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mercoledì 17 luglio 2024

Luigi Natoli: Il battaglione Corrao e I Figli della Libertà nella battaglia di Milazzo. Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento

Sceso sulla strada, il Gene­rale ordinò al Missori di spingere all'assalto parte del battaglione Dunne, i giovanetti figli della Libertà, che fremevano, come puledri che urtano allo stabio, per cor­rere nei campi.
Al batter della carica, quei giovinetti si lanciarono contro la mitraglia. Il fuoco del nemico si concentrò sopra di loro, seminando la morte nelle loro file; ma nulla tratteneva quei lioncelli, l’ardimento dei quali parve mirabile allo stesso Garibaldi. 
Qualche mese in­nanzi, laceri, sporchi, oziosi, predestinati al carcere o all'ospedale, alunni del vizio, quei giovanetti, di cui i più vecchi non toccavano ancora diciotto anni, erra­vano per le vie e le piazze di Palermo; la rivoluzione li redimeva, li nobilitava, insegnava loro la grande virtù del sacrificio, ne faceva degli eroi. Superando siepi e canneti, arrampicandosi sui muri, lasciando parte di loro per la via, respinsero i vecchi e fieri cacciatori, si impadronirono del cannone.
Qui avvenne l'episodio della cavalleria, variamente raccontato dagli storici, nel quale ogni attore vide e magnificò il proprio gesto. Raccogliendo le varie redazioni, parmi poter qui ristabilire la verità, dando a ciascuno il suo.
Per incoraggiare i giovani volontari siciliani, Gari­baldi era disceso a piedi sulla strada, con Missori, che era ritornato al suo fianco. Non è vero che c'era anche Statella; Statella, ferito poco innanzi, era stato portato nelle ambulanze. I giovanetti e i cacciatori siculi si affrettavano a trainare il cannone, quando le file bor­boniche si aprirono, e diedero il passo allo squadrone della cavalleria, che si lanciò all'assalto per riprendere il pezzo. Nuovi, anzi inesperti alla scherma contro la cavalleria, i volontari presi da momentaneo sgomento, invece di opporre un forte gruppo, si aprirono in due, forse con l'intenzione di sbandarsi ai lati dello stradale: ma lo stradale era fiancheggiato da fitte siepi di fichi d'India, che impedirono la fuga; costretti da questo ostacolo, per difendersi si voltarono; la voce dei capi, li incoraggiò.
I cacciatori a cavallo, per l'angustia della strada non potevano galoppare a squadrone serrato, ma un dietro l'altro.
Giunsero tra le due file, e i primi non potendo per l'impeto del galoppo, frenare in tempo i cavalli, tra­scorsero oltre le linee; ma da una parte e da l’altra le scariche dei giovani volontari, atterrando cavalli e cava­lieri impedirono al resto d'avanzarsi. Circa venticinque cacciatori col capitano Giuliani e il luogotenente Faraone rimasti tagliati fuori, si affrettarono a tornare indietro. Il tenente Rammacca si para innanzi per affrontarli; il capitano Giuliani gli cala un fendente, che vien parato da un cacciatore siculo. Il sergente Santi Tumminello affronta il tenente Faraone, e con un colpo di baionetta alla gola lo rovescia da cavallo, gli toglie la spada, il revolver e il cavallo.
Il Giuliani, si lancia sopra Garabaldi, e alla intima­zione di arrendersi risponde con un fendente, Garibaldi para il colpo, e afferrato il cavallo per la briglia, dà un colpo di punta alla gola del Giuliani e l’uccide. Mis­sori fa fuoco col suo revolver sopra due altri cavalieri, e li atterra, sebbene i documenti borbonici affermino in modo assoluto, che i cacciatori a cavallo uccisi in quell'episodio furono tutti feriti di arma bianca.

La storia raccolse il gesto del Missori, per la noto­rietà del prode e audace comandante delle guide: non raccolse quello degl’ignoti giovanetti di Corrao e di Dunne, di quei “Picciotti” che aspettano ancora lo sto­rico il quale raccolga, illustri e glorifichi gli episodi di valore e d'eroismo da loro offerti in gran copia, e senza vanità. Eppure la lettera del Dumas al Carini non tace quel che essi fecero; ed essa è confermata dalle rela­zioni Corrao e Rammacca, scritte allora allora. Si vegga dunque quanto sia veritiera l’epigrafe dettata dal Pascoli.
Stupirono i figli della Libertà per lo slan­cio all'assalto e per la resistenza al fuoco. Quando due mesi dopo Garibaldi si apparecchiava per muovere sopra Capua, volle con sè due battaglioni dei nostri giovinetti, e li fece trarre dall'istituto eretto in Palermo nel giu­gno e diretto allora da Alberto Mario.
- A Milazzo – disse al Mario – ho veduto come si battono questi demoni....
E fino agli ultimi suoi anni il valoroso sir Dunne ricordava i “Picciotti” del suo battaglione; e venendo in Italia non tralasciava di domandare se ve ne fos­sero ancora vivi. Fino a pochi anni or sono ce n'erano ancora, e nell'ombra dell'oblio e della povertà si gloria­vano d'essere stati di quel battaglione; e uno dei super­stiti era un Raimondi, reso popolare da un giornaletto, che ignorava forse come pel valore spiegato a Milazzo, il piccolo Raimondi era stato promosso caporale sul campo.
Ma nessuno fuor del Dumas ha consacrato una parola agli eroici giovinetti di Dunne mietuti dalla mitraglia, nè ai cacciatori di Corrao, tre volte ostina­tamente andati all'assalto, e alle cui baionette si deve se Garibaldi non cadde sotto l’impeto della cavalleria borbonica.
Non un marmo dedicato alla virtù di questi oscuri eroi, che la nostra irriconoscenza, la nostra inferiorità civile, ha lasciato sepolti nell'ignoranza! E soltanto per questo, narrando della giornata di Milazzo, io mi son trattenuto a rievocare la parte presavi dai Siciliani, non lieve, nè secondaria. E non per gretto campanilismo, ma per sentimento di giustizia, tanto più doveroso, in quanto anche oggi, con tanto lume di documenti, si ripetono e si consacrano errori, e si perpetuano omissioni e silenzi imperdonabili.


