centocinquanta con la musica la Favarotta, cinquanta Tommaso Natale e Sferracavallo. Si aspettavano le ricostituite squadre di Partinico, Alcamo, Piana, Corleone, Misilmeri, Marineo. Corrao a mano a mano divideva queste forze in squadre di dieci uomini con un caporale; ogni dieci squadre formavano una centuria con un capo e un sotto capo.
Tra il maggio odoroso, e tra’colli e i giardini verdeggianti, il sole mirava quelle schiere esercitarsi alle prossime lotte. E intanto solcavano già il mar di Sicilia i due navigli che portavano Garibaldi e i Mille, la fortuna, la gloria della rivoluzione, l’unità della patria, il compimento di un sogno al quale, immolandosi, avevano aperta la via centinaia di martiri...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno

Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere in tutta Italia) 
Su tutti gli store di vendita online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), Mondadori Point di G. Montesanto (Via M. Stabile 233) La Nuova Bancarella (Via Cavour).

Luigi Natoli: 18 aprile 1860, la strage di Carini. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Il comando militare, concertata un’azione simultanea delle varie colonne mobili, diede ordini di assalire gli insorti, che, indietreggiando dinanzi al soverchiare dei regi, si concentravano a Carini. La colonna Cataldo movendo da Partinico, quella del Bosco per Torretta e Montelepre, quella del Torrebruna, rinforzata da altre milizie per la via di Capaci dovevano prendere in un cerchio le squadre. Il 18 infatti gli insorti sono assaliti; si combatte accanitamente per parecchie ore tra forze ineguali: Carini vien presa dai regi del Cataldo, che si abbandonano al saccheggio e alla carneficina. Ma il movimento aggirante, per imperizia del Torrebruna, e per non essere arrivata in tempo un’altra colonna col tenente colonnello Perrone, non riesce: gl’insorti giungono ad aprirsi un varco e a ritirarsi sulle montagne, sebbene fulminati dai borbonici. Gl’incendi, le stragi di Carini indegnarono anche il re, che censurò vivamente la indisciplinatezza e la barbarie delle truppe; segnarono un altro debito verso la vendetta popolare. Dopo la presa di Carini, i comuni dei dintorni di Palermo ritornarono all’obbedienza; e la più parte degli uomini delle squadre, disanimati da una guerra senza speranza di vittoria, non vedendo giungere gli aiuti che erano stati promessi, non sorretti dalla fede nell’idea dell’unità che essi non capivano, adescati dall’indulto, gittavan le armi e ritornavano sottomessi nelle loro case. La causa della rivoluzione pareva perduta; quando il 20, Rosolino Pilo e Giovanni Corrao giungevano a Piana dei Greci, e con le rinate speranze riaccendevano il fuoco, non ancor domo. Pietro Piediscalzi, infaticabile, ardente, si unì tosto con loro e ricostituì la squadra, che poi tenne, fino alla morte, ai suoi ordini, pagandola del suo.
Spediti messi sicuri al comitato di Palermo, e ricevuti soccorsi di denaro e promesse, Pilo convocò i principali e più vicini capi di squadriglie; e tosto convennero il La Porta, il Firmaturi, il barone di S. Anna, e poco dopo anche Pietro Lo Squiglio, già valoroso combattente in Palermo, e legionario siciliano in Lombardia nel 1848, scampato il 18 aprile al combattimento di Carini, serbato a più gloriosa morte dinanzi le mura di Palermo.
Presi gli accordi e separatisi da quei capi, il Pilo, il Corrao e il Lo Squiglio qualche giorno dopo lasciarono Piana dei Greci, in tempo per sfuggire a una sorpresa. E difatti i cartelli sediziosi sparsi dal Comitato segreto di Palermo, nei quali si annunciava l’arrivo “dei prodi emigrati”; il ripreso coraggio dei “tristi”, come avvisava il luogotenente generale, che “si presentavano a una nuova riscossa”; le notizie delle spie, forse, avevano indotto il governo a ordinare l’occupazione di Piana dei Greci nella notte sopra il 25 aprile.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo - consegna a mezzo corriere o poste in tutta Italia)
Su tutti gli store di vendita online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Bancarella (Via Cavour)

lunedì 14 aprile 2025

Giuseppe Ernesto Nuccio: La fucilazione delle 13 vittime il 14 aprile 1860. Tratto da: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano.