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Macqueda 185)

Luigi Natoli: L'inglese Dunne costituiva un battaglione di ragazzi, che chiamò "I figli della Libertà". Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento

Già altre milizie nel fervore di quei giorni s’an­davan formando; e a preparar futuri soldati e sottouf­ficiali volgeva l’animo il Dittatore fra le cure del go­verno.
Essendo giunto in quei giorni Alberto Mario con la moglie Jessie Withe, Garibaldi gli diede incarico di istituire un istituto o collegio militare, per raccogliervi tutti i ragazzi orfani o randagi o abbandonati a sé stessi; destinati forse ad accrescere il numero dei delinquenti, salvati o redenti ora dal nobile fine a cui Garibaldi li chiamava. Il Mario si mise all’opera alacremente, e ben presto il collegio accolse un migliaio di giovanetti, i più vecchi dei quali non avevano diciassette anni: li vestì, li disciplinò, li istruì. Il collegio prosperò; un mese dopo accoglieva altri mille giovanetti, ne formò due battaglioni che diedero esempio maraviglioso di eroismo.
Contemporaneamente l’inglese Dunne, grande e fer­vido amico dell’Italia, a sue spese costituiva un bat­taglione di ragazzi e giovinetti della strada, che chiamò “i figli della Libertà” e li vestì di bianco, li armò di fucili scelti, e ogni giorno li conduceva al campo, eser­citandoli; sicché in breve di quei giovanetti, fin allora vissuti nell’ozio e nell’ignavia, fece dei cittadini e soldati che stupivano per arditezza d’aspetto e spirito di di­sciplina, e che più tardi a Milazzo fecero prodigi di valore...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
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mercoledì 26 giugno 2024

Luigi Natoli: La morte di Raffaele De Benedetto e di Giuseppe Mazzini. Tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo.

Tra i processi che si dilungarono e che si chiusero con la condanna alla fucilazione di tre rivoltosi e molti a pene minori, ebbe luogo la campagna garibaldina del 1867 per la conquista di Roma, con il suo epilogo di Mentana. Alla Sicilia costò la vita di Raffaele De Benedetto, colpito in fronte, cui furono rese solenni onoranze; gli fu innalzato un monumento in San Domenico di Palermo, dove è sepolto con la madre e coi fratelli Pasquale e Salvatore. 
Dopo l’impresa di Roma del 1870, furono promulgate le leggi eccezionali contro il brigantaggio, che sollevarono in tutta l’Isola viva agitazione, ritenendosi quelle leggi un’offesa, poichè a distruggere il brigantaggio sarebbero bastate le leggi comuni e una Pubblica Sicurezza ordinata.
La morte a Pisa di Giuseppe Mazzini (10 marzo 1872) sollevò un gran cordoglio in tutta l’Isola. Con la morte di Vittorio Emanuele II e poi di papa Pio IX, a distanza di un mese, sparivano le più grandi figure del Risorgimento e con loro le grandi divisioni di partito, che si erano formate nell’Isola.
Il sesto centenario della rivoluzione del Vespro fu celebrato con dignitosa prudenza verso la Francia e con una magnificenza mai vista, prendendovi parte tutti i comuni dell’Isola con i propri gonfaloni, e a cui aggiungeva splendore la presenza di Garibaldi, che prima di morire volle visitare i luoghi gloriosi delle sue gesta. Infatti l’Eroe morì il 2 giugno di quell’anno 1882.
A Catania il deputato De Felice aveva organizzato vaste associazioni di uomini e donne, detti «fasci di lavoratori» che si erano diffuse in tutta l’Isola. Nel 1893 insorsero, si disse che sarebbero state seguite nella rivolta dalle altre associazioni della terra ferma. Il pericolo era grande ed imminente. Così si ricorse a Francesco Crispi, già segnalatosi per il suo valore di vero e profondo uomo di Stato, quale non si era avuto dopo Cavour. Egli, salito al potere, soffocò con prontezza i moti e riportò il paese nella legalità.
Dopo di essere stato più volte a capo del governo e di avere con mente acuta e lungimirante provveduto perchè l’Italia all’estero acquistasse l’importanza di grande nazione, Francesco Crispi cadde sotto la valanga di calunnie che sopportò con animo grande, nobilmente fiero.
I successori disfecero quello che egli aveva fatto, ridussero l’Italia in condizioni peggiori tra mezzucci e traffici di politica interna, finchè venne la guerra contro l’Austria, che fu una volta ancora cementatrice dei sentimenti nazionali, fecondi in ogni tempo delle più larghe fortune dell’Isola...
(Nella foto: Raffaele De Benedetto) 


Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo. L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato dalla casa editrice Ciuni nel 1935.
Pagine 509 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
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Luigi Natoli: L'arresto di Giuseppe Badia e la rivolta del Sette e Mezzo. Tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo.

Nel 1865 fu arrestato Giuseppe Badia, ex colonnello garibaldino repubblicano che si diceva a capo delle bande. Ma i tumulti si rinnovarono e crebbero con la legge di soppressione delle corporazioni religiose, che, spostando interessi, gettava sul lastrico nuove famiglie avvezze a vivere su di essa.
Parve agli anonimi oppositori del regime giunto il momento della rivolta, ma prevalse il concetto di aspettare che il Governo fosse impegnato nella guerra, che pareva imminente, per potere essere più sicuri della riuscita. Scoppiò la terza guerra per l’indipendenza nazionale contro l’Austria; e Palermo, approfittando che le truppe erano occupate sul campo nell’Alta Italia, insorse.
Le cause della rivolta sono da ricercare nella profonda insofferenza della popolazione; difficile è però trovarne gli autori: i borbonici da soli, pel loro fine, non potevano, i repubblicani non avevano seguito; la notizia che una loggia massonica avrebbe coordinato il moto di Palermo con quello che sarebbe scoppiato a Genova, è molto incerta. Certo si è che la vigilia del 16 settembre 1866 le bande della campagna erano già pronte e che quel giorno si presentarono al prefetto Torelli alcuni egregi cittadini per scongiurarlo di «battere la generale» e chiamare la Guardia nazionale alle armi, perchè le bande erano alle porte della città. Il prefetto disse che non valeva la pena di disturbare tanti padri di famiglia per un attacco di contrabbandieri. 
Le stesse cose dichiarò il questore Pinna, con assoluta incomprensione del momento.
L’indomani all’alba le bande entrarono in Palermo e per sette giorni la tennero. C’era un comitato di persone presieduto dal principe di Linguaglossa, costretto dalle bande, c’erano degli uomini di nessuna autorità che facevano sventolare una bandiera al grido di Viva la Repubblica, ma senza averne coscienza.
Il giovane marchese Rudinì, sindaco di Palermo, tentò di opporsi con poche guardie che accorsero spontaneamente, ma fu costretto a ritirarsi al Palazzo Reale. Gli insorti saccheggiarono qualche casa, ma in verità non sapevano e non vedevano dove la rivolta giungesse; e all’ultimo quelli che credevano capi fuggirono e li lasciarono soli contro i rinforzi, che, dato l’assalto alle barricate, domarono la città.
Non mancarono le fucilazioni senza processo; undici cittadini presi a caso furono addossati al muro e passati per le armi. Ma furono i soli. Cominciò la reazione; il generale Cadorna accusò il cardinale Naselli; furono arrestati cittadini illustri come Benedetto d’Acquisto, vecchio ottantenne, filosofo, il principe De Spuches, traduttore di Euripide, e altri cittadini come componenti del moto; si imbastì una relazione firmata dal Cadorna che riversava tutta la responsabilità sui borbonici e sui frati. Il moto di Palermo rimase isolato e non ebbe seguito in nessuna parte della Sicilia. Gli atti di crudeltà attribuiti a qualche comune sono leggenda.


Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo. L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato dalla casa editrice Ciuni nel 1935.
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Luigi Natoli: La notte dei pugnalatori e la morte di Giovanni Corrao. Tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo.

La notte del 1° ottobre quattordici cittadini venivano pugnalati alle spalle, nelle vie di Palermo. Il fatto produsse terrore; si indagò, si trovarono le mani omicide, ma non si trovò chi le aveva armate. I sicari non seppero indicare, nè dare una traccia per mettere la giustizia in grado di scoprire i mandanti. Certi Casselli, Musocco e Calì furono ghigliottinati sulla sola testimonianza di un certo D’Angelo, altri ebbero pene gravi. Si disse e si credette che il tentato assassinio fosse opera del partito borbonico, ma non sembra che i maggiori rappresentanti di esso in Palermo fossero a conoscenza di ciò.
L’altro assassinio, alcuni mesi dopo, fu commesso su Giovanni Corrao, e fu politico, sebbene altro se ne dica. Il Corrao era diventato il capo del partito repubblicano ed era assai temuto. Gli fu sparato alle spalle, si disse per una questione di acque irrigue, ma i sicari non furono scoperti: la famiglia però ne seppe i nomi e, a quanto si dice, uno dei mandanti in punto di morte confessò di aver preso parte a tramare l’assassinio.
Durante il 1863 aumentò il malessere alimentato dai repubblicani che credevano tradita la causa nazionale, dalla fazione borbonica che approfittava per accrescere le file dei malcontenti, e dagli autonomisti. Ma più ancora dalla Pubblica Sicurezza che impotente contro il brigantaggio, lasciava i cittadini in balia dei malfattori.
Il brigantaggio che ai tempi di Maniscalco era stato debellato, ora aveva ripreso il dominio della campagna e costituiva un pericolo permanente. Triste storia che si dilungò per più di trent’anni. Ma oltre al brigantaggio vi erano anche bande armate che si aggiravano intorno alla capitale, ed avvenivano tumulti qua e là. La polizia temeva una insurrezione e arrestava il fiore dei patriotti pel solo fatto che non approvavano l’indirizzo del Governo.


Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo. L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato dalla casa editrice Ciuni nel 1935.
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Luigi Natoli: Cosa accadde dopo l'annessione e la "presa di possesso" del Governo regio... Tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo.

Con l’annessione e la presa di possesso del Governo regio, si chiude la storia di Sicilia come entità politica a sè. La sua vita d’ora innanzi si fonde con quella nazionale; tuttavia è doveroso accennare a qualche episodio e avvenimento particolare.
I primi anni del nuovo regime non furono quali avrebbero dovuto essere per guadagnare l’animo delle popolazioni. Fu fatto il contrario di quanto aveva proclamato il 1° dicembre la parola del Re. Invece della promessa concordia si seminò odio; invece di un governo di riparazione e di «una amministrazione che restaurasse i principii morali di una società bene ordinata» si impose un governo militare; invece di far «rifiorire le fertilità del suolo, i suoi commerci, le attività della sua Marina» si fecero desiderare e stentare poche diecine di chilometri di strada ferrata, e non si provvide a strade e ponti. Non si pensò neppure di far sentire i benefizi di un governo nazionale, la cui opera si svolse soprattutto e con ogni sforzo per fare dimenticare alla Sicilia che spontaneamente con votazione plebiscitaria aveva voluto l’unità nazionale, per considerarla come paese conquistato e restìo al nuovo assetto.
Si fabbricò una storia, si soppresse tutto ciò che i Siciliani avevano fatto, si dimenticò che nei momenti più tristi erano stati i Comuni della Sicilia a sovvenire Garibaldi di somme, di viveri, di vestiti, di tutto, e che nel periodo che corse dal 15 maggio alla invasione delle Calabrie, Garibaldi aveva tratto dall’Isola i mezzi per la guerra. La sola città di Catania diede tremila volontari e duecentotrentottomila lire e mantenne a sue spese la brigata Eber. Si tacque e si negò la parte presa dai Siciliani ai combattimenti di Calatafimi, di Palermo, di Milazzo. E per ottenere questo si cominciò col proibire ogni manifestazione anche teatrale, ove figurassero fatti e personaggi garibaldini; si proibì l’inno di Garibaldi, e si perseguitarono tutti coloro che rimanevano fedeli al Dittatore e al suo programma unitario.
Istituita la luogotenenza, si diede alla Sicilia un Consiglio del quale furono parte principale il La Farina e il Cordova, i quali vennero a esercitarvi le loro vendette personali contro gli uomini di parte avversa. Questo stato di cose fu denunziato alla Camera, e raggiunse tale gravità che il Governo stesso fu costretto a richiamare il La Farina. 
L’applicazione della coscrizione obbligatoria diede luogo a nuovi incidenti; e ben presto si delineò un attrito fra i cittadini e l’esercito.
Nel giugno del 1862 vennero a Palermo i Principi Reali accolti con grandi feste; e poco dopo, il 28, sbarcò improvvisamente Garibaldi accompagnato da pochi. Qui egli, crucciato ancora per il fatto di Sarnico, concepì il disegno di intraprendere la marcia su Roma. Infatti dopo avere inaugurato col Principe Ereditario il Tiro a segno nazionale, quando il Principe fu partito, approfittando di una rivista della Guardia nazionale, Garibaldi lanciò al popolo un discorso contro Napoleone III, la cui politica contrastava Roma all’Italia. Era prefetto Giorgio Pallavicino, suo pro-dittatore a Napoli, il quale con la sua presenza accanto a lui rese credibili quei segreti accordi che si dicevano intercorressero tra il Governo e Garibaldi. A Marsala, dove Garibaldi si recò per visitare il luogo del suo sbarco, riprese con maggiore violenza le sue invettive contro il monarca francese, e trovato il grido Roma o morte! ne fece il motto fatidico per la campagna.
Il Rattazzi, che si trovava al potere, lasciò fare da principio, ma alle rimostranze della Francia accettò le dimissioni del Pallavicino, sostituendolo col generale Cugna; ma non fermò gli arruolamenti, le armi e la preparazione delle divise, nè arrestò Garibaldi e i suoi compagni, nè più tardi circondò il bosco della Ficuzza, dove Garibaldi indisturbato aveva posto il concentramento dei suoi.
Accorsero a lui da ogni parte volontari, più numerosi i Siciliani, quasi due terzi, e non mancarono soldati e sottufficiali dell’esercito.
Non ascoltando i consigli di quanti vedevano il pericolo dell’impresa per l’Italia e gli ammonimenti dei deputati Mordini, Cadolini e Calvino, Garibaldi entrò in Catania, e, impadronitosi dei due piroscafi l’Abatucci e la Depêche, sbarcò a Melito il 26 di agosto, lasciando in Sicilia la colonna Trasselli che non aveva fatto in tempo ad unirsi con lui.
Il Governo allora nominò R. Commissario il generale Cialdini che sapeva avversario di Garibaldi, e nel contempo con un proclama del Re sconfessava l’impresa e dichiarava i Garibaldini fuori legge e li accumunava coi briganti.
Il 29 avvenne il fatto di Aspromonte. Comandava le truppe il colonnello Pallavicino, che circondò i Garibaldini che avevano ricevuto ordine di non sparare. Solo dalla parte di Corrao i picciotti respinsero le truppe, ma subito dopo fu dato l’ordine di «Cessate il fuoco» e i volontari furono bersaglio dei fucili delle truppe. Garibaldi fu ferito sopra il malleolo. Fu intimata la resa; l’illustre ferito fu portato a spalla dai suoi compagni e imbarcato fu trasportato a Varignano; i Garibaldini furono internati nelle fortezze del Piemonte. La colonna Trasselli fu sciolta, alcuni volontari furono arrestati a Fantina, nell’agro messinese, e sette furono fucilati.
La notizia del ferimento di Garibaldi sollevò indignazione in tutta l’Italia e principalmente in Sicilia, dove, non ostante lo stato d’assedio, avvenivano tumulti. Il Governo se ne fece un’arma: cominciarono allora gli arresti in massa e i Garibaldini furono accomunati ai delinquenti. I patrioti furono perseguitati e con tali violenze non si fece altro che spegnere ogni fede nel nuovo regime.


Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo. L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato dalla casa editrice Ciuni nel 1935.
Pagine 509 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile: 
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), La Nuova Bancarella (Via Cavour)

mercoledì 19 giugno 2024

Luigi Natoli: L'esercito meridionale oltrepassava i novemila uomini e aveva il consentimento di tutta l'Isola... Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione

Lo stesso giorno in cui le truppe regie lasciavano Palermo, vi giungeva Nicola Fabrizi con 1500 fucili e munizioni. Garibaldi aveva mandato Salvatore Castiglia a Malta per rilevarlo; e il Castiglia aveva adempiuto la sua missione, felicemente sbarcando a Pozzallo e di lì venendo a Palermo. Giungeva anche, per la via di Monreale, Carmelo Agnetta, siciliano, a capo di una spedizione, che fu detta a ragione, “la retroguardia dei Mille”. Erano sessantasei volontari, vestiti ed equipaggiati militarmente e con buone armi; il maggior contingente esuli siciliani. La spedizione era stata da prima promossa, disposta e ordinata dal barone Prinzi e dai fratelli Burgarella, esuli da Trapani dopo i fatti del 4 aprile; i quali avevano noleggiato il vapore Utile, con gli aiuti del Comitato, e mercé la garanzia di trentanovemila lire depositate del suo dal conte Michele Amari. Ma pretendendone il comando Enrico Fardella, fratello del marchese di Torrearsa, il Prinzi e i Burgarella, sdegnati rinunciarono e si allontanarono. Il dissidio dispiacque al Medici, al La Farina, all’Amari; ma in quei giorni stessi era arrivato a Genova Carmelo Agnetta, al quale fu, di comune accordo, dato il comando della spedizione. Carmelo Agnetta, antico cospiratore e combattente nel 1847 in Messina e nel 1848 in Palermo; mercante di arance nei pressi dell’Opera, a Parigi, nell’esilio; condottiero di un corpo franco nel ‘59, era arrivato a Genova troppo tardi per partire con Garibaldi. Chiesto di partire con quel manipolo, n’ebbe con entusiasmo il comando. L’Utile salpò da Genova il 25 maggio; superato ogni pericolo di crociera, dopo una sosta a Cagliari, ripartì per Marsala; dove sbarcate le armi, i volontari si vestirono delle uniformi, e rifacendo il cammino dei Mille, per Salemi, Alcamo, Partinico e Monreale, scesero a Palermo, dove Garibaldi, già consapevole li aspettava.
Ma già altre milizie nel fervore di quei giorni s’andavan formando; e a preparar futuri soldati e sottoufficiali volgeva l’animo il Dittatore fra le cure del governo. Essendo giunto in quei giorni Alberto Mario con la moglie Jessie Withe, Garibaldi gli diede incarico di istituire un collegio militare, per raccogliervi tutti i ragazzi orfani o randagi o abbandonati a sé stessi; destinati forse ad accrescere il numero dei delinquenti, salvati o redenti ora dal nobile fine a cui Garibaldi li chiamava. Il Mario si mise all’opera alacremente, e ben presto il collegio accolse un migliaio di giovanetti, i più vecchi dei quali non avevano diciassette anni: li vestì, li disciplinò, li istruì. Il collegio prosperò; un mese dopo accoglieva altri mille giovanetti, ne formò due battaglioni che diedero esempio maraviglioso di eroismo.
Contemporaneamente l’inglese Dunn, grande e fervido amico dell’Italia, a sue spese costituiva un battaglione di ragazzi e giovinetti della strada, che chiamò “i figli della Libertà” e li vestì di bianco, li armò di fucili scelti, e ogni giorno li conduceva al campo, esercitandoli; sicché in breve di quei giovanetti, fin allora vissuti nell’ozio e nell’ignavia, fece dei cittadini e soldati che stupivano per arditezza d’aspetto e spirito di disciplina, e che più tardi a Milazzo fecero prodigi di valore.
Altre spedizioni ebbero luogo in quei giorni di giugno che parvero veramente la messe della bella gioventù di Italia. Le più importanti furono quella del Medici, già preannunciata dall’Agnetta e dal barone Prinzi, e quella del Cosenz.
Giacomo Medici, l’eroe della famosa difesa del “Vascello”, nel 1849, compagno di Garibaldi, cuor di leone, ma cervello positivo, non aveva voluto seguire le prime spedizioni, dubitando dell’impresa; aveva preparate e ordinate le altre, e ora si poneva a capo di circa 2000 uomini, avanzo delle battaglie per l’indipendenza, reclutati in Lombardia, in Piemonte, in Liguria la più parte. Circa un migliaio di essi erano stati raccolti e messi in ordine in Milano, da Filippo Migliavacca, al quale la morte serbava la ghirlanda degli eroi a Milazzo. A questo migliaio si unirono i volontari piemontesi e liguri, e tutti s’imbarcarono in due piroscafi americani, il Washington e l’Oregon. Partirono questi prodi da Genova, vestiti, armati, disciplinati militarmente; e raggiunti dal Franklin, su cui si erano a Livorno imbarcati con Vincenzo Malenchini 900 volontari toscani, si ordinarono su quattro battaglioni e dieci compagnie, una delle quali comandata dall’inglese Peard, altre dal Guerzoni, dal Cadolini, dall’Ondes.