I due ragazzi si fissarono negli occhi smarritamente: “Perché dentro il Castello avevan bisogno di tredici uomini? Giusto tanti quanti erano gli arrestati popolani?”.Ma dalle loro bocche non uscì la domanda tormentosa. Si scostarono alquanto e attesero. Dinanzi la porta e sugli spalti scorsero le sentinelle col fucile in ispalla a passeggiar concitate.
A un tratto, venne dall’atrio del Castello un tramestìo e un ronzìo alti, quasi l’avvicinarsi d’una processione salmodiante.
Sulla porta comparve un drappello di soldati a cavallo, seguito da un altro di soldati a piedi, che chiudeva tre file di uomini: a destra, una di preti con una gran croce rossa sul petto; nel mezzo, la fila dei condannati, coperti dal sacco, bendati gli occhi, legate le braccia alla schiena; a sinistra la fila dei tredici uomini chiamati un momento avanti dallo sbirro De Simone tra i quali c’erano lo zoppo e il villanello. Ai fianchi e alle spalle, i soldati a piedi e a cavallo con le baionette inastate.
- Li fucilano! – gemè Pispisedda con un soffio di voce.
Ferraù fece sentire un digrignare sordo.
I soldati avanzavano tutti con le schiene curve, le fronti chine. I condannati, invece, andavano eretti tutti e tredici e con quel loro atteggiamento che urlava ancora la sfida!
Pispisedda e Ferraù si mossero, fiancheggiando il corteo con l’animo straziato, quasi essi stessi fossero portati alla fucilazione.
Il corteo entrò nella via Piedigrotta. Gente s’affacciava spiando dai balconi, dalle finestre e tosto arretrava smarrita. E una dopo l’altra, tutte le imposte, tutte le porte si rinserravano. S’udiva alto ancora il salmodiare tristissimo dei crociferi, e il trepestìo uguale, soffocato s’accompagnava al mormorìo. Poca gente aveva animo di seguire il corteo.
- Don Giovanni Riso – disse qualcuno, con voce strozzata accanto a Pispisedda.
- Il poeta Camarrone – aggiunse un altro.
Così, uno dopo l’altro, a traverso il fitto velo nero, i condannati venivan riconosciuti dalla gente; e i nomi eran mormorati sommessamente come se la voce uscisse dalla gola smorzata dall’ambascia.
- Dove li portano, dove li portano? – gemeva Pispisedda andando cecamente, senza coscienza. Svoltarono a sinistra. Lo spiazzo di Porta San Giorgio era già zeppo di soldati i quali, come il corteo comparve, sospinsero la poca gente addietro, facendo il vuoto dal muro fino alla carraia.
- Qui li fucileranno? – fece Pispisedda, atterrito.
Il drappello dei soldati a cavallo, che precedeva il corteo, si allineò ad arco, dalla proda dell’altro marciapiede al muro delle case, gettando addietro qualche cittadino il quale si lasciava sospingere e quasi schiacciare come se avesse perduto ogni coscienza. Non s’udiva alcuna voce, alcun richiamo, alcuna protesta: parea un gruppo sperso di muti o di mentecatti, con occhi e bocche spalancati e braccia e gambe dinoccolate; ombre addossate le une alle altre, quasi a sostenersi.
Accadeva improvvisamente un fatto talmente straordinario che le menti sconvolte, disfrenate in un arrovellìo di pensieri tumultuanti erano cadute in un assopimento grave.
La realtà del momento era così incomprensibile da perdere i suoi veri aspetti.
- Che fanno? Li fucileranno, qui? – si chiedeva spasmodicamente Pispisedda stringendo il braccio destro di Ferraù. Ma quello, ciondolando, andava avanti e addietro, che pareva un ebbro; un ebbro tutto chiuso in un cupo pensiero.
Passavano ora i condannati fiancheggiati dai tredici cittadini spinti da De Simone e fiancheggiati dai tredici crociferi. Ma i condannati avevan diritta e rigida l’andatura; e levavano alti i piedi quasi tentassero di salir degli scalini: la benda stretta e spessa sui loro occhi doveva far cupo il buio, cupo come la morte imminente. Certo avvertivano quel mormorìo indistinto; forse sentivano su loro gli sguardi rigidi di occhi sbarrati, e camminavano sldi verso la morte.
- Che fanno. Li fucileranno, qui? – si chiedea spasmodicamente Pispisedda. Similmente forse ciascun cittadino si ripetea la medesima domanda, con lo stesso spasimo folle nell’animo.
E quando i condannati quasi toccarono il muro furono disposti in linea orizzontale: una fila nera, cupa come di fantasmi.
S’udì un ordine e la fila nera s’abbassò d’un tratto dimezzata. Pispisedda si rizzava sulle punte dei piedi e sbarrava gli occhi – quasi avesse voluto vincere un sonno pesante – e guardava ostinatamente. I condannati ora stavano in ginocchio. A uno a uno gli accompagnatori e i preti si staccarono, stentatamente e vennero avanti con quella grande croce rossa, sulla tunica nera, che pareva una larga macchia di sangue.
E la fila nera dei condannati parve ingigantirsi, allungarsi infinitamente, come se lo spazio si fosse raddoppiato, come se le case stesse si fossero arretrate improvvisamente.
E si fece un silenzio alto, cupo, come se i cuori stessi si fossero fermati.
E, quasi sbucassero improvvisamente dal suolo, tre file di tredici soldati, uno dietro l’altro, si piantarono nello spazio, di fronte alla fila nera dei condannati.
E il silenzio si fece più alto ancora e su tutti passò rapida, una zaffata di vento ghiaccio che gelò i cuori...


Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1859-60.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad & figlio nel 1919, impreziosito dai disegni dell'epoca di Alberto della Valle.
Pagine 523 - Prezzo di copertina € 22,00 - Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo raccomandata postale o corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon e tutti i gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102). 

Luigi Natoli: 14 aprile 1860, la fucilazione delle 13 vittime. Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.


Palermo, non ostante l’insuccesso, sebbene stretta fra i rigori dello stato d’assedio, gli arresti, le violenze di una polizia resa più feroce dalla paura, né taceva, né mostravasi sottomessa. Ai bandi, ai decreti, ai proclami dell’autorità, il comitato rispondeva con altri proclami, con invettive, con poesie satiriche; li scrivevano Francesco Gaipa, Serafino Lomonaco-Ciaccio, Pietro Messineo, Francesco Perrone-Paladini: le tipografie erano chiuse, ma non importava: si stampavano lo stesso. L’officina era in casa del Messineo in via Iudica: gli stampatori erano il Messineo, Ignazio Federico e il tipografo Giuseppe Meli.
Il 7 aprile, Maniscalco fece arrestare il duca di Monteleone, il cavaliere Notarbartolo di S. Giovanni, il barone Riso, il principe di Giardinelli e il duca di Cesarò, che trovò radunati in casa Monteleone. Il principe di Niscemi che era presente, non volendo abbandonare i suoi amici, si dichiarò reo della loro colpa, e offerse da sé i polsi alle manette: e la polizia non lo respinse: era una vittima di più, e non guastava. I sei giovani signori, circondati di birri, incatenati, furono a piedi condotti lungo il Cassaro, come malfattori; e il popolo commosso salutò, scoprendosi con riverente silenzio, il loro passaggio. Più tardi a bordo di un legno americano arrestò il padre Lanza. Due giorni dopo, faceva punire col fuoco, col saccheggio, le uccisioni degli inermi, il villaggio di S. Lorenzo.