Protetti dalla flotta sarda, giunsero a Cagliari, dove aspettarono per quattro giorni l’Utile, su cui s’era imbarcata una nuova spedizione: indi salparono per la Sicilia, e approdarono a Castellammare del Golfo, dove Garibaldi si recò a incontrarli. La colonna Medici, attraversate come in una marcia trionfale Alcamo, Partinico, Monreale, entrò in Palermo sotto una pioggia di fiori e fra gli applausi della popolazione.
Altre spedizioni avvennero, comandate dai maggiori Gualtieri, Curcì e Siccoli: quest’ultimo, un veterano dell’America, aveva raccolto gli avanzi della colonna Zambianchi da Garibaldi mandata, senza profitto nello Stato Pontificio; e ad essa si unirono altri esuli siciliani, che non eran potuti partire con le spedizioni Agnetta e Prinzi e con quella di Medici, e tra essi Paolo Paternostro. Altri gruppi di volontari venivano alla spicciolata, e uno notevole di circa quattrocento col piroscafo The City of Aberdeen.
L’esercito meridionale oltrepassava oramai i novemila uomini; aveva cannoni, armi, denari, ed aveva il consentimento di tutta l’isola e la rivoluzione in ogni città, in ogni villaggio, in ogni palmo di terra: le truppe conservavano ancora i nomi originari, o pigliavan nome dai comandanti; ed eran vari di uniformi. 
I Cacciatori delle Alpi, ingrossati dalle nuove spedizioni e che formavano la brigata Medici, vestivano una specie di camiciotto rosso, stretto alla vita dal cinturino, calzoni neri, cappello alla calabrese con piccola piuma: la fanteria di linea camicia rossa calzoni di tela, berretto rosso, con mostre verdi; i carabinieri genovesi avevano l’uniforme turchino; i Cacciatori dell’Etna, quasi tutti siciliani, avevano camiciotto color caffè con mostre rosse, berretto rosso, calzoni di tela; la cavalleria giubbetto rosso, calzoni bigi, berretto rosso con ricami d’argento; il reggimento toscano del Malenchini vestiva il camiciotto turchino delle guardie nazionali: il battaglione Dunn detto dei “Figli della Libertà” vestiva di bianco con le rivolte viola scuro, in capo piccolo berretto tondo senza visiera, rosso con un ricamo bianco; l’artiglieria e il genio avevan le stesse uniformi dell’esercito piemontese.
Ma oltre a queste truppe altre se ne venivano ordinando e organizzando per completare altre brigate di fanteria; si formava la cavalleria, al cui comando era preposto il marchese della Cerda: sei nuovi battaglioni di Cacciatori dell’Etna; e s’erano aperti gli arruolamenti pei battaglioni Badia, Ponesberg e Bolza, tutti di siciliani. E v’erano anche dodicimila uomini di guardia nazionale, in colonne mobili, col La Masa; i quali con le duecento guardie di sicurezza interna e lo squadrone dei compagni d’arme avevano l’incarico di ristabilire e tutelare l’ordine.
Quanto alla marina essa contava già tre navi; una era il Veloce, ribattezzato col nome del valoroso Tuköry, le altre due erano l’Alba e il Duca di Calabria, anch’esse navi napoletane, catturate dai nostri.
Non tutte queste milizie, formatesi fra il giugno e i primi di luglio si agglomeravano in Palermo...
(Nella foto Giovanni Corrao) 


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Macqueda 185)

Dal diario di Antonio Beninati: 19 giugno 1860. Questa è la prima giornata che si grida senza essere investiti da una palla... Tratto da Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860


19 giugno – Questa mane di buon’ora le musiche percorrono la Città; non vi è apertura o balcone nel Toledo, né nella via Macqueda, dove non sventoli una bandiera a tre colori; si grida come ossessi “Viva Italia, V. E., Garibaldi!” Le musiche suonano gli inni del 1848 e quello di Garibaldi: tutta Palermo è fuori casa; si attende la scarcerazione dei Signori: Padre Lanza, Monteleone, Niscemi, Giardinelli, Cesarò, S. Giovanni e Riso. Questa è la prima giornata che si grida senza il timore di esser investiti da una palla, o schiacciati da una bomba. 
La gioia è sul volto di tutti, è un abbracciarsi a vicenda. In questo momento non esistono più classi sociali: siamo tutti fratelli, si preparano fiori per versarli sui liberati.
Verso le ore 21 una fiumana di popolo si vede ai Quattro Canti che circonda le vetture; dai balconi si versano fiori, si agitano le bandiere; le donne battono le mani e sventolano i fazzoletti: le vetture con i liberali procedono a passo. Nel piano del Palazzo il popolo applaudisce ai prodi.
I nobili salgono a Palazzo, Garibaldi stringe loro la mano e si congratula, chiamandoli giovanotti, e soggiunge: “La vostra liberazione costa parecchi milioni”. Queste parole del Dittatore non furono rilevate nel loro vero senso.




Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15%, consegna a mezzo corriere in tutta Italia).
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Dal diario di Antonio Beninati: 18 giugno 1860. Muore Pietro Piediscalzi, capo della squadra di Piana dei Greci. Tratto da: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860

Stamane mi sono incontrato con Brancato, il quale con le lagrime agli occhi mi raccontò la morte di D. Pietro Piediscalzi, quello stesso che nello scorso mese dicevasi avesse sciolta la propria squadra; ed invece combatteva! Io lo conobbi; bellissimo uomo e gentilissimo di forme, poveretto! Non ebbe il piacere di assistere al trionfo della rivoluzione.
Si parla di marciare per Messina, gli uomini non mancano, ma i fucili, i cannoni? Ebbene, penserà Garibaldi.

Pietro Piediscalzi, infaticabile, ardente, si unì tosto con loro e ricostituì la squadra di Piana dei Greci, che poi tenne, fino alla morte, ai suoi ordini, pagandola del suo (Luigi Natoli)



Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
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mercoledì 12 giugno 2024

Luigi Natoli: L'intenvento di Cavour a Palermo con Giuseppe La Farina. Tratto da: La rivoluzione siciliana nel 1860

 
Il Re, che segretamente aveva favorito la spedizione, mandava somme della sua cassetta particolare. Ma il conte di Cavour, pur aiutando l’insurrezione, fisso nella sua paura che il partito repubblicano la rivolgesse a proprio profitto, diffidando sempre, e a torto, di Garibaldi e degli uomini che lealmente lo circondavano e lo coadiuvavano, e infine temendo che la marcia di Garibaldi sul Napoletano creasse impicci al governo piemontese: tentò di impadronirsi della rivoluzione, affrettando l’annessione della Sicilia al regno di Vittorio Emanuele: il che gli avrebbe dato il diritto di farla occupare dalle truppe regolari, e avrebbe posto fine al governo della Dittatura e alla campagna. A tal uopo spedì con sue istruzioni in Palermo Giuseppe La Farina; che vi giunse il 7 giugno, lo stesso giorno in cui i regi sgombravano la città: e tosto si dava a brigare, per mettere in cattiva luce gli uomini di governo, dei quali si era circondato Garibaldi, e segnatamente il Crispi, che gli pareva l’ostacolo maggiore ai disegni di Cavour.
Incominciò egli a istigare i comuni dell’isola a chiedere la sollecita annessione al Piemonte, diffondendo in segreto che Garibaldi e Crispi intendessero proclamare la repubblica; con che, priva di appoggi e di simpatie, la Sicilia sarebbe inevitabilmente ricaduta sotto il Borbone. Egli stesso faceva stampare e affiggere dovunque cartelli con le parole: “Vogliamo l’annessione al regno costituzionale di Vittorio Emanuele”, perché sembrassero manifestazioni della volontà popolare: e un suo fedele prezzolava monelli e facchini di piazza per far dimostrazioni. Ben 300 comuni, illusi dalle insinuazioni del La Farina e dei suoi agenti, inviarono indirizzi su quel tenore; e lo stesso Consiglio civico di Palermo, nel quale il La Farina contava amici, nella seduta del 17 giugno, dopo aver reso omaggio al Dittatore e ai suoi compagni d’arme, e decretato loro onoranze di medaglie e di cittadinanza, come già avevano fatto altri municipii (primo fra tutti Partinico), votava un indirizzo, eco del desiderio comune, perché si dichiarasse la Sicilia parte del regno del Piemonte. L’indirizzo fu presentato al Dittatore qualche giorno dopo.
Garibaldi rispose con aperte parole, affermando prima di tutto, dopo i dovuti ringraziamenti, sé e i suoi compagni “aver fatto poco di fronte a quello che avevano fatto i Siciliani, senza la cui generosa devozione, senza il cui patriottismo e il concorso morale” la sua impresa sarebbe fallita. Ma bisognava intendersi: egli non aveva preso le armi soltanto per liberare la Sicilia, sì bene per compiere l’unità d’Italia; poteva con un atto dittatoriale proclamare l’annessione dell’isola; ma da quel momento stesso egli non avrebbe avuto più nulla a fare, e sarebbe partito immediatamente.
Alle quali parole, il Senato rispose con unanime slancio la sua volontà esser quella del Dittatore. E così il pericolo di una improvvisa annessione fu scongiurato, con rincrescimento del La Farina; che si diede alacremente a intrigare e a suscitare discordie, a fomentare malumori, a formare una corrente di animosità e di odi contro il Crispi, per rendere vieppiù impopolare e fare apparire intollerabile il
governo della Dittatura, quale cagione di tutti i disordini.
Che Garibaldi volesse l’annessione non era a dubitarne, costando da un documento ufficiale, le istruzioni, cioé, date ai tre legati spediti rispettivamente a Torino, a Parigi, a Londra; nelle quali è detto chiaramente come oramai gli ideali della Sicilia si fossero dal ‘48 in qua modificati, e l’isola non intendesse appartarsi nella autonomia chiesta fin dal 1812. Queste assicurazioni trovavan piena fede nell’animo del re Vittorio Emanuele, che privatamente al conte Amari, uno dei legati, dava lettere per Garibaldi, offrendogli, invece del La Farina, il Valerio o il Depretis; ma non parevano bastevoli ai cavourriani, e le brighe del La Farina giunsero al punto che Garibaldi fu costretto espellerlo dalla Sicilia; e il 7 luglio, lo fece imbarcare, con una forma che spiacque.
Erano infatti venute in Palermo due spie, certi Criscelli e Tatti, e si diceva che avessero mandato di uccidere il Generale: il decreto dittatoriale, che li cacciava dalla Sicilia, accoppiava a loro il La Farina; e sebbene a lui non addebitasse l’infamia degli altri, pure l’averlo accomunato con due malfattori parve, ed era ingiuria a un uomo, del quale non potevano e non dovevano disconoscersi i servizi resi alla patria.
L’espulsione provocò le dimissioni di due ministri, il marchese di Torrearsa e il barone Pisani: e quindi un rimutamento nel governo.
Mentre tali cose avvenivano in Sicilia, Francesco II troppo tardi cedendo all’incalzare degli avvenimenti, facendo pro’dei consigli di Napoleone III, pubblicava in Napoli l’Atto Sovrano, col quale largiva ai suoi sudditi la costituzione, e dichiarava di voler unire le sorti del regno del Sud a quelle dell’Italia, in una confederazione col regno del Nord; adottava perciò la bandiera dai tre colori con le armi borboniche nel partito bianco; riformava il ministero; creava la guardia nazionale, dava norme per la convocazione dei collegi elettorali. Non gli credette nessuno, neppure i ministri da lui chiamati al potere, che riconoscevano essere oramai perduta la causa della dinastia...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento.
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
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Luigi Natoli: Il governo della dittatura di Garibaldi, validamente consigliato da Francesco Crispi. Tratto da: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860.