In città e alle sue porte avvenivano zuffe e uccisioni, alternate con dimostrazioni. La sera del 7 furono tirati dei colpi contro la caserma della Sesta Casa, e fu uccisa una sentinella al Cancelliere; l’8 fu appiccato il fuoco contemporaneamente ai Commissa­riati di via Pizzuto, che bruciò tutto, e a quello di via Vetriera, che bruciò in parte; il 10, fucilate nel sobborgo dell'Olivuzza; birri bastonati in città; il 12 tutte le botteghe della via Toledo si chiusero per invito dei giovani Salvatore Bozzetti, Gaetano Borghese ed Eliodoro Lombardo, poeta e patriota, ingiustamente dimen­ticato: i quali fecero correre la voce di una dimostra­zione pel pomeriggio del 13. La cosa fu concertata dal padre Gustarelli, basiliano, dai tre giovani citati e da altri audaci, fra i quali si ricordano Rosario Ferrara, Giuseppe Lombardi, Antonio e Giovanni Orlando, An­tonino Stancanelli e altri. La folla era grande: il grido di Viva l'Italia, viva la libertà! rimbombò: dai balconi uomini e donne rispondevano; la polizia non seppe rea­gire. Ma il domani, per diffondere il terrore, Maniscalco, contro gli ordini del re Francesco, che, con due dispacci aveva ordinato si soprassedesse all'esecuzione delle sen­tenze di morte pei fatti del 4 aprile, affrettava la fuci­lazione di tredici prigionieri, condannati dal Consiglio di guerra nella “supposizione” che fossero tra’ capi della rivolta.

Nel pomeriggio del 14, tra lo squallore e il silenzio della città, al funebre rullare dei tamburi, i tredici martiri, circondati di birri e di soldati e confortati dalla voce di sacerdoti, tratti dal Castello, furono condotti ai piedi del baluardo di Porta San Giorgio; e lì fu compiuto l’assassinio.
I tredici corpi crivellati dal piombo, furono ancor caldi buttati, come carogne, in tre carri, e portati via in fretta, come se il rimorso o l’orrore del delitto incalzasse a cancellarne le tracce! Furono Sebastiano Camarrone (poeta), Domenico Cucinotta, Pietro Vassallo, Michele Fanaro, Andrea Coffaro, preso l’8 in Bagheria, Giovanni Riso (padre di Francesco Riso), Giuseppe Teresi, preso alla Guadagna, Francesco Ventimiglia, Michelangelo Barone, Nicolò di Lorenzo, Gaetano Calandra, Cono Cangeri e Liborio Vallone, preso il 12 a Monreale. Tutti popolani.
Ma la sera dopo fu tentato un altro assalto alla VI Casa e vi perdettero la vita due birri e un trombettiere. Successero alcuni giorni di tregua apparente. Il 20 circolò per la città questa epigrafe: A Francesco Riso – martire infelice della libertà della patria – non sospiri di letargo – non pianti di viltà – ma fieri giuramenti di sangue – fremito di vendetta atroce.




Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Pagine 544 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su tutti gli store di vendita online e in libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), Mondadori Point di G. Montesanto (Via M. Stabile 233) La Nuova Bancarella (Via Cavour)