Fra le cure di guerra, Garibaldi non trascurò di occuparsi dell’amministrazione,validamente aiutato e consigliato da Francesco Crispi, la cui mente di statista si rivela in quel complesso di leggi e provvedimenti intesi a rinnovare la Sicilia, e i difetti d’uomo appaiono nelle animosità delle lotte di partito. 
Già alcuni decreti Garibaldi aveva emanato lungo la sua marcia da Salemi a Palermo, oltre quello della Dittatura, base e fondamento di tutti gli atti di governo posteriori; e fra essi uno sulla formazione delle milizie distinte in tre categorie; un altro per abolire la tassa sul macinato, invisa alle moltitudini. A riordinare i comuni, inviava emissari siciliani conosciuti e autorevoli, con facoltà di nominare governatori provvisori, per amministrare, e nel tempo stesso provvedere armi e armati, viveri, munizioni. In Palermo appena entrato, costituiva il Comitato provvisorio, come si è detto; e il 28, sciolto il magistrato municipale eletto dal governo borbonico, ne nominava uno nuovo, al quale conservò per allora il titolo di Senato; e pretore elesse il duca Giulio Benso della Verdura, che, non estraneo alle cospirazioni, aveva patito arresti e prigionia. 
Con decreto del 2 giugno Garibaldi istituì una Segreteria di Stato, con sei dicasteri, chiamandovi a reggerli uomini reputati per dottrina e noti per la parte avuta nelle vicende della rivoluzione. Destinò il Giordano-Orsini alla guerra, l’avvocato Andrea Guarneri alla giustizia, il dotto canonico Ugdulena all’istruzione, Casimiro Pisani agli esteri e al commercio, Crispi all’interno e alle finanze. Il Ministero si pose alacremente all’opera di riordinamento dello stato; e se si pensa che esso si insediava fra le rovine di una città bombardata, e ancora in potere di un nemico numeroso e forte; e lavorava tra l’agitarsi di tutte le passioni che in quei momenti si scatenavano, l’opera sua e più la serenità degli atti, appare veramente grande e degna di un gran popolo. Che se talvolta gli effetti non corrisposero agli intendimenti, più che la volontà degli uomini è da accusarne il lungo servaggio, la dissuetudine a liberi reggimenti, l’ignoranza delle popolazioni e la loro facilità ad accendersi, e anche l’acerbità dei contrasti di partito. 
Il Dittatore per ricompensare coloro che per la patria avevano combattuto decretava che loro, se non eran possessori di poderi, fosse assegnato un lotto di terra sui beni comunali, e se i comuni non avessero terre, sui beni della corona o dello stato; che i figli dei caduti combattendo venissero adottati dalla patria ed educati e dotati a sue spese, e secondo la loro condizione, e le vedove pensionate. E questi benefizi furono estesi alle famiglie dei tredici fucilati del 14 aprile. 
Fu abolito il bacia-mano e il titolo d’eccellenza, segni esteriori di servaggio e disuguaglianza, che però la terza Italia rimise in moda, e i ministri sorti dalla rivoluzione estesero anche a chi non s’eran mai dati. 
Altri provvedimenti furon presi d’indole amministrativa e finanziaria: aboliti alcuni dazi su derrate di prima necessità; disposte norme per la riscossione dei beni demaniali e pel pagamento delle tratte e della rendita. Inoltre fu vietato il vagabondaggio e la mendicità; gli accattoni di professione espulsi da Palermo; i poveri validi adibiti ai lavori di sgombro delle macerie e alla nettezza pubblica. 
Nel rinnovamento di tutti gli ordini non fu trascurata l’istruzione: un decreto ordinò lo scioglimento e la espulsione delle congregazioni religiose dei Gesuiti e dei Liguorini, e la devoluzione dei loro beni, circa sei milioni di lire, a beneficio delle tre università di Sicilia; le scuole normali, che erano allora scuole di cultura popolare, furon trasformate in ginnasi; fu nominata una commissione per l’accertamento di tutte le opere d’arte, quadri, statue, arredi, vasi e altro; nel timore che, approfittando dei trambusti, qualche cosa venisse involata. 
Il 13 giugno, poiché l’opera delle squadre era inutile e anzi inceppava, Garibaldi le sciolse con un proclama, che era un saluto e una lode: “Voi che tanto contribuiste alla liberazione di questa terra... che conservaste il fuoco sacro di libertà sulle vette dei vostri monti... Voi potete oggi tornare alle vostre capanne, con la fronte alta, con la coscienza di avere adempito a un’opera grande... Io vi seguirò col cuore nel tripudio delle vostre messi, delle vostre vendemmie; e nel giorno in cui la fortuna mi porgerà l’occasione di stringere ancora le vostre destre incallite, sia per narrare delle nostre vittorie o per debellare nuovi nemici della patria, voi avrete stretto la mano d’un fratello”. 
Altro proclama dirigeva lo stesso giorno ai Cacciatori delle Alpi, avvertendoli non essere ancora tempo di riposo, e che ognuno di loro era chiamato a condurre la gioventù a nuove pugne, a nuove vittorie. “In rango dunque! – In rango tutti i soldati di Calatafimi e prepariamoci ad ultimare l’opera magnifica che abbiamo cominciato”.
Intanto l’annuncio delle riportate vittorie, propagatosi fra lo stupore, l’ammirazione e la gioia per tutta la penisola; esagerato anche dai giornali, che pubblicavano entusiastiche lettere di quei volontari, aveva destato nuovi fervori...


Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Pagine 544 prezzo di copertina € 24,00
Il volume comprende:
Premessa storica tratta da "Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo" ed. Ciuni 1935
La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910)
Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille (Estratto dal mensile "Rassegna storica del Risorgimento anno XXV - Fasc. II Febbraio 1938 - XVI)
I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto "La Sicilia nel Risorgimento italiano - Anno 1931)
Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927)
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Macqueda 185)

sabato 8 giugno 2024

Dal diario di Antonio Beninati: 07 giugno 1860. Muore Luigi Tüköry. Tratto da: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860.