venerdì 4 aprile 2025

Luigi Natoli: 04 aprile 1860. Intanto le squadre movevano sopra la città, come convenuto... Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Le squadre raccolte nei dintorni, movevano intanto sopra la città, come era convenuto, credendo potervi entrare di sorpresa; ma s’incontravano nelle soldatesche regie, spedite dovunque. Piccoli e insignificanti scaramucce avvenivano a porta S. Antonino e a porta di Termini: al ponte delle Teste e, più in là, fra S. Maria di Gesù e la Guadagna, dove era fatto prigioniero Giuseppe Teresi, giovane poco più che ventenne, serbato al martirio.
Più gravi fazioni si combatterono ai Porrazzi, a Monreale, a Boccadifalco, a S. Lorenzo.
Ai Porrazzi, la squadra del Badalamenti e del Marinuzzi, fortificatasi in quelle ville, sostenne validamente l’attacco delle truppe, e non potè essere snidata che dall’artiglieria: ebbe feriti, e un morto, Andrea Amorello: a Monreale il maggiore Bosco, uno dei più valorosi ufficiali dell’esercito napoletano dovette fare sforzi incredibili, con la sua colonna, per non venir sopraffatto dalle squadre di Partinico e d’Alcamo; queste condotte dal barone S. Anna, che aveva già sollevato e proclamato il governo libero nella nativa Alcamo: quelle condotte dai fratelli Damiano e Tomaso Giani; il quale ultimo aveva fatto costruire a Partinico due piccoli cannoni di legno. E gli attacchi continuarono più giorni; in uno dei quali, il 12, a Lenzitti, cadevan morti Giuseppe Fazio da Alcamo, giovane ventiduenne, e Pietro Tagliavia e Giuseppe Ricupati di Partinico, e veniva fatto prigioniero e condotto a Palermo Lorenzo Vallone, alcamese; e più tardi, da un caporale dei compagni d’arme, veniva in quei luoghi dissotterrato e trasportato al Castello a mare di Palermo, uno dei due cannoni di legno, abbandonato dagli insorti (l’altro essendo scoppiato al primo colpo): che è forse quello che si conserva al Museo.
Lo stesso Bosco scampò miracolosamente alle fucilate dei fratelli Trifirò.
II villaggio di S. Lorenzo, era stato occupato da un battaglione di fanteria comandato dal maggiore Polizzy, che doveva sbarrare il passo a numerose squadre, di cui il posto telegrafico di Sferracavallo aveva segnalato la presenza fin dal 2. Erano squadre di Capaci e di quelle contrade che s’andavano ad aggregare a quelle di Carini.
La mattina del 3, il prete Calderone in Carini uscito in piazza, col Cristo in mano, aveva chiamato il popolo a raccolta; suonate a stormo le campane, costituito un comitato, col Tondù, coi fratelli Francesco e Antonino Ajello, Antonino Correri, il padre Messeri, Vincenzo Leone, Francesco Cavoli, un Oliveri e altri, si formarono le squadre, che si misero in marcia verso Palermo. A Sferracavallo, ucciso un birro, saputo che una colonna moveva per S. Lorenzo, ripiegarono, e per le campagne, risalirono a Passo di Rigano, dove incontrate altre truppe regie, e attaccate da esse, vennero disperse. Molti fuggirono a Carini; i più furono raccolti e s’unirono ai Colli con la squadra di Carmelo Ischia e Francesco Ferrante.
Il Bruno-Giordano, andato ai Colli la sera del 3, per fornire di munizioni la squadra di Carmelo Ischia, trovata nel ritorno la via sbarrata stimò più opportuno rifare il cammino, mettersi alla testa di quella squadra e di quanti uomini poteva raccogliere, e attaccare i regi. Un primo scambio di fucilate avvenne lo stesso giorno 4; il Bruno guadagnato il quatrivio di S. Lorenzo vi si fortificò, e il 5 e il 6 vi sostenne contro le truppe regie rinforzate di altre compagnie di fanti, di cavalleria e cannoni, vivi e ostinati combattimenti, nei quali la virtù e la grandezza dell’idea prevalsero sul numero: i regi costretti a indietreggiare fino ai Leoni, lasciarono sul campo nove tra morti e dispersi e ventuno feriti, fra cui un ufficiale. I documenti borbonici chiamarono il combattimento del 5 “una vera battaglia”; e non potevan meglio tessere le lodi di quel pugno di valorosi, che per tre giorni tennero in scacco forze maggiori e meglio armate.


Luigi Natoli: Fa parte di: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Consegna in tutta Italia, consegna gratuita a Palermo).
Disponibile su Amazon e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79).

Giuseppe Ernesto Nuccio: 04 aprile 1860, il massacro nel Convento della Gancia. Tratto da: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano.