 

Questa mattina si è sparsa la voce della morte dell’ungherese Luigi Tuchery: io dico la verità, non prestai fede alla notizia; volli accertarmi, recandomi al palazzo S. Lorenzo; disgraziatamente la notizia mi venne confermata. Io non ebbi il coraggio di alzare il funebre lenzuolo. Parecchie nobili signore stavano nella stanza mortuaria; il principe di S. Lorenzo e la signora Ugdulena piangevano, proprio come fosse stato uno stretto parente. Il principe mi ha detto che il povero Tuchery è spirato prima della mezzanotte, e di buon mattino sono venuti Turr, Menotti, Dezza ed altri dello stato maggiore.
Il trasporto della salma si farà quest’oggi verso le ore 21.
Garibaldi ne dà l’annunzio con queste parole:

“Il Colonnello Tuckery è morto – i Cacciatori delle Alpi perdono oggi uno de’ migliori compagni! Varese, Como, Calatafimi, Palermo videro Tuchery primo fra i primi assaltare il nemico – nell’ultima pugna egli conduceva i coraggiosi soldati ed ufficiali delle Guide, che chiesero l’onore di entrare i primi a Palermo. Morì oggi delle sue ferite – il buono, il prode, l’intrepido Ungherese, il degno rappresentante della terra classica della bravura – della sorella d’Italia.
“La fratellanza dei due popoli, cementata col sangue sui campi di battaglia è imperitura. L’Italia libera è solidaria responsabile alla faccia del mondo della libertà ungherese.
“I figli di questa terra risponderanno al grido di guerra contro la tirannide echeggiante sulla sponda del Danubio, nel giorno che le rotte catene de’ nostri fratelli saranno fuse in daghe per combattere gli oppressori.
“Sì” Gl’Italiani giurano sulla tomba dell’eroico martire che la causa dell’Ungheria è la loro, e che cambieranno coi loro fratelli, sangue per sangue.

 G. Garibaldi”



Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15%, consegna a mezzo corriere in tutta Italia).
Disponibile su Amazon Prime e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro) La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M. Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Maqueda 185)

martedì 4 giugno 2024

Dal diario di Antonio Beninati: 3 e 4 giugno 1860. Corrao e La Porta sono i capitani che strenuamente hanno difeso la Porta Macqueda. Tratto da: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana nel 1860

3 giugno: Il Governo lavora, ma padroni della situazione sono l’avv. Crispi e padre Ugdulena; il resto secondo me sono in seconda linea.
Il Sirtori posa troppo; mi fa impressione di un uomo che posi, e che sia troppo gonfio: mi dicono persone venute col Generale che esso era un prete, anzi canonico: sarà poi vero?
Nei monasteri si lavora a fare filaccie e bende per i feriti e si mandano agli ospedali; sempre però accompagnate di albanette di conserva e di dolci: oltre il clero, abbiamo anche le monache che concorrono coll’opera di carità alla rivoluzione.
All’ospedale dello Spasimo e di S. Anna sono avvenuti casi di morte abbastanza; pare che dei feriti del 30 scorso, pochi si salveranno. 
Stamane ho visto lavorare nelle macerie di piazza Lumia: vennero estratti quattro cadaveri, uno dei quali di una donna che teneva al petto un bambino: a quella vista così pietosa, la gente piangeva. Quelli del vicinato gridavano “povera donna Giovannina!”. Sono delle scene alle quali difficilmente si può resistere. I danni sono incalcolabili, sia di persone che di averi. Se il fuoco si riprenderà, Palermo diventerà una pianura, e tutto questo per colpa di Maniscalco. Egli spinse i nobili a fare la rivoluzione.
Il Generale quest’oggi mi sembra di buonissimo umore, al Municipio c’è più ordine. Mi si dice che questa mattina di buon’ora il Generale ha ricevuto una visita del generale Letizia, che vuole stabilire una tregua a tempo indefinito.
Nella piazza della chiesa del Carmine, di buon mattino tramutata in scannatoio; la plebe uccise sei birri e voleva bruciarne i cadaveri. Ma una donna del popolo cominciò a gridare...
(Nella foto Giovanni Corrao) 


4 giugno: Sono stato a visitare Luigi Tuchery, in compagnia di Agri e Zanetti: l’ammalato non mi piace molto, l’amputazione della gamba sinistra è stata fatta molto tardi, direi si verificò quanto ebbe a dirci il professore Castellana. A me quest’uomo fa tanta simpatia e pietà nel tempo stesso. Egli guarda tutti negli occhi, quasi volessi dire: Aiutatemi!.
Si lagnava con me perché a Palermo fa molto caldo; io penso invece che è il caldo della febbre violenta che lo brucia. La Provvidenza voglia salvarlo.
Quando penso che la sua famiglia ignora la triste condizione di lui, mi vengono le lagrime agli occhi. La signora donna Caterina non lascia di assisterlo un momento; essa l’ama come un fratello: l’ammalato ad ogni piccola cosa risponde con la parola: Grazie.
La fortissima barricata di Porta Macqueda è bene custodita di combattenti: Corrao e La Porta sono stati i capitani che strenuamente hanno tenuto fronte alle truppe regie. Mi dicono che Corrao sia dotato di un coraggio da leone.
(Nella foto Luigi Tüköry)



Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860: Documenti e memorie della rivoluzione siciliana del 1860.
Il Comitato era costituito da: Giuseppe Pitrè, Luigi Natoli, Alfonso Sansone, Pipitone Federico, Salvatore Giambruno, Giuseppe Travalli, Cesare Matranga (Segretario). Il presente volume è la riproduzione anastatica di quello pubblicato nel 1910 dal suddetto Comitato, in occasione del 50° anniversario del 27 maggio.
Pagine 475 - Prezzo di copertina € 22,00
La prima parte comprende i documenti della rivoluzione, anteriori e posteriori al 4 aprile 1860 e fino al 27 maggio. La seconda, una scelta degli atti della Dittatura, quelli cioè che propriamente riguardano il periodo rivoluzionario, il rinnovamento politico-amministrativo della Sicilia e uomini e fatti della rivoluzione; la terza, più varia, comprende atti della rappresentanza civica, documenti riferibili alle spedizioni, diari del tempo, memorie, poesie, fra cui le memorie storiche di Filippo e Gaetano Borghese, il diario inedito di Enrico Albanese, le lettere di Giuseppe Bracco al conte Michele Amari, il diario di Antonio Beninati.
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15%, consegna a mezzo corriere in tutta Italia).
Disponibile su Amazon Prime e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro) La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M. Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Forense (Via Maqueda 185)