Ma ecco che sul campanile, la voce della campana che chiamava i cittadini s’è spenta, e nella scala è uno scalpore di gente che scende a precipizio. Pispisedda si muove alfine con uno sforzo grande e scorge al sommo della scala a chiocciola alcuni armati. Avanti a tutti ecco Gaspare Bivona e Filippo Patti che scendono guardinghi, curvi, i fucili nella destra. A mezzo la scala si fermano indecisi, quindi, uno dietro l’altro, piegandosi, s’imbucano per una piccola porticina.... L’ultimo, prima di entrare, guata intorno. “Vanno nel soffitto” dice Pispisedda, e torna indietro, scende, attraversa il corridoio; occhieggia oltre gli usci delle celle. I sette monaci sono tuttavia addossati in un angolo, sgomenti, con gli occhi di traverso sull’uscio donde verrà la morte.... Frate Giovannangelo è anche lui nella sua cella e sta ancora a pregare; ma è sereno ora, come aspettando la morte. E Pispisedda corre ancora verso giù. La campana della porta del convento suona alla disperata e quando tace segue il rombo del cannone e il crepitìo delle fucilate.
E Pispisedda scende a precipizio. Perché? Dove va? Non sa nulla, non ha deciso nulla. Non può star più fermo, altrimenti gli scoppia il cuore. Ecco, gli par di scorgere don Ciccio Riso fatto gigante e combatter da solo con un esercito infinito e uccider soldati a montagne....
E Pispisedda corre ancora, impazzato, alla ventura, senza mèta. Eccolo già al piano terreno; attraversa il corridoio; travede il cortile, la porta mezzo sfondata; e, presso la porta, Francesco Riso attorno ad alcuni morti. Pispisedda avanza istintivamente: Francesco Riso carica a stento il fucile; sta per prender la mira; s’ode uno scroscio! una scarica lo coglie, trempella, arranca con le braccia e si piega su se stesso.
Un urlo altissimo segue la sua caduta e fa arretrare Pispisedda. Ecco, ecco i soldati che dànno addosso alla porta, Pispisedda arretra sempre più.... e la porta sobbalza sotto i colpi, si squarcia e l’orda dei soldati irrompe urlando, nel cortile.
Pispisedda balza come un capriolo, rifà il corridoio, s’imbuca per la porticina segreta, e via per Terrasanta, a lanci come un gatto. Presso la panetteria tumultua un nugolo di soldati, ferendo e bastonando i monaci urlanti e gementi; ma Pispisedda non s’arresta, urta, spinge, balza su uno, due soldati, avventando pugni e morsi, infine taglia il gruppo, e, rapidissimamente, come una saetta, balza fuori attraversando altri gruppi di soldati....
Egli si sentiva ora, nell’animo, uno sfinimento grande, come se morta fosse per sempre la bella speranza ch’egli avea curata giorno per giorno con fervore sempre più acceso. E lo prendeva ora il vivo desiderio di morire. Perchè non s’era fatto uccidere là accanto a Francesco Riso ch’era caduto magnificamente come il più bello e il più glorioso paladino? E Pispisedda chiudeva gli occhi; ma il vento portava fino a lui, laggiù, un crepitìo attenuato, come di fucilate esplose dentro il chiuso.
E il ragazzo abbrividiva; intravedendo, con un tremito spasmodico, l’orda dei soldati scagliatisi come un nembo di procella dentro il convento e dilagar per le scale e per i corridoi e le celle, colpendo con le baionette i monaci genuflessi a pregare e gli insorti appostati presso le soglie o negli angoli.
Non potendo resistere all’angoscia, Pispisedda se ne rivenne verso la Gancia.
Salvatore La Placa, nello stesso momento in cui don Ciccio Riso saliva sul campanile, s’era buttato, con la squadra della Magione, in via Vetriera, per riunirsi a quelli ch’erano dentro Terrasanta; ma trovando la via sbarrata dal capitano Chinnici e dai compagni d’arme, anzichè indietreggiare aveva tentato di sfondar la compagnia. Così era cominciato un attacco. Nello stesso tempo Sebastiano Camarrone e Giuseppe Aglio si erano buttati sotto l’arco piccolo di Santa Teresa attaccando e facendo sbandare una compagnia di soldati. Ma Salvatore La Placa, colpito da una fucilata, s’arrovesciava mezzo morto sull’acciottolato. I compagni d’arme sorretti da nugoli di soldati, avanzavano sempre e quelli delle squadre badavano a tener testa sparando.
Salvatore La Placa era caduto fra due fuochi! Se giungevano i soldati lo finivano a baionettate. Ma tosto uscivano da una casetta alcuni palermitani pietosi e lo sollevavano e lo recavano dentro. Aveva uno squarcio nel petto e il sangue abbondava. Bisognava farlo ristagnare; e quelli spaccavano una gallina viva e la premevano sulla ferita.
- Per questo, quando nella fuga avevo cercato riparo dentro la casetta, mi fecero tirar diritto, dicendo che ci avevano un ferito. Era dunque La Placa il ferito – disse Pispisedda.
Sbucaron nella piazzetta del Cavallo marino e don Gaetanino tacque. Porta Felice era chiusa da una folla di soldati e anche il tratto di via Toledo, che correva da Porta Felice a piazza Marina, ne era zeppo.
E venivano altri cittadini a sorbire il caffè e a gettar rapidamente altre notizie: don Ciccio Riso era caduto col ventre squarciato da tre palle e col ginocchio spezzato. Il birro Ferro, vedendolo cadere, gli avea avventato un colpo di baionetta. Dei compagni di Francesco Riso, il primo a cadere ferito era stato Giuseppe Cordone; sporgendosi oltre la porta di Terrasanta per meglio tirar sulla truppa, una palla gli avea trapassato il collo. Il convento e la chiesa erano stati saccheggiati; feriti i monaci fra David, fra Luigi, fra Giovambattista, fra Venanzio; percossi tutti gli altri e i soldati s’eran bevuto nel convento più vino che avevano potuto e avean fatto man bassa di tutto: arraffando ogni oggetto degli altari, delle celle, della sagrestia e delle cantine; usando delle tonache dei frati come di sacchi.
Pispisedda scattava ad ogni racconto di nuova infamia e, infine, non riuscendo a durarla chiamò don Gaetanino per allontanarsi.


Giuseppe Ernesto Nuccio: Picciotti e Garibaldini. Romanzo storico siciliano ambientato a Palermo durante la rivoluzione del 1860. La rivoluzione vissuta e narrata dai ragazzini palermitani.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Bemporad nel 1919. Impreziosito dalle illustrazioni dell'epoca di Alberto della Valle.
Prefazione del dott. Rosario Atria.
Pagine 522 - Prezzo di copertina € 22,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna in tutta Italia, consegna gratuita a Palermo). 
Disponibile su Amazon e tutti i siti vendita online.
In libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro) Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79).

Luigi Natoli: E venne l'alba del 4 aprile... Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

E venne l’alba del 4, dopo una notte che dovette parer lunga alle anime, aspettanti fra le armi il segnale convenuto. Avevano esse il presentimento che il loro segreto era stato tradito?
Forse l’ebbe Francesco Riso, l’aveva avuto anzi qualche giorno prima, quando all’avvocato Pennavaria aveva detto “Ho dato la mia parola, e sebbene son persuaso che nel pericolo mi abbandoneranno, non la ritiro”. Egli ignorava che il convento era bloccato: e nessuno, vedendo tanto apparecchio di milizie, lo avvertì anzi dicesi che nella stessa notte, da qualcuno che mancò al convegno, il Maniscalco fosse stato avvisato dell’imminente rivolta, con un biglietto scritto a matita colorata, che ancora si conserverebbe all’Archivio di Stato fra le carte della polizia. A me non costa; ma fu detto da persona che ebbe l’agio di vedere documenti dell’Archivio, che ora è vietato.
Poco prima dell’alba, Riso mandò qualcuno a esplorare la vicina piazza della Fieravecchia dove doveva essere sparato il mortaretto: il messo la trovò deserta, il che parve cattivo indizio, e scorò qualcuno; ma fu un baleno. Alle cinque del mattino, Riso mandò sul campanile della chiesa Nicola Di Lorenzo e Domenico Cucinotta con bombe all’Orsini, appostò là altri compagni, e si avviò con alcuni de’suoi alla porta d’uscita. Al suo apparire una pattuglia di compagni d’armi in agguato gridò: – Alto, chi va là? – Rispose: – Chi viva? – Viva il re! –Viva Italia! – ribattè il Riso, e tirò due colpi di fucile, che uccisero il soldato Cipollone. Fu il segno dell’attacco. Il Di Lorenzo ed il Cucinotta suonano a stormo le campane; il Riso corre al campanile, e piantata la bandiera tricolore, ritorna giù a sostenere il fuoco: cadono Giuseppe Cordone, Mariano Fasitta, Matteo Ciotta, Michele Boscarello e Francesco Migliore. Agli spari e allo scampanio, accorre per la Vetriera la squadra della Magione: Sebastiano Camarrone e Giuseppe Aglio, audaci, girando sotto l’arco piccolo di S. Teresa, respingono un plotone di soldati; ma invano. Cade Salvatore La Placa, ferito al petto, e raccolto da pietosi e celato, scampa così all’eccidio. Guaritosi appena, corse poi a raggiungere le squadre, combattè il 27 maggio a Porta Carini, e fu ferito alla gamba.
La squadra della Zecca, uscita anche essa, trovatasi di fronte al grosso della truppa, e non potendo affrontarla si disperse.
Tra il fumo, gli spari, gli urli, parte della squadra ripara nel convento. Il Riso grida energicamente: “Coraggio; la città sta per insorgere; sostenetemi tre ore di fuoco, e saremo salvi”.
E intanto le campane squillavano sulle fucilate, e pareva chiamassero disperatamente la città, che o impreparata o sgomenta non si moveva, e lasciava compiere il sacrificio; squillavano, terribile voce di libertà, non ostante la sconfitta. ll generale Sury appunta i cannoni contro il campanile per far tacere le campane: atterra la porta del convento con gli obici, e allora i regi, fanti, cacciatori, artiglieri, compagni d’arme si lanciano all’assalto. Per snidare gl’insorti, il tenente Bianchini porta a braccia un obice sul piano superiore del convento. Gl’insorti si sbandano: Giuseppe Virzì e Bartolomeo Castellana, sbarazzatisi delle armi, si buttan dall’alto e si rompono le gambe: raccolti da buona gente e occultati, e dopo alcuni giorni portati all’ospedale come muratori precipitati da una fabbrica, così scamparono alla strage. Francesco Riso, colto da quattro palle al ventre e al ginocchio cade. La sua caduta mette fine alla resistenza.
Padroni del convento, le soldatesche del pio re si sfogarono in inutili violenze e col saccheggio. Uccisero di piombo il padre Giovannangelo da Montemaggiore; ferirono i frati David da Carini, Luigi e Giovambattista da Palermo e Venanzio da Sampiero; gli altri schiaffeggiarono, percossero, sputarono; depredaron tutto quel che trovarono, perfino il vasellame sacro, disperdendo le ostie consacrate nelle quali pur credevano. Caddero in poter loro alcuni insorti: testimoni oculari narrano di un birro, che rubato l’orologio al Riso, caduto per terra, lo ferì di baionetta all’inguine; e di un altro che finì ferocemente un giovane insorto ferito e impotente a muoversi.
Il Riso, posto sopra una carretta, fu trasportato all’ospedale di S. Francesco Saverio; ove giunto, all’infermiere Antonino Gallo, che scrivendone nei registri – come per legge – nome, paternità, gli domandava della professione, rispondeva: “Congiurato”; e non intendendo l’altro, e ripetendo la domanda, egli riconfermava: “Congiurato: cospiratore per la libertà del mio paese”.
Gli altri insorti presi, feriti, pesti, legati a due a due in catena coi frati, stretti fra gendarmi, fanti, compagni d’armi, furono trascinati parte alla prefettura di polizia, parte al comando di Piazza, dove ora è il tribunale militare; ed ivi trasportati anche i due cannoncini di ferro esagonale, lance, bombe, fucili trovati nel magazzino, e dicono, un cannone di legno, la cui esistenza è però fieramente contestata da testimonianze assai gravi. Vani trofei di una vittoria ottenuta col tradimento, per forza di numero, della quale la Giustizia segnava nei suoi libri la vicina irrevocabile vendetta.


Luigi Natoli: Fa parte di: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Consegna in tutta Italia, consegna gratuita a Palermo).
Disponibile su Amazon e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79).